Ambiente: il meccanismo barocco delle COP e la carovana ecodiplomatica di Katowice

È iniziata, e durerà fino a metà dicembre, la ventiquattresima Conferenza delle Parti, COP 24, cioè il summit tra le nazioni che hanno sottoscritto la Convenzione Onu sui cambiamenti climatici. Ma già si sa che da Katowice arriverà solo un altro po' di fuliggine...

Ambiente: il meccanismo barocco delle COP e la carovana ecodiplomatica di Katowice

La scelta di Katowice, in Polonia, per tenere questa assise ecodiplomatica non sarebbe potuta essere più significativa, visto che è stata ed è un’importante città mineraria: nelle aree della Slesia che la circondano vi si estraeva e vi si estrae tuttora il carbone. Una fonte di energia che è prima in assoluto per intensità di emissione di anidride carbonica. La scelta di Katowice per dimenticare Katowice: ovvero un passato fatto di carbone per costruire un futuro di fonti rinnovabili, carbon freee poco inquinanti di energia.
Ma il simbolo potenziale lascia il passo ai contenti concreti. Che vanno in direzione esattamente opposta. Nelle scorse settimane l’IPCC, il panel intergovernativo di scienziati esperti di clima organizzato dalle Nazioni Unite, ha ammonito il mondo con insolita chiarezza: abbiamo pochissimo anni, non più di una dozzina, per riuscire a contenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro i 2°C e possibilmente entro gli 1,5°C rispetto ai livelli dell’era preindustriale. Poi sarà troppo tardi.
L’ammonimento era rivolto soprattutto ai governi, anche se non solo ai governi. Come avrebbe detto Fabrizio de André, siamo tutti coinvolti. Ciascuno di noi deve assumersi le sue responsabilità verso l’umanità intera, comprese le generazioni future. Dunque la diagnosi è chiara. Siamo in prossimità della soglia di non ritorno. Dobbiamo agire e indurre i governi a fare in fretta. Katowice, dunque, per dimenticare Katowice.
Ma già sappiamo che dalla città polacca nera di fuliggine non ci verrà la spinta ad alcun lavacro. Non per colpa di Katowice, certo. Ma altrettanto certamente per colpa (almeno un po’) della nazione che ospita COP 24 e, soprattutto, per colpa di un consesso delle nazioni che a tutt’oggi manca di una leadership forte.
Le colpe della Polonia sono note. Il carbone rappresenta il 50% delle fonti di energia del paese e, addirittura, l’80% dell’energia necessaria alla produzione di elettricità. I consumi di carbone in Polonia sono diminuiti, come rileva Anna Mikulska del Baker Institute’s Center for Energy Studies in un articolo pubblicato di recente sulla rivista R’energia, sono sì diminuiti negli ultimi dieci anni: ma solo del 12%, contro una media europea del 30%. E tutto questo malgrado il fatto che, a causa dell’uso di carbone, delle 50 città europee più inquinate, 33 (compresa Katowice) sono in Polonia. Il ritardo nel taglio del carbone non è dovuto solo a problemi tecnici o economici. Ma anche a una scelta politica: il governo polacco non crede molto nel contrasto ai cambiamenti climatici ed è quello, in Europa, che più frena sui preocessi di decarbonizzazione. Ora il fatto che sia un governo scettico a ospitarla e, dunque, a presiederla non gioca a favore de un’eventuale accelerazione nei contrasti ai cambiamenti climatici da parte di COP 24.
Ma, diciamo la verità, gli ostacoli principali non stanno a Varsavia. E tantomeno a Katowice. Gli ostacoli principali stanno nei meccanismi delle COP. E soprattutto nelle volontà dei governi, oltre che in una certa inedia dell’opinione pubblica mondiale. La corsa, nella logica delle COP, si è sostanzialmente fermata a Parigi nel dicembre 2015, quando nell’ambito della COP 21, si è deciso che i paesi membri delle Nazioni Unite si sarebbero impegnati a contenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro i 2°C e possibilmente entro gli 1,5°C. Non fu stabilito, nel dicembre di tre anni fa nella capitale francese, alcun obbligo per alcun paese, se non quello morale. Ci si diede poi appuntamento per la COP 26, nel 2020, per “fare il tagliando”. Ovvero per verificare come si stava procedendo. Intanto le COP intermedie, come quelle di Katowice, sarebbero servite a stabilire, praticamente, solo alcuni dettagli. Per esempio a Katowice si dovrà stabilire lo standard per misurare le emissioni di ogni paese. Un obiettivo che, certo, non scalda i cuori. Né accelera i processi.
Ma questo meccanismo, è fin troppo chiaro, è frutto di una tiepidezza dei governi nel dicembre 2015 a prendere impegni più stringenti. Ora quella tiepidezza è diventata un piccolo gelo: gli Stati Uniti, l’Australia e, forse, anche il Brasile hanno annunciato di volersi ritirare dai pur tiepidi accordi di Parigi. Perché tiepidi? Ma è fin troppo chiaro: perché ove anche gli impegni morali e solo morali assunti a Parigi venissero adottati integralmente, la temperatura media del pianeta sarebbe destinata a crescere ben oltre i 2 °C. I rapporti dell’IPCC e quello, più recente e persino più determinato, dell’UNEP (l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente delle Nazioni Unite), dicono chiaramente che dovremmo fare molto di più e molto più in fretta.
Ma allora perché a Katowice la carovana ecodiplomatica si trastullerà su questioni, certo importanti, ma del tutto marginali? Perché il meccanismo delle COP è barocco; perché il clima politico è cambiato e in peggio rispetto a Parigi 2015. Ma anche perché l’opinione pubblica è distratta. Non prende posizione con determinazione. Non tiene il fiato sul collo dei governi. Sì, anche un poco colpa nostra se Katowice non dimenticherà Katowice.

Chi è Pietro Greco

Pietro Greco, laureato in chimica, è giornalista e scrittore. Collabora con numerose testate ed è tra i conduttori di Radio3Scienza. Collabora anche con numerose università nel settore della comunicazione della scienza e dello sviluppo sostenibile. E' socio fondatore della Città della Scienza e membro del Consiglio scientifico di Ispra. Collabora con Micron, la rivista di Arpa Umbria.

 

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