Città sostenibili a zero emissioni a sostegno degli impegni dei governi nazionali/2

Le città sostenibili, a emissioni zero e a impatto positivo, sono possibili. Ma ci vuole coraggio, soprattutto da parte di amministratori e decisori. Prosegue qui la seconda parte dell'articolo di cui ieri è stata proposta la parte prima.

Città sostenibili a zero emissioni a sostegno degli impegni dei governi nazionali/2

PROSEGUE DALLA PRIMA PARTE, CHE TROVATE QUI

Il rapporto si conclude suggerendo sei azioni prioritarie che i Governi potrebbero seguire, adattandole eventualmente alle proprie circostanze:

1)    sviluppare una strategia nazionale per la decarbonizzazione mettendo al centro le città;

2)    allineare le politiche nazionali allo sviluppo di città compatte, connesse e pulite;

3)    finanziare infrastrutture urbane sostenibili anche attraverso l’introduzione di una carbon-tax, come già fatto da 45 paesi nel mondo;

4)    coordinare e sostenere le azioni locali delle città sul clima;

5)    costruire un sistema multilaterale che promuova città inclusive a zero emissioni;

6)    pianificare in modo proattivo un’equa transizione urbana.

Queste azioni hanno alla base i concetti urbani di “compattezza”, “connessione” e “pulizia” che rappresentano i punti principali per trasformare una città a zero emissioni.  Le città “compatte” sono più efficienti dal punto di vista delle risorse da consumare perché utilizzano meno spazio per residente e forniscono maggiori opportunità per il trasporto di massa e i sistemi di tele-riscaldamento/raffrescamento; le città “connesse” massimizzano e condividono i benefici dell’agglomerazione riducendo le emissioni di gas climalteranti, tenendo bene in mente che l’obiettivo è quello di far muovere le persone e non le auto; le città “pulite” sono caratterizzate da un uso efficiente dei materiali e dell’energia con l’elettrificazione dei principali servizi (riscaldamento, cucina, trasporti) e la decarbonizzazione della fornitura elettrica, da una forte riduzione e poi successivo riciclaggio dei rifiuti solidi urbani e, infine, da un utilizzo di soluzioni naturali (nature-based solutions – NBS) ogni volta che è possibile.

Ma non basta ridurre le emissioni…

Non per essere pessimisti ma sappiamo bene che una transizione verso città a zero emissioni, di per sé, non eviterà completamente gli impatti dei cambiamenti climatici. Anche se il riscaldamento globale fosse mantenuto al di sotto di 1,5 ° C, gli shock climatici ci saranno e renderanno più difficile l'eliminazione della povertà e lo sviluppo economico. Le politiche e gli investimenti urbani devono quindi cercare di ridurre contemporaneamente le emissioni, migliorare la resilienza e sostenere lo sviluppo economico sostenibile per costruire città in cui le persone possano soddisfare le proprie esigenze e perseguire le proprie aspirazioni. Un impegno a migliorare gli standard di vita e a non lasciare indietro nessuno può servire anche a sostenere il contributo pubblico a favore del clima: è improbabile che i paesi che non avanzano verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) raggiungano gli obiettivi stabiliti nell'Accordo di Parigi.

Questa prospettiva dimostra che un’azione forte per ridurre le emissioni di gas a effetto serra non può essere intrapresa isolatamente: mitigazione, adattamento e sviluppo sostenibile devono essere perseguiti in sinergia. Non è facile, ma risulta essenziale per poter affrontare adeguatamente le tre sfide di oggi relative al rallentamento dell'economia globale, all’allargamento della disuguaglianza e all’accelerazione dei cambiamenti climatici. I casi di studio analizzati nel rapporto dimostrano che quei pochi paesi e città che hanno già messo in pratica questa visione stanno già sperimentando la transizione al ritmo e alla scala richiesti e che i loro sforzi hanno prodotto immensi miglioramenti nella qualità della vita dei cittadini.

La Coalizione per le transizioni urbane incoraggia quindi i governi nazionali a prendere spunto dai casi presentati e dalle raccomandazioni contenute nel rapporto per elaborare il loro prossimo documento di programmazione sul clima (Intended Nationally Determined Contribution – INDC) da inviare alle Nazioni Unite nel 2020 affinché contenga una strategia di lungo termine per promuovere città inclusive, a zero emissioni di carbonio e resilienti.

E in Italia …

Stimolato dalla lettura del rapporto, ribadisco alcune considerazioni sul nostro Paese già espresse anche in precedenti articoli. L’Italia si trova nel momento giusto per dare un  segnale forte: dalla bozza del Piano Nazionale Integrale per l’Energia e il Clima (PNIEC) si evince che il settore non-ETS, che include quei settori ove le amministrazioni cittadine possono avere un ruolo determinante (trasporti, residenziale, rifiuti, agricoltura), è quello ove ci si attende una riduzione delle emissioni climalteranti di circa il 35% al 2030, rispetto alla baseline del 2005 (per il settore ETS relativo invece ai grandi impianti industriali, la riduzione attesa è del 56% circa). Sorvolando sull’opportunità che il nostro Paese possa puntare ad obiettivi di riduzione più ambiziosi al fine di diventare leader, in Europa e nel mondo, di alcuni settori industriali, è evidente che per formalizzare il ruolo sinergico che esiste tra le amministrazioni locali e gli sforzi che il Governo nazionale intende perseguire nella lotta al cambiamento climatico, un riferimento chiaro sul ruolo delle città DEVE essere inserito nel redigendo PNIEC.  Da qui potrà innescarsi quel circolo virtuoso che vedrà valorizzate le azioni locali (al momento volontarie) quali concreto contributo al raggiungimento dell’obiettivo (vincolante) nazionale di riduzione delle emissioni. E magari cominciare ad essere un po’ più ambiziosi puntando all’obiettivo di medio-lungo termine di sostenere la transizione verso città a zero emissioni, primo passo per un Paese a zero emissioni, che è poi l’obiettivo sottoscritto anche dal nostro Paese per il 2050.

Visto che la popolazione urbana è in continua crescita è importante valutare bene oggi quali investimenti fare nei prossimi dieci anni. Il rapporto ci dà una traccia sulla tipologia degli investimenti da perseguire, sottolineandone anche la convenienza economica.  In Italia, ad esempio, affermare nel PNIEC che al 2040 avremo ancora una dipendenza energetica superiore al 67% (principalmente dovuta all’importazione del gas) significa che si sta decidendo oggi quale sarà il combustibile del futuro per il nostro Paese. A parte una domanda banale che dovremmo porci: cioè, come pensiamo di ottemperare all’obiettivo sottoscritto della neutralità carbonica al 2050 se al 2040 ancora abbiamo un tale contributo del gas che è una fonte fossile? Faremo tutto negli ultimi dieci anni? Dopo aver investito centinaia di miliardi per le infrastrutture a supporto dell’importazione e distribuzione del gas? E’ evidente che c’è qualcosa che non torna in questo ragionamento. Ma le decisioni vanno prese adesso! Ribaltare le proiezioni, e ipotizzare che invece del 67%, al 2040 relegheremo al gas un contributo inferiore al 30% significherebbe impostare una diversa politica industriale nel nostro Paese. Per non parlare degli aspetti legati alla sicurezza: purtroppo basta leggere le cronache giornaliere per capire che l’utilizzo del gas in città sta diventando anche un problema di incolumità (a Roma sono oltre 5.000 i km di tubazioni del gas che si intersecano, quando valide alternative ci consentirebbero di far viaggiare nelle tubazioni semplice acqua calda, come nei sistemi di teleriscaldamento, con certamente meno problemi in caso di perdite).  

Certo, ribaltare quella proporzione sul consumo di gas significherebbe l’eliminazione (ma sarebbe più corretto parlare di riconversione) di posti di lavoro nel settore delle fonti fossili a fronte comunque dell’apertura di nuovi posti di lavoro - e in misura nettamente superiore in termini quantitativi e qualitativi - nei settori delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica, della riqualificazione edilizia e della mobilità sostenibile. Ci auguriamo che il Governo italiano non perda questa occasione e persegua appieno le potenzialità del Paese per un reale sviluppo sostenibile.

 

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