Il Patto dei Sindaci e Roma: gioie e dolori

Roma Capitale è alle prese con la formulazione del Piano di Azione per l'Energia Sostenibile e il Clima, strumento importante per la pianificazione di interventi su più ambiti strategici. Abbiamo intervistato il dottor Antonio Lumicisi, che fino al febbraio scorso si è occupato di impostare il PAESC di Roma Capitale.

Il Patto dei Sindaci e Roma: gioie e dolori

Roma Capitale ha aderito al Patto globale dei Sindaci per il clima e l’energia nel novembre 2017 e a breve dovrà presentare il proprio Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC).

Il Cambiamento ha intervistato Antonio Lumicisi, esperto di politiche per il clima e l’energia, che fino al febbraio di quest’anno ha coordinato la preparazione del PAESC di Roma Capitale.

Dr. Lumicisi, cos'è effettivamente il Patto globale dei Sindaci per il clima e l’energia?

Il Patto costituisce il più grande movimento a livello mondiale di Enti locali e territoriali, che si sono uniti per combattere quella che da molti è considerata la prima emergenza a livello planetario, ossia l’emergenza climatica. Esso nasce dalla confluenza di due importanti movimenti, il Patto dei Sindaci in Europa e il Compact of Mayors negli USA, che insieme mirano a stimolare un’azione concreta, da parte delle città, nella riduzione delle emissioni climalteranti.

Quindi le città hanno un ruolo nella lotta ai cambiamenti climatici?

Certo, e tale ruolo risulta essere fondamentale! Nelle città, infatti, si consuma la maggior parte dell’energia prodotta a livello mondiale (oltre il 70% delle emissioni climalteranti è dovuta proprio all’energia consumata nelle città): consumo che, purtroppo, è destinato a salire ancora. L’aumento dei consumi energetici, unitamente agli effetti del cambiamento climatico già in atto, contribuirà ad esacerbare ancor di più la situazione. Sempre più velocemente stiamo andando verso un punto di non ritorno. Quel limite di 1,5-2,0 °C di innalzamento della temperatura media globale che gli scienziati del clima hanno indicato come valore da non superare sembra, purtroppo, sempre più complicato da rispettare.

Quindi è ormai tardi per agire?

Non è mai troppo tardi per agire. Innanzitutto, però, è necessario riconoscere che, se siamo giunti alla situazione di emergenza climatica di oggi, significa che negli ultimi 2-3 decenni, cioè da quando si è iniziato ad acquisire una maggiore consapevolezza sul tema dei cambiamenti climatici, non c’è stata la giusta attenzione da parte dei decisori politici. I molti tentativi (dal Protocollo di Kyoto del 1997 agli Accordi di Parigi del 2015) non hanno prodotto risultati tangibili in termini di “inversione di rotta” nelle emissioni di gas climalteranti. Ciò è dovuto al fatto che agli impegni presi dai Governi non hanno seguito politiche e misure interne finalizzate al loro effettivo raggiungimento Fanno eccezione solo alcuni Paesi, come quelli scandinavi, che, veramente preoccupati dell’emergenza climatica in atto, stanno rivoluzionando i propri sistemi energetici. Proprio a causa di questa inerzia dei governi nazionali furono lanciate delle iniziative che vedevano negli Enti locali i nuovi protagonisti nella lotta al cambiamento climatico. Uno stimolo in più al fine di lavorare in sinergia tra governi nazionali e locali. Sono ormai migliaia le città nel mondo che si sono assunte l’impegno di ridurre le proprie emissioni climalteranti di almeno il 40% entro il 2030, al pari degli obiettivi assunti almeno dai governi dell’Unione Europea. Ciò nonostante l’ormai conclamata evidenza che il clima sta cambiando. Questi obiettivi di riduzione delle emissioni, unitamente a specifici Piani di Adattamento, ci aiuteranno a con-vivere in ambienti con un clima diverso (peggiore) rispetto a quello di poche decine di anni fa. Questo per ribadire che non è mai troppo tardi per agire, da qui a pochi anni la situazione potrebbe peggiorare ancor di più.

Riusciranno le città a stimolare i governi ad essere più ambiziosi nelle politiche del clima?

Ce lo auguriamo tutti. A casa nostra, in Italia, entro la fine di quest’anno sarà approvato il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che dovrà delineare il percorso per ridurre le emissioni climalteranti del nostro Paese di almeno il 40% entro il 2030. Sarebbe molto utile inserire nel PNIEC un chiaro riferimento al ruolo delle città e, per la prima volta, avviare un lavoro serio di visione e condivisione delle politiche energetiche e climatiche a livello locale e nazionale.

Quale è la situazione nelle città italiane?

Negli ultimi 10 anni c’è stato un fermento eccezionale e alcune città italiane sono tra le più attive sulle politiche del clima. Molte, però, si sono dovute arrendere ad evidenti difficoltà (amministrative, economiche e di organizzazione interna) che si sarebbero potute superare agilmente con una maggiore collaborazione tra i diversi livelli di governance.

Lei ha avuto un ruolo nell’impostazione del PAESC di Roma Capitale. Qual è la situazione a Roma?

Dall’agosto 2017 al febbraio 2019 ho svolto il ruolo di coordinatore del PAESC di Roma Capitale, dando un contributo all’impostazione del Piano e alla selezione delle azioni da inserirvi. Poi, dopo le dimissioni dell’Assessora alla Sostenibilità Ambientale Pinuccia Montanari (ero parte del suo staff), non sono stato riconfermato in questo ruolo dalla sindaca Raggi. In quell’anno e mezzo è stato fatto un buon lavoro di impostazione, con l’adozione di specifici accordi di collaborazione con Enti del calibro di ENEA, GSE e ISPRA, ossia le migliori eccellenze pubbliche a livello nazionale sui temi delle emissioni climalteranti, delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Mi auguro che si faccia tesoro di tutte le idee e le proposte analizzate e scaturite dai tavoli tecnici con gli oltre 100 stakeholder consultati e dai confronti interni all’amministrazione nell’ambito della Cabina di regia PAESC, tradotte poi in uno specifico elenco di azioni da considerare per l’inserimento nel PAESC. Roma ha le potenzialità giuste per ben figurare tra le città sostenibili del futuro.

Trasporti e rifiuti: per i cittadini romani sono queste le emergenze della città. Come verranno affrontati questi temi nel PAESC?

Il PAESC è la sintesi dei diversi piani settoriali di cui si dovrà dotare la città. Ma è emblematico, in negativo purtroppo, che né la Sindaca né alcuno dei suoi Assessori (tranne ovviamente l’ex Assessora Montanari) si siano mai espressi pubblicamente sulla visione strategica del PAESC, nonostante gli impegni sottoscritti. Il tema dei trasporti, o meglio della mobilità, viene affrontato nel Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile (PUMS) che di recente è stato approvato dalla Giunta capitolina. E’ un piano ambizioso, con molti progetti interessanti che potranno migliorare la vita dei cittadini e dei turisti che quotidianamente si muovono in città. Un aspetto critico che sarà da approfondire riguarda l’obiettivo (al momento assente) che la città di Roma intende porsi per eliminare gradualmente le automobili a combustione interna (benzina e diesel), fonte di emissioni di inquinanti e di gas serra. Un documento specifico, redatto dagli uffici tecnici dei Dipartimenti Tutela Ambientale e Mobilità, con il coordinamento degli Assessorati Sostenibilità Ambientale e Città in Movimento di Roma Capitale, fu consegnato alla Sindaca nel maggio 2018. Documento importante perché delineava una possibile roadmap per liberare la città dalle auto a combustione interna. Tutta la città, non solo una piccola parte del centro storico dai soli motori diesel; decisione quest’ultima che fu presa più sull’onda di una infantile rincorsa a superare (con slogan) quanto facevano altre città, senza una seria programmazione alle spalle. Di quel documento non si è saputo più nulla, fino alla presentazione del PUMS a luglio 2019 ove si è constatato che tale argomento non viene ritenuto strategico. Il tema dei rifiuti, invece, ancor più delicato e complesso viste le note vicende giudiziarie, viene affrontato nel Piano per la gestione dei Materiali Post-Consumo (PMPC) che, approvato nel marzo 2017, punta a ridurre drasticamente la mole di rifiuti che annualmente vengono prodotti dalla città e, al contempo, a ottimizzare la gestione delle materie prime seconde recuperabili dai materiali post-consumo (non più chiamati rifiuti proprio per evidenziare questa loro nuova potenzialità). Mi auguro che tale Piano possa essere attuato iniziando a recuperare il tempo perso negli ultimi 6-8 mesi, superando quel vergognoso teatrino che vede contrapposte le amministrazioni capitolina e regionale.

Quali altri settori ritiene strategici per lo sviluppo sostenibile della città di Roma?

Ne indicherei quattro: riqualificazione energetica degli edifici, foreste urbane, ruolo della formazione e informazione sui temi ambientali ed energetici e governance interna.

Riqualificazione energetica degli edifici: nella bozza del PAESC si trovano indicate le azioni specifiche da mettere in atto. Soprattutto per quello che riguarda la riqualificazione energetica degli immobili comunali che dovrà necessariamente coinvolgere anche il settore privato. Troppo lenta è stata finora l’azione dell’amministrazione nell’individuare gli strumenti idonei, nonostante interessanti proposte siano venute proprio dal settore privato. Ci sono oltre 40 edifici comunali da riqualificare direttamente da parte del Comune (tutti gli altri sono stati inseriti in gare già avviate in passato, non sempre con la dovuta attenzione ai temi del risparmio energetico) e, anche qui, la strada è stata tracciata. E’ l’occasione per dimostrare che anche gli immobili comunali si possono riqualificare puntando ad obiettivi ambiziosi (edifici NZEB-quasi a zero emissioni, ad esempio). Anche perché il mercato è pronto, e oltre agli immobili comunali ci sono anche gli edifici dei privati (condomini) e la PMI: il ruolo del Comune risulta strategico nel veicolare le giuste informazioni ai cittadini.

Foreste urbane: è ormai chiaro il ruolo, sia in termini di mitigazione che di adattamento, che svolgono gli alberi in città. Nella bozza di PAESC si era ipotizzato un obiettivo di raddoppio degli alberi attualmente esistenti a Roma entro il 2030. Ciò si traduce nella piantumazione di circa 30.000 nuovi alberi all’anno per i prossimi 10 anni. Molti hanno considerato questo obiettivo troppo ambizioso (forse per questo non se ne parla più al Comune di Roma…); personalmente ritengo invece possibile raggiungere anche obiettivi più ambiziosi. Sarebbe sufficiente coinvolgere attivamente la cittadinanza con un piano comunale, appunto, e non limitarsi (quando va bene) a sostenere i lodevoli progetti che arrivano dai territori municipali.

Formazione e informazione: come in tutti gli ambiti, senza una corretta formazione e informazione non vi potrà mai essere un cambio di rotta, quel “cambiamento” da tutti auspicato e da pochi praticato. Un’azione del redigendo PAESC è già partita: per la prima volta, 30 dipendenti comunali si stanno formando per essere poi utilizzati nei futuri Sportelli per l’Energia Sostenibile che dovrebbero iniziare ad aprirsi nell’autunno 2019 ed essere a disposizione dei cittadini nei vari Municipi. Inoltre, c’è un’azione che, se verrà confermata nel PAESC, potrebbe cambiare il volto della città su questi temi: la realizzazione di un Centro per le Energie rinnovabili e il Risparmio energetico (CER). Un progetto di stampo europeo che potrebbe sostenere lo sviluppo sostenibile della città da qui al 2030 ed oltre. Progetto che nasce da lontano, ove uno studio di fattibilità era stato già redatto (finanziato dal Ministero dell’Ambiente) ma poi abbandonato dalle precedenti amministrazioni comunali. Anche qui, si spera che rimanga tra le azioni del PAESC.

Governance interna: redigere ed approvare il PAESC in Assemblea Capitolina è solo il primo passo. Poi c’è da lavorare per attuarlo. E senza una idonea struttura interna anche le più belle idee rischiano di naufragare nel nulla. E’ assurdo che dopo oltre un anno dall’avviso pubblico diramato per la selezione della figura di Direttore della Direzione Politiche Energetiche e PAESC ancora non si sappia nulla. Il sottoscritto ha contestato in tutti i modi possibili la procedura messa in atto in quanto ritenuta non trasparente e non idonea alle funzioni che il futuro direttore della Direzione dovrà svolgere. Forse questo ritardo è dovuto al fatto che qualcuno, finalmente, si sia accorto degli errori fatti? E quale alternativa si propone? Se a novembre (ad essere ottimisti) il PAESC verrà approvato, quale ufficio lo prenderà in carico per l’attuazione? Ecco, un buon PAESC si vede dalle fondamenta. Altrimenti, faremo come abbiamo già visto per la Strategia di Resilienza, altro pezzo importante che completerebbe quella visione olistica del PAESC di Roma Capitale ancora mancante: approvata nel giugno 2018, ad oggi non è stato reso operativo l’ufficio che ne dovrà gestire l’attuazione. E sembra che nessuno (Sindaca, Assessori di riferimento, Consiglieri di maggioranza) se ne preoccupi. Forse ce ne ricorderemo al prossimo evento estremo (ondata di calore, tempesta d’acqua, inondazione, esondazione) che subiremo in città, forse…

In conclusione, Roma sembra avere le potenzialità ma, ancora una volta, i decisori politici fanno fatica ad emulare i colleghi delle città del nord Europa sui temi della sostenibilità?

Roma ha tre mesi di tempo, nel novembre di quest’anno il PAESC andrà consegnato e lì si vedrà in che modo questa amministrazione intende rendere la città più sostenibile entro il 2030 (ma con una chiara visione anche al 2050). Certamente, l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030 sarà uno dei parametri di valutazione. Se da una parte il minimo da proporre è una riduzione del 40%, tutti sanno che dovremmo iniziare a ragionare su livelli di almeno il 50-55%. Ci sono altri obiettivi (di settore) che il PAESC dovrà identificare (ad esempio, la % di fonti rinnovabili sui consumi o, più specificatamente, la % di consumi elettrici coperta da fonti rinnovabili, con magari l’indicazione di quando la città potrà ambire ad essere 100% rinnovabile o 100% carbon free con un ruolo strategico del risparmio energetico e dell’efficienza energetica; il numero di alberi o la superficie di verde in mq per abitante, e altri ancora). Bisogna avere una “visione” per ragionare di queste cose e la “visione” e l’ambizione di Roma Capitale la vedremo nel PAESC, auspicabilmente a novembre. Ad oggi non emerge una chiara visione strategico-politica della città di Roma su questi temi. O meglio, ci sono delle indicazioni in alcuni settori (purtroppo non in tutti quelli strategici per la città) ma non una visione olistica del tutto. La sostenibilità va affrontata a 360 gradi e il PAESC è l’occasione giusta per dimostrarlo. Il rischio che si faccia un bis di quanto accaduto con le amministrazioni precedenti è alto e nessuno si potrà sottrarre dalle proprie responsabilità. I cittadini valuteranno anche questo: il PAESC rappresenta il biglietto da visita ove Sindaca, Assessori e Consiglieri di maggioranza metteranno la propria faccia sulle azioni che la città di Roma intende realizzare nei prossimi 10 anni.

 

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