Gli "azionisti critici" all'assemblea di Eni: «Basta devastazioni»

Le associazioni A Sud e CDCA hanno partecipato all'assemblea degli azionisti di Eni come "azionisti critici" e hanno esposto le problematiche relative agli investimenti e agli interventi che mettono in pericolo l'ambiente e le persone. «Così si arriva a chi non può più far finta di non ascoltare».

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Si è tenuta a Roma l'annuale Assemblea degli Azionisti dell'ENI, alla quale A Sud e il CDCA - Centro Documentazione Conflitti Ambientali hanno partecipato in qualità di azionisti critici, assieme ai rappresentanti di diverse battaglie che portano avanti istanze di tutela ambientale e dei diritti nei territori in cui opera ENI: la Val D'Agri, in Basilicata, ove è ubicato il più grande giacimento onshore dell'Europa continentale; Gela, polo petrolchimico siciliano in attesa di bonifica e dell'annunciata riconversione; Licata, con il progetto estrattivo Ibleo che minaccia ecosistemi e tessuto economico; Taranto, dove i fumi della raffineria ENI concorrono a determinare una delle peggiori emergenza sanitarie del Paese. Oltre alle voci dei comitati territoriali italiani abbiamo portato in AGM le questioni poste dalle comunità del Delta del Niger e dell'Amazzonia dell'Ecuador, in cui ENI opera da decenni.

L'azionariato critico è uno strumento importante per porre, di fronte ai vertici dell'impresa, agli analisti e alla stampa, questioni e specifici quesiti riguardanti le politiche industriali e le condotte di ENI nei luoghi di estrazione e trasformazione. Durante l'AGM 2019, gli interventi di azionisti critici hanno rappresentato più della metà di quelli iscritti nella fase di discussione assembleare.
 
LE ISTANZE PORTATE AVANTI
"Mobilitarsi, documentarsi, denunciare. Lavorare alla sensibilizzazione sui territorio. Presentare osservazioni e ricorsi - ha detto Mauro Peca, di A Sud - Sono tutti strumenti di incidenza che le realtà locali mettono in atto nei conflitti ambientali. L'azionariato critico può essere uno strumento ulteriore di pressione e denuncia. Aprire spazi di confronto e facilitare la partecipazione dei comitati territoriali affinché le loro istanze siano rappresentate è per noi la maniera di accorciare le distanze tra chi decide e chi subisce le decisioni".

«Abbiamo portato all'attenzione della dirigenza aziendale e degli azionisti riuniti le istanze e le domande specifiche di diversi comitati territoriali attivi in Italia, Nigeria ed Ecuador - spiegano gli azionisti critici che hanno preso parte all'assemblea - A declinare questi punti hanno contribuito in maniera specifica gli attivisti provenienti dalla Val D'Agri, da Gela, da Licata e da Taranto, assieme ai quali, prima dello svolgimento dell'AGM e in collaborazione con la Fondazione Finanza Etica abbiamo posto su ciascuna questione quesiti specifici. Le risposte fornite per iscritto da ENI e consegnate all'inizio dei lavori assembleari sono state tuttavia evasive e non utili a fornire sui singoli aspetti affrontati elementi di novità e di chiarimento; pur avendo posto, infatti, delle questioni puntuali e molto specifiche, nel luogo ufficiale nel quale l'azienda dovrebbe rendere conto del proprio operato ai suoi azionisti, gli attivisti hanno ricevuto soltanto risposte vaghe e retoriche, come accade ogni giorno sui propri territori».

I PUNTI SPECIFICI

DECARBONIZZAZIONE - «Per quanto riguarda le politiche di decarbonizzazione, abbiamo sottolineato durante l'intervento la contraddizione a nostro avviso evidente e profonda tra l'immagine green, cui si ascrive il dichiarato impegno sul fronte della decarbonizzazione e dell'economia circolare su cui ENI sta investendo massicciamente, e i piani aziendali che prevedono nella sostanza un progressivo aumento dell'estrazione di oil&gas nei prossimi anni - spiegano dalle due associazioni - Nel fact book 2017 ENI afferma infatti di aver raggiunto il record storico di estrazione di 1,82 milioni di boe/giorno, con un 3,2% in più rispetto all'anno precedente. Ancora, nel piano strategico 2019-2022 la produzione di idrocarburi attesa è in crescita di un ulteriore 3,5% all’anno, grazie anche “alla grande quantità di nuovi permessi in bacini ad alto potenziale” attraverso cui si punta a realizzare “2,5 miliardi di barili di nuove risorse perforando 140 pozzi esplorativi nei quattro anni”. Ciò premesso, abbiamo rilevato come risulti retorico e poco credibile affermare, come fa ENI, che “la decarbonizzazione è strutturalmente presente in tutta la strategia aziendale ed è parte preponderante delle ambizioni per il futuro”. L'azienda è infatti a tutt'oggi al 30° posto tra le società produttrici di combustibili fossili che emettono più Co2 a livello globale (secondo l'autorevole Carbon Majors Report) ed è da sola responsabile dello 0,6% del totale delle emissioni industriali climalteranti rilasciate in atmosfera a livello globale tra il 1988 e il 2015. Alla luce di queste considerazioni, il piano strategico presentato per il quadriennio 2019-2022 risulta in evidente e piena contraddizione con le raccomandazioni della comunità scientifica e con ogni efficace azione di decarbonizzazione e di contrasto ai cambiamenti climatici. É chiaro che la crisi climatica in corso non sarà affrontata né risolta attraverso politiche basate sull'aumento della quantità di petrolio e gas estratti e la moltiplicazione degli sforzi per compensare questo aumento».
 
ESTRAZIONE PETROLIFERA IN VAL D'AGRI - «Grande attenzione è stata dedicata, anche durante la relazione introduttiva dell'AD De Scalzi, al polo estrattivo Val D'Agri, oggetto di una operazione di marketing che intende raccontare le operazioni ENI in loco come una decisa svolta verde - proseguono le associazioni - É stato infatti presentato il progetto “Energy Valley”, attraverso il quale si prevede di realizzare un “modello di business integrato” che include investimenti in rinnovabili, progetti di gestione dell'acqua – fonte di preoccupazione e di reiterate denunce da parte della popolazione – un centro di sperimentazione agraria e di formazione e, addirittura, un progetto per la coltivazione di piante officinali. Resta fermo che il polo lucano, ben lungi dall'essere un esempio di eccellenza per le politiche di sostenibilità, è essenzialmente un polo petrolifero dall'enorme impatto ambientale, sanitario e sociale sul territorio e che l'operazione “Energy Valley” risulta – ancor più dopo le recenti inchieste giudiziarie – un tentativo debole di rilanciarne l'immagine ormai compromessa dalle indagini, dallo sversamento del 2017 e dai continui eventi anomali che interessano l'impianto. L'intervento in assemblea della rappresentante dell'Osservatorio Popolare Val D'Agri ha inoltre denunciato l'atteggiamento evasivo e poco rispettoso dell'azienda verso le istanze di tutela portate avanti dal territorio»
 
RICONVERSIONE DELLA RAFFINERIA DI GELA - «In riferimento all'attesa riconversione della raffineria di Gela, in Sicilia, chiusa nel 2014, ENI ha confermato un sostanziale ridimensionamento del polo produttivo e l'avvio di una serie di progetti pilota - aggiungono ancora A Sud e CDCA - Non è ad oggi dato conoscere in dettaglio il destino degli impianti dismessi e dei terreni inutilizzati, né le politiche occupazionali previste per i prossimi anni. È stato confermato che l'olio di palma attualmente immagazzinato per essere utilizzato nella green refinery di Gela è di origine indonesiana. Nonostante le rassicurazioni circa i criteri di compatibilità ambientale adottati da ENI nell'approvvigionamento di tale materia prima e la dichiarazione per cui la raffineria sarà a emissioni zero, resta la forte perplessità relativa alla reale sostenibilità di un processo che prevede il trattamento a Gela di biocombustibile proveniente da un Paese situato a 15.000 km di distanza, peraltro devastato dalle colture intensive di Olio di Palma, con tutti i relativi costi ambientali. Unica ulteriore informazione di rilievo fornita dopo l'intervento del rappresentante proveniente dal territorio ha riguardato il timing dell'avvio dell'impianto la cui entrata in funzione è stata annunciata dall'AD entro giugno».
 
PROGETTO OFFSHORE IBLEO - «Per quanto concerne il progetto Off Shore Ibleo, le risposte ai quesiti posti in collaborazione con il comitato No Triv Licata e all'intervento del rappresentate in assemblea hanno confermato che ad oggi l'azienda è evasiva sulla reale portata del progetto, sia in termini economici e dunque di resa industriale, sia in termini di impatto territoriale. L'unica informazione resa riguarda la destinazione del gas che sarà estratto dal progetto, che ENI ha intenzione di usare in parte per alimentare la raffineria di Gela, mentre la restante parte verrà venduta».
 
RAFFINERIA ENI DI TARANTO - «Il comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti ha sottolineato che l'intervento in assemblea degli azionisti rappresenta un primo passo verso il disvelamento delle responsabilità di ENI nel disastro ambientale e sanitario tarantino, non solo riconducibile, come spesso narrato dai media e percepito dall'opinione pubblica nazionale, all'impatto delle acciaierie Ilva. Sono stati chiesti aggiornamenti urgenti riguardo al PEE (Piano di Emergenza Esterno), fermo al 2015, e dettagli circa gli eventi anomali che interessano con frequenza l'impianto. Su questi punti non sono state fornite delucidazioni nonostante siano stati posti sia per iscritto sia oralmente durante l'intervento della rappresentante del comitato cittadino. Ulteriore elemento di incertezza per la comunità residente riguarda il destino del greggio estratto nell'ambito del progetto Tempa Rossa, operato da Total in Basilicata, e la sua eventuale lavorazione presso la Raffineria di Taranto, l'AD De Scalzi ha ammesso che il greggio proveniente da Tempa Rossa sarà lavorato a Taranto, specificando che tale elemento non comporterà un aumento dei volumi in lavorazione nell'impianto».
 
ATTIVITÀ ESTRATTIVE IN ECUADOR - «È stato confermato che l'operazione di vendita del 100% della compagnia AGIP oOl company, controllata ENI operante in Ecuador, alla compagnia Plus Petrol è in corso e che i dettagli sono soggetti a clausola di confidenzialità - spiegano ancora le associazioni - Resta da capire come e quando verranno realizzate le operazioni di riparazione ambientale per gli impatti prodotti da AGIP. Nella risposta per iscritto ENI ha affermato di avere avuto da sempre – negli oltre 20 anni di attività nella regione amazzonica ecuadoriana - “ottimi rapporti” con le comunità locali, omettendo le numerose denunce presentate negli anni dalle comunità indigene e dalle organizzazioni ambientaliste contro un modello operativo impattante per il territorio e spesso esercitato in violazione dei diritti umani individuali e collettivi, a partire dal mancato rispetto della consultazione previa ed informata specificamente riconosciuta ai popoli ancestrali».
 
NIGERIA: PROCESSO ENI-IKEBIRI VERSO L'ACCORDO

Vari dei quesiti posti per iscritto all'impresa hanno riguardato le operazioni in Nigeria, tra cui la causa civile intentata nel 2018 dalla comunità Ikebiri contro ENI presso il Tribunale di Milano, per il forte danno ambientale prodotto al loro territorio dalle attività estrattive. I fatti contestati risalgono a nove anni fa: il 5 aprile del 2010 l’oleodotto della NAOC esplose a 250 metri dal fiume situato nell’area nord del territorio Ikebiri.

La causa, tuttora in corso, è destinata a concludersi prima del previsto. Le due parti, la NAOC e la comunità Ikebiri hanno infatti raggiunto un accordo extragiudiziale, i cui contenuti sono confidenziali. Non si arriverà dunque a sentenza, ma il processo intentato ha permesso alle comunità Ikebiri di ottenere finalmente risposta alle loro istanze: dopo anni di trattative, soltanto la pressione esercitata dalle ripercussioni di una causa legale ha portato ENI e NAOC a pagare per i danni causati. Le ONG promotrici della causa, FoEN e FoEE hanno annunciato che monitoreranno il compimento dei termini dell’accordo.

Le associazioni hanno obiettato all'impresa di aver atteso la presentazione della causa civile per la formulazione di una proposta di accordo alla comunità. Inoltre, hanno chiesto come ENI intenda migliorare e rafforzare gli strumenti di due diligente in particolare per le azioni compiute dalle controllate operanti all'estero. La risposta fornita, ovvero che "ENI ha sviluppato un robusto sistema normativo che è recepito e applicato da parte delle società controllate all'estero", è apparsa particolarmente evasiva alla luce dei numerosi conflitti e istanze, anche processuali, intentate dalle comunità residenti sul Delta del Niger.

Ciò premesso, il procedimento giudiziario in Italia resta un precedente importante per tutte le comunità che subiscono impatti dovuti alle attività portate avanti nei loro paesi da imprese italiane o dalle loro controllate. La causa Ikebiri rappresenta il primo caso nel nostro ordinamento in cui una multinazionale con sede in Italia è stata citata in giudizio da un ricorrente straniero in virtù di condotte commesse fuori dal territorio nazionale, aprendo una strada processuale che potrà essere percorsa da altre istanze.

 

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