ONG, il cavallo di Troia del capitalismo globale

Si intitola "Ong. Il cavallo di Troia del capitalismo globale", è l’ultimo libro-inchiesta di Sonia Savioli. Si legge tutto d'un fiato e sembra un giallo per come trama e personaggi riescono ad avvincere, anche se in modo tragico.

ONG, il cavallo di Troia del capitalismo globale

Ultimamente si fa un gran parlare delle cosiddette Ong, le organizzazioni non governative, soprattutto in merito alle problematiche legate all’immigrazione, ma non è sempre facile fare un'analisi lucida e approfondita sul loro lavoro, i loro obiettivi e chi c‘è dietro. Intendiamoci, ci sono organizzazioni non governative che fanno lavori egregi e sono encomiabili, ma ce ne sono anche altre, soprattutto le più facoltose, che lasciano grandi dubbi sul loro operato. Su quelle, nel suo libro "Ong. Il cavallo di Troia del capitalismo globale", Sonia Savioli ha concentrato l’attenzione e con un lavoro attento e puntuale di ricerca ha delineato un quadro decisamente inquietante con alcuni dati impressionanti.

«Il lato umoristico di tutta la faccenda, e rivelatore in modo inequivocabile e incontestabile, è che se i 1100 miliardi annui delle ONG e quelli spesi ogni anno da “fondazioni benefiche” fossero semplicemente redistribuiti ai poveri, la povertà sarebbe un ricordo.  Rivela quindi che queste montagne di denaro sono in realtà investimenti per fare altro denaro»; si legge nel libro della Savioli.

Il sospetto viene proprio vedendo chi sono le maggiori ONG mondiali e quanti soldi gestiscono.

«Le 36 fondazioni “caritatevoli” più ricche al mondo hanno una dotazione complessiva di più di 300 miliardi di dollari, 23 di queste sono statunitensi. La sola Open Society di Soros, che non fa parte di queste 36 più ricche, ha elargito 11 miliardi di dollari in 24 anni. Molte di esse si occupano di sanità, che nel loro linguaggio si traduce in “farmaci”; tutte si occupano di ridurre la povertà, senza riuscirci; di democrazia, influenzando la politica e dichiarandolo e mettendolo a bilancio (sempre per scopi filantropici), e tutte si occupano di terzo mondo. La più ricca in assoluto è la Bill &Melinda Gates Foundation (BMGF) con una dotazione di più di 40 miliardi di dollari. Le cifre annuali di “elargizioni” (ma noi potremmo chiamarli investimenti) sono dell’ordine di miliardi ogni anno».

E ancora: «La fondazione Gates, come altre fondazioni cosiddette filantrope (più di 80.000 solo negli USA), è un ufficio di rappresentanza mascherato delle multinazionali. Uno strozzino che si finge opera pia».

Si viene quindi a scoprire che Ong assai conosciute hanno interessi e scopi ben lontani e decisamente contrari alla filantropia. Scopi e interessi del tutto aderenti ai comitati di affari che ci sono dietro e che dei poveri e della povertà ne fanno un autentico business. Per nessuna ragione al mondo vorrebbero che la situazione cambiasse in meglio, per il semplice motivo che perderebbero tanti soldi. E a giudicare dai lauti stipendi che intascano alcuni dirigenti di ONG e che per questo hanno subito forti critiche, di sicuro la fine della povertà, per loro sarebbe una sciagura.

La Savioli elabora anche le motivazioni profonde del perché proliferano queste organizzazioni che fanno più danni che benefici.

«La nostra cultura, il nostro stile di vita sta distruggendo le fonti stesse della vita e le basi della comunità umana, e noi pensiamo di aiutare i popoli cha abbiamo asservito e sfruttato cercando di convertirli e avvicinarli a questa cultura e a questo stile di vita. Senza renderci conto della nostra cieca presunzione: noi pensiamo ancora e nonostante tutto di essere una civiltà superiore. E, purtroppo, siamo riusciti a farlo credere anche ad una parte di quei popoli asserviti e sfruttati. E grazie a questa convinzione occidentale, così profonda e radicata da essere diventata un sentimento “naturale” e inconsapevole, che il “sistema ONG” ha potuto attecchire e diffondersi. Noi siamo i progrediti, loro gli arretrati. E progredito per noi vuol dire migliore».

E ancora sul rapporto fra il capitalista moderno e le Ong: «Il capitalista “moderno” non ha una vocazione, a parte quella di fare denaro. Non è un industriale, un produttore di merci, legato ad un certo tipo di materiali , strumenti, conoscenze, tecniche e mercati; è un nomade che esplora territori per trovare dove è più redditizio investire; un avventuriero speculatore che crea mercati dal nulla, servendosi di mode e bisogni indotti ma anche creando il bisogno attraverso la distruzione delle economie locali. E la competizione senza più freni, regole e mediazioni dell’epoca neoliberista ha selezionato ai vertici economici gli individui con meno scrupoli, i più ambiziosi e aggressivi, i più predisposti ad una organizzata mentalità criminale. Gli investimenti si spostano da un settore all’altro, da una zona del mondo ad un’altra, di mese in mese, di giorno in giorno. I farmaci sono quotati in borsa, sono un ottimo mercato a patto che non ci siano più persone sane o reputate tali; terre e campi, acque e foreste, sottosuoli e oceani, paesaggi, coste, esseri umani, sentimenti sono merci, si tratta solo di capire come venderli, come “creare un mercato”. E’ questo il lavoro oggi del capitalista e i suoi satelliti. E tra questi satelliti ci sono anche buona parte delle Ong col compito di preparare il terreno al “mercato” in molteplici modi e funzioni».

Ci auguriamo che libri e inchieste eccezionali come questa si diffondano per smascherare chi usa argomenti umanitari solo per arricchirsi, impoverendo e sfruttando ancora di più chi è già sfruttato e povero.

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