«Bisogna dichiarare morto il capitalismo – prima che trascini anche noi nel baratro»

«Bisogna dichiarare morto il capitalismo – prima che trascini anche noi nel baratro»: è il titolo di un intervento sul quotidiano inglese The Guardian dell'editorialista, scrittore e ambientalista George Monbiot. Che non usa mezzi termini e sconfessa anche Stieglitz: «Non esiste il capitalismo buono».

«Bisogna dichiarare morto il capitalismo – prima che trascini anche noi nel baratro»

«Ritengo che il nostro impegno ora sia quello di individuare le proposte migliori dei diversi intellettuali e pensatori e fonderle insieme in un'alternativa coerente al capitalismo» dice Monbiot nel suo editoriale su The Guardian. «Siccome nessun sistema economico è solo un sistema economico, ma ha a che fare con ogni aspetto delle nostre vite, abbiamo bisogno che molte menti provenienti da innumerevoli discipline – economia, ambientalismo, politica, cultura, politiche sociali, logistica – collaborino insieme per creare un modo migliore di organizzarci, che soddisfi le nostre esigenze senza distruggere il pianeta su cui viviamo». Abbiamo sostanzialmente due scelte possibili: fermiamo la vita per permettere al capitalismo di continuare o fermiamo il capitalismo per permettere alla vita di continuare?

E l'amara analisi di Monbiot parte da una critica a monte. Monbiot ci spiega che ci sono almeno due motivi, oggi, per ritenere il capitalismo superato.

Il primo: il capitalismo è intrinsecamente fondato su una crescita continua e senza di essa collassa. Ma una crescita continua, in un ambiente dalle risorse finite, porta alla catastrofe. Un sistema basato su una crescita perpetua oltretutto non può funzionare senza periferie ed esternalità. Ci deve essere sempre una zona in cui rifornirsi di risorse senza pagarle al prezzo pieno; e una zona dove liberarsi dei costi, sotto forma di rifiuti e inquinamento. Quando la scala dell’attività economica aumenta, ecco che il capitalismo sacrifica tutto: dall’atmosfera ai fondali oceanici più profondi, non c’è angolo del pianeta che venga risparmiato ad questa logica del profitto.

Il secondo motivo è dato dal bizzarro assunto secondo cui una persona ha diritto a godere di una fetta di ricchezza naturale secondo quanta ne può comprare il denaro che ha. Ciò porta alla corsa per il controllo esclusivo delle risorse e implica violenze e abusi, provoca l'impoverimento di una grande fetta di popolazione e la traduzione del potere economico in potere politico, come controllo sulle risorse essenziali che diventa controllo sociale.

Queste riflessioni spingono Monbiot a concludere che non può esserci una «crescita verde», cioé sostenibile. Come non può esistere un «capitalismo buono», al contrario di quanto costiene il premio Nobel Joseph Stiglitz, che sul New York Times distingue chi «crea ricchezza» (cioé i buoni capitalisti), da chi la «saccheggia» (ovvero i cattivi): «Da un punto di vista ambientale la creazione di ricchezza è sempre un saccheggio», dice Monbiot, perché la crescita economica presuppone il saccheggio di risorse naturali, che oltre ad essere anche di altre forme di vita (animali, piante) appartengono anche alle generazioni future.
Il capitalismo ha fatto il suo tempo e oggi produce più male che bene.

Dunque cosa scegliamo? Fermiamo la vita per permettere al capitalismo di continuare o fermiamo il capitalismo per permettere alla vita di continuare?

 

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