Boiron intervista il prof. Elia sull’omeopatia

Che cosa significa “studiare l’acqua? Le soluzioni omeopatiche hanno proprietà differenti dall'acqua usata in partenza? Esistono ricerche sulle diluizioni omeopatiche? Boiron approfondisce l’argomento con il prof. Vittorio Elia, docente di Elettrochimica presso l'Università Federico II di Napoli.

Boiron intervista il prof. Elia sull’omeopatia
Professor Elia, lei ha pubblicato alcuni studi sulle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua: può dirci cosa significa esattamente “studiare l’acqua”? "Studiare l'acqua" significa immergersi in un mondo sconosciuto. Si tratta infatti di un tema particolarmente ampio e complesso: senza dubbio è il liquido più esaminato al mondo, che tuttavia presenta ancora tante, tantissime, incognite. Più gli esperti studiano le proprietà dell'acqua, più si rendono conto di quanto ancora ci sia da scoprire. Ho avuto modo di studiare a lungo la termodinamica delle soluzioni acquose, in riferimento a molecole modello di interesse biologico, in particolare attraverso la calorimetria. Ho cercato quindi di applicare la mia esperienza anche allo studio dell'acqua, la quale è stata trattata con i protocolli della medicina omeopatica, ma non solo: durante questi venti anni di studio, con il mio team abbiamo infatti individuato altri due o tre protocolli dai quali emergono caratteristiche similari una volta che l’acqua subisce questi trattamenti. Studiare le caratteristiche chimico-fisiche dell'acqua riveste a mio parere una grande importanza, e lo si fa con operazioni piuttosto semplici: la misurazione del pH per accertare il grado di acidità con uno strumento chiamato piccametro, oppure la misurazione della conducibilità elettrica mediante conduttimetro. Un'altra operazione riguarda la misurazione del calore sviluppato dall'acqua quando viene a contatto con una soluzione alcalina: in questo caso si tratta di una pratica piuttosto complessa, se vogliamo individuare una misura di calorimetria particolare, in quanto servono strumenti molto sofisticati e costosi. Perché si afferma che le soluzioni omeopatiche presentano proprietà chimico-fisiche differenti dall'acqua usata in partenza? Le soluzioni omeopatiche sono preparate attraverso una metodologia particolare, che provo a riassumere brevemente: si procede con una soluzione che presenta una piccola quantità (misurabile a livello ponderale) di un qualsiasi soluto, e la si diluisce ulteriormente in acqua (ad esempio 1 grammo in 100 ml d'acqua); in seguito si agita il tutto energicamente, tramite un processo chiamato succussione, e l'operazione può essere ripetuta nel complesso anche centinaia di volte. Chiaramente già dopo quattro o cinque diluizioni di questo tipo la quantità di soluto è ridotta ai limiti della misurabilità: aumentando il numero delle diluizioni non troviamo più traccia del principio attivo inizialmente presente. Al termine delle diluizioni potremmo quindi dire di trovarci di fronte semplicemente ad acqua pura, anche da un punto di vista chimico. Tuttavia, le persone che per denigrare l'omeopatia sono solite dire che "la medicina omeopatica è acqua pura" commettono un errore metodologico. Provo a spiegarne il motivo: una soluzione è costituita da due parti, il solvente, cioè l'acqua, e il soluto, cioè la sostanza che vi è sciolta. Con la diluizione la quantità di soluto diminuisce gradualmente fino a scomparire, ma questo non significa che il solvente sia rimasto inerte: l'acqua così ottenuta risulta profondamente diversa nelle sue caratteristiche chimico-fisiche rispetto all'inizio del processo, acquisendo nuove proprietà. Ad esempio la conducibilità elettrica è notevolmente aumentata, così come il calore generato dal mescolamento con una soluzione alcalina, mentre il pH è variato in maniera misurabile. Ci troviamo di fronte ad un elemento in grado di fornire anche informazioni di natura terapeutica. Come vengono accolti tali studi dalla comunità scientifica? Si tratta di una questione estremamente delicata. Nell'ambito ristretto del Dipartimento di Chimica i miei studi non sono considerati, tuttavia sono accreditati presso la Comunità Scientifica Internazionale, in quanto ho pubblicato oltre 37 lavori su importanti riviste scientifiche. Questo vuol dire che le metodiche e le tecniche usate sono corrette, anche se la comunità scientifica italiana fatica ancora ad accettarne pienamente i risultati. Sono però sicuro che gli esiti più recenti, davvero straordinari, ci porteranno a superare questi ostacoli. Cosa risponde alle consuete argomentazioni dei detrattori dell’omeopatia, per i quali si tratta solo di “acqua fresca”? A queste argomentazioni rispondo che effettivamente si tratta di acqua fresca e pura, come accertato da tutte le possibili analisi condotte sulle diluizioni omeopatiche. Tuttavia è stato commesso un errore metodologico, trascurando di esaminare specificamente se il solvente abbia subito delle modifiche e in quali termini. È proprio questo che ho cercato di appurare in questi venti anni con il mio team di ricerca. Qual è lo stato dell’arte delle ricerche sulle diluizioni omeopatiche? Con un certo ottimismo possiamo affermare che abbiamo ormai raccolto una massa critica di dati sperimentali sufficienti per attestare, in modo corretto e veritiero, che "le diluizioni omeopatiche contengono in seno al liquido degli aggregati di molecole d'acqua". Non esiste al momento una teoria scientifica atta a spiegare un risultato ancora sperimentale, perché cioè si formino degli aggregati. Non conosciamo ancora i motivi, ma la formazione degli aggregati è un fatto certo, come dimostrato da tecnologie spettroscopiche e microscopiche. I nostri futuri sforzi sono orientati a dimostrare cosa si nasconda all'interno di questi aggregati: ci proponiamo di confermare a livello scientifico che nella forma e nella dimensione di questi aggregati è conservata una memoria del procedimento originario, con la possibilità di aprire la strada ad eventuali possibilità di natura terapeutica. Quali saranno, a suo avviso, i nuovi orizzonti di ricerca sull’acqua e sulle diluizioni omeopatiche? A questo punto diventa importante superare la fase che ci ha portato ai risultati finora ottenuti. Sarà opportuno insistere su analisi di natura termodinamica, perfezionando anche gli studi microscopici e spettroscopici per esaminare gli aggregati e la loro natura, senza dimenticare gli aspetti clinici legati a tali formazioni. Restano dunque ancora molti punti interrogativi, il nostro lavoro è destinato a proseguire ancora per molti anni a venire.

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