Brexit, Regno (dis)Unito

Per cortese concessione dell'autore, riportiamo questa analisi del voto britannico sull'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. Scritta da Andrea Strozzi, è comparsa sul blog che l'autore (collaboratore del portale Il Cambiamento) tiene sul sito web de Il Fatto Quotidiano.

Brexit, Regno (dis)Unito

Mentre sto scrivendo, i listini rintoccano: -11.1% Ftse Mib, -12.2% Ibex, -6.7% Dax, -8.2% Cac, -7.9% Nikkei, -20.2% i bancari (aspettando Wall-Street). Continuate pure a chiamarli populistiPoco meno di quattro anni fa, in quello che si sarebbe rivelato come uno dei post più profetici del mio blog personale, scrissi che “il sanguinoso dualismo che si sta prospettando all’orizzonte non è più tra destra e sinistra – categorie sepolte dalla storia e facenti oggi parte di un’unica poltiglia ideologica, finalizzata soltanto a preservarne gli illegittimi interessi accumulati sin qui – ma è tra nuove forme di localismo e un furioso progetto di pancontinentalismo mercantile che, senza alcun rispetto per le specificità territoriali, sta tentando di diluire la bandiera della Comunità nel solvente chimico dell’economia”.

Non occorreva chiamarsi Nostradamus per indovinare cosa sarebbe accaduto nel medio termine. Era sufficiente una discreta conoscenza dei loschi obiettivi del disegno europeista (soppressione delle sovranità nazionali, trasferimento della governance internazionale alle banche, progressiva esautorazione del potere politico dei cittadini) e possedere un po’ di intuito su come l’evoluzione della comunicazione liquida dei social network avrebbe accelerato e diffuso il disgusto per l’inganno eurocratico, producendo quella crescente disaffezione per l’Unione Europea che, mixata ieri al tradizionale orgoglio anglosassone, ha generato il cocktail micidiale che gli Inglesi (non quelli di Londra, dove i remain erano al 60%) e i Gallesi hanno rifilato a Merkel e dintorni. Cin-cin.

Mi limito a registrare come, al di là di improduttivi entusiasmi, a prendere apparentemente a schiaffi il turbocapitalismo finanziario, espresso in questi anni dall’Unione, sia stato proprio il paese che, oltre ad ospitare una delle più antiche borse del mondo, più di ogni altro ne interpreta da sempre lo spirito espansionistico e neocoloniale. Ma lo abbiamo detto: così come l’ansia di cambiamento emerge sempre più chiaramente (anche in Italia) dalle periferie dei grandi centri urbani, anche il leave ha trionfato dappertutto ad esclusione della City, dove cioè si concentrano gli interessi e gli affari dei ceti abbienti. Ed ecco allora che la mia profezia (per la quale – ricordo – ho usato l’aggettivo “sanguinoso”) assume connotati strettamente connessi, oltre che ad anacronistiche pulsioni irredentiste, soprattutto all’irrisolta e gravissima questione della distribuzione della ricchezza nelle economie cosiddette avanzate.

Sembrerebbe evidente. Eppure, basta aprire un qualsiasi quotidiano finanziario per scoprire improbabili e divertentissime analisi sulle contromisure che si vorrebbero adottare per minimizzare i danni dello tsunami finanziario e ristabilire gli equilibri economici e commerciali (come se la ripatrimonializzazione delle banche fosse in cima alle preoccupazioni di sora Cesira…). Inizialmente ero convinto che tutti questi templari del profitto, questi impenitenti bocconiani 2.0, questi sepolcri imbiancati del neoliberismo ad ogni costo, fossero soltanto dei raffinatissimi complici di una forma mentis patologica e patogena, illusoriamente convinta di poter creare ricchezza dal nulla per sempre e senza scontentare nessuno. Invece, col passare degli anni, e avendoli conosciuti dall’interno, mi sono definitivamente accorto che, molto più semplicemente, non ci arrivano!

Gini (1)

Per queste persone, i concetti di misura, di sufficienza, di abbastanza sono banalmente non pervenuti. Devono divorare a più non posso e senza alcuno scrupolo tutto ciò che il sistema di riferimento a cui appartengono mette a loro disposizione. La verità è che ad essere sull’orlo del collasso non sono gli equilibri valutari, ma quelli sociali. Questi professoroni del capitale però non capiscono: continuano a definire populista chi osa contestare questo disegno criminale, manipolano l’opinione pubblica con qualsiasi (ripeto: qualsiasi) strumento a disposizione, gettano fango sullo stesso funzionamento della democrazia (qualora questa produca risultati ritenuti “irresponsabili”). Allora, a questi paladini della responsabilità, sarebbe interessante chiedere una valutazione sull’evoluzione, proprio durante la cosiddetta crisi, dell’indice di concentrazione della ricchezza che ogni anno Eurostat calcola e diffonde. Una delle poche cose per cui, ai miei stanchissimi occhi, questa idea di Europa abbia ancora un senso.

Da Brexit, Regno (dis)Unito

 

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Commenti

Interessante analisi della situazione. Mi permetto proporre altre analisi che amici e conoscenti che vivono in UK mi hanno fatto sulla stessa situazione: l'uscita ha vinto in Inghilterra e Galles, però non nella metropoli di Londra né a Oxford. Un'analisi di un conoscente diceva che queste sono le città con più alto numero di laureati e in generale il livello di istruzione medio più alto, come se si sostenesse che l'uscita dall'UE fosse dovuto a un fatto di ignoranza e soprattutto PAURA DEL DIVERSO (ricordo che l'Inghilterrra si è trovata un poco inondata di migrazione interna europea e ultimamente c'è da considerare la "minaccia" di arrivo di un numero non meglio precisato di rifugiati dal medio oriente). Di fatto, l'altra analisi che mi hanno proposto degli amici che vivono a Londra è proprio che tutti gli immigrati (che lì abbiano potuto votare), concentrati soprattutto a Londra, hanno votato per il "Remain", perché uscendo dall'Europa sarebbe molto più difficile restare in UK (minaccia di visti, permessi di soggiorno da rinnovare in continuazione, più clausole alla residenza...). La Scozia ha votato per restare perché evidentemente avrebbe dei vantaggi economici nel restare in UE, specie senza l'appoggio dell'Inghilterra (voci dicono che vogliono un altro referendum per separarsi dall'UK, così da tornare in UE). Mia opinione infine: quello che io vedo è che usciti dalla 2°Guerra M., c'era un forte sentimento di "basta guerre/basta divisioni" che ha fatto nascere l'UE a poco a poco. È facile, finché le cose vanno avanti bene (l'illusione dell'economia sempre in crescita come dici tu nel tuo articolo) è facile restare uniti, difficile diventa quando il gioco si fa duro! Non lo vedo un caso che Scozia e Catalogna (Spagna), due regioni sempre indipendentiste, ora abbiano aumentato questa idea di separazione (nel 2012/2013 la Catalogna ha per la prima volta superato il 50 % nelle statistiche di persone che vogliono uscire dalla Spagna, sono la regione che traina l'economia spagnola), che l'UK voglia separarsi dall'UE, che i movimenti di "Venezia indipendente" e "Territorio libero di Trieste" si siano fatti sentire con nuova forza nelgi ultimi anni. Per me si riconduce tutto nel "c'è un capo brutto e cattivo che ci ruba soldi/indipendenza/libertà" o "gli altri sono tutti corrotti/regaliamo soldi agli altri e non ne abbiamo nulla in cambio", nel "i poteri dall'alto ci stanno fottendo, solo di QUELLI COME NOI possiamo fidarci". Io non vedo questi movimenti come parte del BEL localismo fatto di condivisioni, di compartecipazione, di riscoperta delle relazioni, io vedo questi localismi come movimenti generati dalla paura del diverso, paura del lontano, del burocrate corrotto, dell'immigrato nero o rumeno che ci ruba il lavoro, del terrorista che si mescola ai rifugiati (i terroristi, ricordo, non rischierebbero di affogare in mare per mescolarsi agli altri, questi arrivano con biglietto aereo e documenti già belli pronti e falsi!). Che poi l'Europa sia purtroppo cresciuta soprattutto grazie all'esplosione economica dei '50/'60, è un fatto, sta a noi insegnare agli altri di un'Europa meno economica e più "politica" (nel senso della Polis)! Che dite?
Giacomo Armani, 03-07-2016 12:03
Ciao Giacomo. Sono sostanzialmente d'accordo con la tua diagnosi. Credo che la Comunità Europea stia al desiderio di comunità degli europei più o meno come Airbnb sta alla economia di condivisione: un artificio consentito dalla tecnica e dal progresso, cioè, che si sostituisce a quello che dovrebbe essere un bisogno umano, espresso dalle persone e alieno da tornaconti economici. Non c'è Comunità Europea che tenga, di fronte all'ingordigia del Dio Mercato. L'obiettivo è solo produrre, produrre, produrre. Per crescere, crescere, crescere. Fino a che non si cambieranno le priorità, non c'è modello di Comunità Europea che tenga... Ciao
Andrea Strozzi, 04-07-2016 08:04
io dico che la cecità della sinistra europea alla realtà di quello che l'Unione Europea è diventata fa sì che ogni volontà di sottrarvisi non trovi sponde politiche che nella destra xenofoba. Mi pare che il rifiuto di considerare la legittimità delle aspirazioni popolari alla sovranità nazionale sia un chiamare a gran voce il fascismo, il quale malauguratamente di solito risponde presente.
carla ghiglieri, 04-07-2016 10:04
Credo che dobbiamo smetterla, Carla, di dare la colpa alla politica. Chi, ad aprile, ha generato 10km di coda per andare a mangiarsi il pollo fritto al KFC di Arese non erano i rappresentanti di questo o quel partito. Eravamo noi. Così come, sulle passerelle al Lago d'Iseo, non ho visto la Merkel, né Hollande, né Farage, né Salvini... Siamo noi i responsabili e i depositari del cambiamento. I politici, sia in Italia che in Europa, si adeguano soltanto a quello che chiediamo noi. O cominciamo noi, o sarà tutto inutile.
Andrea Strozzi, 05-07-2016 07:05
ti ricordo che in ben due occasioni dirigenti di livello europeo come Juncker e Schultz hanno affermato che non c'è scelta democratica che possa andare contro i trattati europei e che consultare i popoli in merito al loro futuro non è un'usanza europea. In soldoni, non importa quello che noi vogliamo o decidiamo. Del resto, in Val di Susa come a Notre Dame des Landes, la massiccia partecipazione popolare contro i progetti dissennati dei governi italiano e francese è stata repressa a colpi di flashball e sentenze di condanna. I politici fanno quello che chiediamo noi? non mi pare proprio.
carla ghiglieri, 05-07-2016 07:05
Allora nascondiamoci dietro l'alibi dell'onnipotenza della politica e lasciamo stare. Ma sì, che ci frega? Non cominciamo neanche, non facciamo nulla. Anzi: prendiamoci pure gioco di quei pochi, fanatici e visionari che hanno provato a cambiare qualcosa... Se è questa la tua tesi, non sono d'accordo, ma la accetto. In fondo, è quella praticata dal 99,9% della popolazione... Un caro (e amaro) saluto
Andrea Strozzi, 06-07-2016 08:06

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