59 miliardi di soldi pubblici per centrali a carbone. E’ civiltà?

I paesi del “primo mondo”, quelli dove le parole civilizzazione e industrializzazione hanno accezioni positive, hanno speso in 6 anni 59 miliardi di dollari di soldi pubblici per costruire centrali a carbone. Ma siamo sicuri che questa sia civiltà?

59 miliardi di soldi pubblici per centrali a carbone. E’ civiltà?

Dal 2007 al 2013 oltre 59 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici sono stati erogati per sostenere la realizzazione di centrali a carbone. Il Giappone è quello che ha investito di più, poi vengono gli Stati Uniti e la Germania. E la cosa peggiore è che nella maggior parte dei casi questi impianti vengono realizzati ben lontani “da casa propria” secondo il ben noto proverbio “lontano dagli occhi, lontano da cuore”. Così, le proteste i governi più difficilmente le avranno sotto casa.

Ma qual è il costo reale, complessivo dell’inquinamento provocato dalle centrali a carbone? Di sicuro ci sono i 59 miliardi di dollari gettati letteralmente sulle braci; poi ci sono i costi ambientali e quelli di salute, incalcolabili. Quindi, proviamo a ribaltare il ragionamento: quanto si risparmierebbe rinunciando al carbone? Tanto, in termini di soldi e di salute. Il flusso di denaro arriva principalmente dalle banche internazionali per lo sviluppo come la World Bank Group, la Banca Europea per gli Investimenti, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo e l’Asian Development Bank; poi ancora l’Export-Import Bank degli Stati Uniti.
«E’ il momento di mettere in atto misure serie per fare in modo che I finanziamenti pubblici non possano più essere indirizzati a progetti che sostengono l’uso del carbone – ha spiegato Jake Schmidt, direttore delle politiche internazionali sul clima del Natural Resources Defense Council – Innanzi tutto occorre estendere le restrizioni a tutte le tipologie di progetti che utilizzano il carbone e non si può più prescindere dalla necessità di concentrare le risorse esclusivamente sulle fonti pulite di energie rinnovabili».
E che nessuno creda che l’Italia non debba cospargersi il capo di cenere. «Il 72 per cento dell'elettricità prodotta in Italia con il carbone è fatta da Enel, che con questo combustibile fossile produce il 41 per cento del prodotto nazionale – spiega Greenpeace – noi denunciamo da anni questo stato di cose. A partire dal 2006, Greenpeace ha contrastato la scelta a favore del carbone dell’azienda elettrica con azioni e campagne culminate – nel 2012 – nella campagna “Facciamo luce su Enel”. Poi è arrivata la bellissima vittoria di Porto Tolle, dove la Commissione VIA del ministero per l’Ambiente ha bocciato il progetto di conversione a carbone della centrale Enel. Ora Enel, se vorrà perseguire nel più catastrofico degli errori, dovrà presentare un nuovo progetto e un nuovo Studio di Impatto Ambientale. La conversione a carbone, la fonte più inquinante e dannosa per il clima e la salute umana, di una vecchia centrale a olio combustibile nel bel mezzo di un parco naturale, in un ecosistema fragile e prezioso, è sempre stata ed è ancor oggi una enorme sciocchezza».
Eppure di sciocchezze sono cosparse le vie di questo pianeta.

 

 

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