Cultivate London, dove agricoltura e lavoro si fondono

Dopo l’indigestione industriale sono tantissimi coloro che fanno il passo e ritornano alla campagna, recuperando aree ed edifici in precedenza abbandonati, ripopolando la terra e riallacciando quel rapporto con la natura che oggi, nella società moderna, manca quasi completamente. Il Cambiamento vi racconta l’esperienza inglese di una comunità divenuta urban farm e premiata come impresa sociale.

Cultivate London, dove agricoltura e lavoro si fondono

Tra il 1780 e il 1830 fu la patria della Rivoluzione Industriale, ovvero quel processo di trasformazione della società da un sistema agricolo e artigianale ad uno prettamente industriale, caratterizzato dall’utilizzo di combustibili fossili e di macchine azionate da energia meccanica. Da allora la Gran Bretagna, e Londra in particolare, hanno subìto forti mutamenti urbanistici e sociali, con un progressivo abbandono della campagna a favore della città. A distanza di poco più di due secoli, proprio in oltremanica, si assiste, seppur lentamente, ad un processo totalmente inverso: un vero e proprio ritorno alla campagna, che trova nelle fattorie urbane la più viva e fervida espressione. Una di queste è Cultivate London, una piccola ma fiorente urban farm, che sorge su un’area precedentemente abbandonata nella zona ovest di Londra. Un’impresa sociale che ha recentemente ricevuto il premio “Producer of the Year” dall’Observer Food Monthly per quanto fatto nell’ambito dell’agricoltura urbana.
Per capire meglio questo trend, abbiamo intervistato Adrienne Attorp, General Manager di Cultivate London.


Da dove nasce l'idea di Cultivate London?
«Cultivate London fu fondata nel 2010 dalla Housing Pathways Trust (ex Ealing and Brentford Consolitated Charity), un'organizzazione caritatevole della capitale, con lo scopo di affrontare il problema della disoccupazione giovanile a Londra, in particolare nei quartieri di Hounslow e Ealing. In virtù di un crescente interesse per il cibo locale e per i benefici terapeutici associati al lavoro della terra, decidemmo di scegliere il settore dell'orticoltura per veicolare il programma di formazione».
Cultivate London ha tre obiettivi principali. Il primo è quello di formare giovani e creare opportunità di lavoro per i disoccupati con fascia di età tra i 16 e i 24 anni nel settore dell'orticoltura. Qual è la risposta dei ragazzi? E quale il loro futuro dopo questo percorso di formazione?
«In generale abbiamo ricevuto una risposta molto positiva dai ragazzi: gli piace lavorare la terra e stare in un ambiente esterno, all'aperto. Mentre noi cerchiamo di rendere il lavoro puro divertimento. Quando il periodo di formazione termina, sosteniamo i ragazzi a trovare lavoro nel nostro settore, o in caso negativo, in altri. Lo scorso anno oltre il 50% (13) dei nostri tirocinanti è riuscito a trovare un'occupazione nel mondo del lavoro, e un ulteriore 5% proseguì in altri ambiti di formazione. Alcuni di questi riguardavano l'orticoltura, altri il settore alimentare, altri ancora settori totalmente differenti dal nostro».
Il secondo obiettivo è quello di convertire i terreni abbandonati e vuoti in tutta Londra in campi produttivi. Qual era la situazione prima di Cultivate London? E adesso?
«C'è sempre stata una discreta quantità di terreno in disuso a Londra, anche se gran parte di esso era destinato allo sviluppo (si trattativa di terreni pubblici e privati). Quando abbiamo iniziato, è stato molto difficile trovare enti e persone disposti a concederci l'uso della terra. Tuttavia, mano a mano che crescevamo e sviluppavamo programmi di formazione, la gente ha iniziato ad interessarsi a noi, e da allora, non è stato difficile trovare ampi spazi. Abbiamo iniziato con un sito a Brentford, mentre ora ne abbiamo quattro, due proprio a Brentford (LB Hounslow), uno a Isleworth (Hounslow) e uno in fase di sviluppo nel South Acton Estate a LB Ealing».
Infine, l'ultimo obiettivo è quello di aumentare la quantità di prodotti locali e biologici per i londinesi. Avete qualche dato in merito?
«Nessuno in particolare. Noi vendiamo tutti i nostri prodotti all'interno della città di Londra, soprattutto nel West London, con cifre che si aggirano tra i 5 e i 20 kg di vegetali a settimana, nel periodo che va da marzo a dicembre. Quest'anno puntiamo ai 20 kg costanti periodici. Non solo, ma vendiamo anche vasi e piantine, così diamo alla gente la possibilità di coltivarle in proprio. Ne vendiamo migliaia all'anno, ma come queste cifre si possano tramutare in consumi, proprio non ne ho idea!».
Anche in Italia vi è un aumento di fattorie urbane. E allo stesso tempo molti ragazzi stanno tornando all'agricoltura. Cosa ne pensi? E' così anche in Inghilterra?
«Negli ultimi 5 anni l'interesse per l'agricoltura urbana è cresciuta rapidamente nel Regno Unito, in particolare a Londra. Iniziative come Capital Growth (Sustain) sono state fondamentali per aumentare la consapevolezza di tale fenomeno e per farlo sviluppare. Sempre più giovani, in particolare la middle-class e quelli con un certa istruzione, sono interessati ad una produzione alimentare sostenibile. Questo li esorta a tornare all'agricoltura. Adesso come adesso non posso dire se questa tendenza sarà la stessa in futuro, ma se la produzione alimentare continuerà ad essere un tema caldo (e lo spero), non vedo il motivo per cui non dovrebbe proseguire. Il problema è che nell'orticoltura non gira molto denaro e questo potrebbe essere un deterrente per tanti che altrimenti sarebbero solleticati dall'idea».
I vostri obiettivi sono molto vicini al Movimento per la Decrescita Felice. E' veramente così?
«Sebbene gli obiettivi siano simili, noi non ci sentiamo di far parte del movimento né i suoi principi sono strumentali ai nostri».
Pensi che questioni come ecologia, vegetarianesimo, mancato rispetto della natura possano mai diventare priorità nell'agenda politica dei governi?
«Penso che questi temi possano diventare priorità dei governi solo quando diventeranno i temi della maggioranza delle persone. Fin quando rimarranno poco popolari, i governi non interverranno. Al contrario, solo se un giorno la domanda pubblica diventerà alta, allora i governi potranno inserire tali questioni nell’agenda politica».
In conclusione, Jigme Singye Wangchuck, re del Buthan, ha detto: “La felicità interna lorda è più importante del Prodotto interno lordo”. E' una visione utopica?
«In generale, le persone felici lavorano di più e producono di più. La salute della popolazione e la felicità sono fondamentali per un'economia forte. E' utopico credere che sia possibile avere una popolazione sana e felice e al contempo un'economia forte? Essi sono interconnessi e si alimentano a vicenda. Dobbiamo sperare in un futuro migliore, perché se non ci crediamo, allora potremmo anche rinunciare a tutto quello che stiamo facendo».

 

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