Liberalizzazioni. Acqua, lavoro e spiagge i temi bollenti del decreto

Meno diritti per i lavoratori, con una deroga all'articolo 18, e nuova spinta per la privatizzazione dell'acqua, in barba ai referendum. Dall'altro lato un provvedimento che frena le concessioni selvagge e la cementificazione delle spiagge. Ecco i pro e i contro del decreto liberalizzazioni, che il governo ha intenzione di approvare entro il prossimo 20 gennaio.

Liberalizzazioni. Acqua, lavoro e spiagge i temi bollenti del decreto
Un colpo all'articolo 18, una spintarella alla privatizzazione dell'acqua. Di contro anche nuove regole più restrittive sulle concessioni delle spiagge. E poi nuove norme su benzina, energia, ordini professionali, farmacie, notai, burocrazia, consumatori. Unici settori esclusi, per adesso, quelli delle banche, delle assicurazioni e del gas. Sono molte le carte, per ora soprattutto bozze, presentate sulla scrivania di Monti, che attendono di confluire nel prossimo decreto sulle cosiddette liberalizzazioni. “Sono solo bozze” sembra essere diventata anche l'espressione preferita di molti ministri, interpellati dalle categorie colpite dal decreto. Lo ha detto un portavoce del governo ai petrolieri, infuriati per l'ipotesi della separazione fra produzione e distribuzione dei carburanti. È stato Antonio Catricalà in risposta ai sindacati, e al ministro del Welfare Elsa Fornero, che lo interpellavano sulle modifiche proposte all'articolo 18. Proprio l'attacco all'articolo 18 da parte del governo è uno dei punti più discussi. Se l'ipotesi venisse confermata all'interno del decreto, si tratterebbe di una sorta di rivoluzione. Ad oggi l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori impedisce alle aziende sopra i 15 dipendenti il licenziamento senza giusta causa. La norma in questione estenderebbe la facoltà di licenziare senza giusta causa anche ad aziende con fino a 50 dipendenti, se queste sono il frutto di una fusione fra due o più aziende che ne hanno meno di 15. Dunque avrebbe un doppio scopo: da un lato incentivare la fusione fra le aziende medio-piccole; dall'altro far fare un ulteriore passo indietro ai diritti dei lavoratori, che ormai da qualche anno, complice la crisi, vedono svanire a suon di decreti e riforme i frutti di decenni di scioperi e lotte sindacali. Altro capitolo che fa discutere è quello relativo ai servizi locali. Il riferimento va soprattutto alla gestione dell'acqua, principale oggetto dei quesiti referendari degli scorsi 12 de 13 giugno. Se allora la maggioranza assoluta del popolo italiano, 26 milioni di cittadini, si era espressa a favore di una gestione pubblica, partecipata e fuori dalle leggi di mercato del servizio idrico, adesso tale volontà rischia di essere ribaltata, e l'annoso processo di privatizzazione – anziché stopparsi – di subire un'ulteriore accelerazione. Il popolo dell'acqua non ci sta. “In questo modo si vuole mettere all’angolo l’espressione democratica della maggioranza assoluta del popolo italiano, schiacciare ogni voce critica rispetto alla egemonia delle leggi di mercato ed evitare che il 'contagio' si estenda fuori Italia”, si legge in un comunicato diffuso dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua, che chiama a raccolta tutti i cittadini. Tempo addietro è stata lanciata la Campagna di obbedienza civile, che invita i cittadini, in accordo con quanto espresso dal secondo quesito dei referendum, a scorporare dalla bolletta, e dunque non pagare, la percentuale relativa alla remunerazione del capitale investito. Ora viene lanciato un appello, da sottoscrivere, per chiedere con determinazione “al Governo Monti di interrompere da subito la strada intrapresa” e “a tutti i partiti, a tutte le forze sociali e sindacali di prendere immediata posizione per il rispetto del voto democratico del popolo italiano”. Un capitolo del decreto che invece sembra riscuotere molto successo, soprattutto fra le associazioni ambientaliste, è quello relativo all'intervento sulle spiagge. Secondo quanto previsto nella bozza di decreto, la concessione del demanio marittimo sarà assegnata con gara pubblica e non potrà durare più di quattro anni; gli attuali concessionari avranno un diritto di prelazione pareggiando l’offerta più alta. Esulta Legambiente. “Le gare pubbliche per la concessione delle spiagge rappresentano un segnale importante per avvicinare l’Italia all’Europa – ha commentato Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale dell'associazione -. Ci auguriamo che il Governo Monti riesca a realizzare questo importante cambiamento che metterebbe fine alla diffusa pratica della ‘privatizzazione’ delle spiagge garantendo ai cittadini il diritto ad usufruire liberamente degli arenili e darebbe un freno al cemento sulle rive”. Anche dal Wwf si dichiarano soddisfatti, e si congratulano con il governo. “Il problema delle aree demaniali marittime è anche quello di congelare il rilascio di nuove concessioni visto che gli stabilimenti balneari sono passati da circa 5mila di 10 anni fa a quasi 11mila di oggi. Esiste dunque una grandissima possibilità di aumento degli introiti economici a vantaggio pubblico senza un’ulteriore occupazione di suolo e senza pregiudicare la libera fruizione delle nostre spiagge, e il provvedimento del Governo sta andando in questo senso”.

Commenti

Pian piano ci rendiamo conto che la definizione di "impressionanti" data dalla Merkel alle riforme presentatele dal Monti era in perfetta linea con il vocabolario della lingua italiana. Ora che i treni delle pensioni e degli aumenti delle bollette energetiche sono partiti e che la sola attesa della fase di crescita stenta a far decollare la protesta popolare, si fanno più critiche le analisi sulle ulteriori decisioni , non accettabili se non attraverso una convincente esposizione dei vantaggi di ripresa a medio-breve termine. Le intransigenti opposizioni alle liberalizzazioni delle gestioni dei servizi pubblici come pure alla riformulazione in senso imprenditoriale delle tutele del lavoro dipendente sono oggettivamente motivate per la palese incostituzionalità di subordinare l'interesse generale a quello privato e di mettere su un piano di dipendenza obiettiva il lavoro subordinato rispetto all'iniziativa imprenditoriale, generalmente privata. A quest'ultimo riguardo non bisogna dimenticare che il passato governo parlava e tentava di riformulare proprio l'art. 1 della Costituzione, consapevole, pur nella sua balordaggine, che il lavoro era costituzionalmente posto su un piano perlomeno pari se non superiore all'iniziativa imprenditoriale privata. Non sarà certo il contentino ambientalista a fermare la critica e l'opposizione al declassamento della gestione pubblica a semplice controllo e del lavoro a rimorchio dell'impresa privata. Le accuse di Ichino a forze sociali e serie come la FIOM e la CGIL, di essere cioe' abbarbicate a concezioni strutturali passate e non attente al nuovo assetto economico dato dalla globalizzazione dei mercati, partono da una base di arrendevolezza accettata e purtroppo maturata da tempo nella lontananza e nella inesperienza della condizione operaia. Una base non conforme dall'assetto legale e costituzionale che il Paese, pur nelle sue vicissitudini, continua ad avere con l'affermazione della supremazia del fondamento lavorativo della collettività repubblicana e democratica. Che questa supremazia non sia finora riuscita nemmeno a raggiungere il diritto di discutere la proposizione di piani industriali delle imprese (come avviene, ad es. in Germania)e tanto meno di politica industriale dei vari governi, non porta certo alla conclusione opposta: che siano cioè le industrie a determinare la politica e l'assetto del Paese. Volete un esempio di questa...subordinazione intellettuale? Ichino ha criticato l'atteggiamento FIOM sul licenziamento del personale italiano dei treni a lunga percorrenza per non aver firmato gli accordi che altri sindacati hanno raggiunto per la dislocazione del personale in altre mansioni. Non ha preso nella pur minima considerazione il fatto che le decisioni aziendali tagliavano in due il servizio di collegamento diretto ferroviario lungo la linea adriatica! Neanche una parola sull'Italia tagliata in due sulla secolare unione adriatica, sulla pendulare migrazione lavorativa delle braccia e dei cervelli meridionali. Eppure è evidente che questa divisione nazionale derivava esclusivamente da una decisione padronal-aziendale (oltretutto condita da rilevazioni fasulle)! Non c'è flexsecurity che tenga quando si sposa la verità di quello che si crede a priori e per incapacità e inattitudine partecipativa il più forte. Non è a questo tipo di cambiamento che la politica, scrutatrice della drammaticità del futuro e partecipe delle condizioni del momento, deve adoperarsi.
Franco, 13-01-2012 10:13
vediamo se avrà la forza di liberalizzare assicurazioni e banche. Guardate cosa si può fare: http://blog.libero.it/assicuratore
Assicurazioni, 14-01-2012 11:14

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