Il parco nazionale delle discariche. Un'altra lettura di Terzigno

La rivolta degli abitanti di Terzigno non parte soltanto dalla puzza delle discariche, ma è anche e soprattutto il sintomo della imminente deprivazione di un'identità, quella della popolazione locale, intimamente legata all'integrità di un patrimonio naturale prezioso. "Prendere il Vesuvio, quell’antico gigante di fuoco, per un bidone della spazzatura è un segno che rivela il livello di degrado in cui versa l’anima dell’uomo moderno".

Il parco nazionale delle discariche. Un'altra lettura di Terzigno
Mentre in qualunque nazione realmente progredita un parco naturale come quello del Vesuvio verrebbe considerato, oltre che un luogo da tutelare, una risorsa eccezionale per l’economia locale dei comuni che lo ospitano, nell’Italia di oggi esso si trasforma in un luogo ideale (l’unico?!) per ubicarvi discariche a cielo aperto. Ora, al di là dei problemi ecologici e politici pur rilevanti riguardanti l’igiene, l’inquinamento dell’aria, delle falde acquifere, delle coltivazioni e alla mancanza di un procedimento democratico 'dal basso' coinvolgente le popolazioni locali, questo fatto rappresenta, anche ad un analisi più approfondita, l’ennesimo segno di una vera e propria offensiva contro i parchi naturali già denunciata in altra sede. Questa tesi potrà probabilmente apparire strana o esagerata, ma cessa di sorprendere se si considera che la Natura, con le sue esigenze e regole specifiche da rispettare e legate alla stessa sopravvivenza del pianeta, tende sempre più ad essere vista come la maggiore nemica di una economia di mercato che si vorrebbe, appunto, priva di limiti. Fare passare il messaggio che un parco naturale nazionale di per sé unico in Europa per la sua origine vulcanica e il suo interesse di tipo storico e paesaggistico possa 'digerire', anche provvisoriamente, montagne di rifiuti prodotte da un consumismo sfrenato e cieco e quindi sostituirsi ad una adeguata politica di riduzione della produzione e dei consumi, nonché ad un sistema virtuoso di raccolta differenziata, è come volere tamponare le falle di una rimozione dell’inconscio che ha smesso di funzionare. La rivolta degli abitanti di Terzigno andrebbe a mio parere letta attraverso questa chiave. Essi nutrono il sentore, non soltanto della puzza delle discariche, ma di una imminente deprivazione della loro identità, di quella parte della loro anima intimamente legata a questi luoghi destinati ad essere brutalmente profanati. La Natura, della quale purtroppo, per la prima volta nell’intera storia dell’umanità, ci sentiamo ormai estranei (tanto che quando ci si riferisce alla Natura automaticamente si pensa a luoghi esotici o comunque estranei alla nostra vita), tende a riportarci ad una condizione psicologica originaria caratterizzata, tra l’altro, da una diversa percezione del mondo, delle relazioni e del senso della vita che si scontra con il pensiero astratto delle cose che si 'cifrano' sul quale si basa il sistema economico. Persino la stessa parola 'Natura' è praticamente sparita dai discorsi politici (e spesso anche dai dibattiti culturali) dove è stata prontamente sostituita da significanti più innocui e confacenti al discorso economico quali 'ambiente' e 'territorio'. Rosicchiare sempre più spazio alla Natura, reprimerla con le parole, costringerla con il cemento, pensare di poterla in futuro sostituire con la tecnosfera (monitoraggio costante de pianeta, sistemi artificiali di autoregolazione del clima ecc.) diventa anche un modo per sfogare l’aggressività di quella parte dell’umanità che vuole ancora credere in Economia. In altri termini, intendo dire che quel trattamento persecutorio che i politici e gli attori economici odierni riservano alla Natura è una sorta di fanatismo religioso legato al dio Economia e finalizzato all’annientamento dei loro stessi dubbi. Per cui, per esempio, i disastri prodotti dalle esondazioni dei fiumi o dai terremoti non sono dovuti all’incoscienza dell’uomo, ma alla crudeltà di una Natura non ancora del tutto addomesticata! Salvo pochissime eccezioni (come per esempio il movimento della Decrescita), nessuna organizzazione vuole riconoscere la grave psicopatologia in cui l’umanità si ritrova oggi. Anzi, dobbiamo constatare che esistono scrittori e divulgatori scientifici di grande fama, come fu il caso per esempio di Michael Crichton (autore di Stato di Paura, 2004), che vanno fino a negare l’evidenza, ribaltando la realtà e parlando di una "tirannia dell’ecologia"! Evidentemente l’umanità non pare ancora disposta ad assumersi l’onere di una cura che sarebbe tanto della Natura quanto dell’anima, essendo la prima, come ho mostrato altrove [1], intimamente legata all’inconscio, segnatamente attraverso il simbolismo archetipico e i meccanismi di proiezione, identificazione e partecipazione animistica. Quest’ultimo punto è particolarmente importante da ribadire. Il grigiore, la freddezza e la prepotenza del cemento (simbolo maggiore della cultura moderna) imprigiona e rende cupo, distaccato e arrogante anche l’uomo, il quale, per ritrovare la propria anima deve calarsi nuovamente nella Natura ad avviare con essa un rapporto costante e rispettoso. Nelle forme e nei grandi ritmi cosmici della Natura risiede la via per una conoscenza e integrazione della parte più profonda della psiche. Per centinaia di migliaia di anni l’uomo ha intrattenuto con l’ambiente naturale delle dinamiche psicologiche di tipo animistico che sono tuttora riscontrabili nell’inconscio dei moderni, nei suoi sogni come in certi riti spontanei ch’egli mette inconsapevolmente in atto (per esempio nella moda di tatuarsi forme animali o vegetali sulla pelle). Perché una semplice passeggiata nei boschi risulta per molti così rigenerante? Perché il solo pensiero di trovarsi a tu per tu con un animale selvatico è in grado di suscitare così tanta emozione? Perché l’alta montagna o il mare possono propriamente rapire le persone? Non è, forse, perché queste entità naturali in qualche modo fanno eco alle parti profonde della nostra psiche? Sedersi su di una roccia nel bel mezzo di un torrente è come, a livello inconscio, diventare torrente, con tutte le implicazioni psicologiche e simboliche del caso. Fermarsi a contemplare un maestoso albero secolare significa, sempre a livello inconscio, riempirsi della sua energia, sentire dentro di sé una parentela profonda con esso, una forza e un equilibrio straordinari atti a spazzare via le proprie debolezze del momento. Prendere invece il Vesuvio, quell’antico gigante di fuoco, per un bidone della spazzatura è un segno che, dal punto di vista del neonato approccio animistico, rivela il livello di degrado e di abbandono in cui versa l’anima dell’uomo moderno. Soprattutto dalle parti dell’ormai ex 'bel paese'. [1] A. Fratini, La religione del dio Economia, CSA Editrice, Crotone 2009.

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