Al principio di ogni scambio, ripensare il dono con la filosofia indiana

La dimensione del dono viene considerata totalmente estranea ad ogni agire economico, laddove l'economia rappresenta il regno dell'avere. Eppure la filosofia indiana offre l’occasione di pensare al dono in economia in maniera completamente diversa.

Al principio di ogni scambio, ripensare il dono con la filosofia indiana
La terra parlò un tempo all’eroe solare rama, figlio di Jamadagni, e quando egli udì il suo canto, la donò tutta intera allo stesso rsi Kacyapa, essa diceva nel suo linguaggio antico: Ricevimi Dammi Donandomi mi otterrai di nuovo Marcel Mauss Saggio sul dono Dare o Avere? Si ritiene che la dimensione del dono sia estranea e contraria ad ogni agire economico razionale. L’economia è il regno dell’avere. Qualora il dono appare nel discorso economico lo fa così nei termini e nei limiti di un fare generoso – e beneficenza lo si chiama - ovvero nelle vesti di un'istanza esterna dettata da una morale che vuole che un limite sia posto all'illimitato perseguimento della ricchezza. La volontà di donare è così considerata come un fattore di equilibrio per rapporti economici tesi, normalmente, solo all'acquisizione di sempre più beni egoisticamente perseguiti. L’atto di donare, è un atto di generosità personale - si dice - che ha origine nei sentimenti e nelle disposizioni individuali, contrariamente alla volontà di avere, che è invece a fondamento razionale di ogni attività economica. E tuttavia, potrebbe essere vero il contrario. Potrebbe darsi, ovvero, che sia proprio la capacità e la volontà di dare all’origine di ogni scambio. La filosofia indiana offre l’occasione di pensare al dono in economia in maniera del tutto diversa, sino a mettere in dubbio quella proposizione che vuole che la volontà di donare sia determinata dalla generosità del donatore, mentre la volontà di avere sia la sola che possa oggettivamente e razionalmente essere a fondamento di ogni scambio. Il Dana: il dono in India Il dana è un particolare dono che i brahamini indiani ricevono in offerta dai pellegrini. Dana può essere un qualsiasi oggetto, poiché a rendere particolare tale dono è la filosofia che lo accompagna: il dana porta con sé i peccati del donatore, e il brahamino che lo riceve, a conoscenza delle corrette pratiche rituali, ha il dovere di riceverlo al fine di rimuovere tali peccati. Inoltre, la filosofia che regola la circolazione del dana, vuole che esso sia donato liberamente, ovvero senza alcuna aspettativa di ritorno. Una volta che il dana viene ricevuto da un brahamino, questo dovrà continuare a circolare all’interno della casta brahaminica; i brahamini ovvero si donano liberamente tra di loro i dana ricevuti, assicurandosi che a ricevere il dana, all’interno della casta, sia solo un altro brahamino moralmente degno. La diretta reciprocità è esclusa dalla circolazione dei dana all’interno della casta brahaminica, perché fondamentale, nella filosofia del dana, è che si dia senza sapere da che parte si tornerà a ricevere. Nel caso in cui i brahamini non siano a conoscenza delle corrette pratiche rituali, e non trovino un altro brahamino degno a cui donare il dana, essi si trovano solamente ad accumulare i peccati nei dana contenuti. Anche se ciò che si è ottenuto in forma di dana, data la logica sottostante la sua circolazione (che vuole che esso venga ad essere donato disinteressatamente), non può essere usato per scopi commerciali, i soldi guadagnati attraverso le attività commerciali devono essere offerti in dana, se si vuole che esse continuino ad essere profittevoli. L’acquisizione di grandi ricchezze attraverso il commercio è legittima e desiderata, ma si ritiene che possa avere futuro solo se accompagnata dalla generosità di chi precedentemente l’abbia acquisita, una generosità totale, che si mostra nel dono di dana o nel supporto economico offerto ai bisognosi. Quindi, uno stesso imperativo culturale, che vuole l’oggetto dello scambio in continua circolazione, sta sia ai profitti del commercio sia ai dana. Il dono totale simboleggiato dai dana, o dalla generosità totale dei commercianti di benares è considerato a sostegno dell’attività economica e a garanzia di un’abbondanza che possa così continuare a tornare. Una volta che tale dimensione di dono totale venga ad essere meno, a rischio è la ricchezza economica tanto quanto probabile viene ad essere il decadimento morale. Il dono della Ricchezza La filosofia indiana onora le attività commerciali e il perseguimento della ricchezza. L’attività umana volta alla ricerca di vantaggi personali è desiderata ed è considerata necessaria in quanto consente di gioire dei piaceri della terra (il regno di Kama), e tuttavia l’individuo deve infine ricomporsi entro l’ordine morale di cui fa parte, un ordine che lo precede, che ha bisogno della stessa attività umana per essere sostenuto e rinnovato; un ordine che trascende il singolo individuo. L’uomo ricco è colui che dà e che si dà alla comunità nel riconoscimento di quest’ordine che viene prima di lui perché continuerà dopo di lui. Tale ordine è l’ordine della vita che ha i suoi confini nell’infinità del passato e del futuro. Il pericolo individuato dalla tradizione indiana è dato dalla mancanza di un tale riconoscimento che si delinea nell’accumulazione delle risorse acquisite da parte di un singolo individuo che si autoesclude, in tal modo, dalla comunità di cui fa parte. E tuttavia, l’individuo viene visto austoescludersi in questo modo da una comunità di scambi, ovvero una comunità dove ognuno ha qualcosa da dare. Il dana come simbolo di quel dono puro, disinteressato, che appare quindi come una perdita totale e rischiosa senza cui nessuna ricchezza può mai essere né continuare a tornare per i commercianti di Benares, sta a ricordare che il pensiero di un'esistenza in cui sia possibile non dare più apre la possibilità per l’esistenza di un'economia dove ognuno desideri tenere ciò che ha per sé nella paura di perderlo, ovvero di un'economia dove nessuno scambio possa avere più luogo o senso. Allora, sembra suggerirci la filosofia dei dana, potrebbe darsi che il dono, come capacità di donare ciò che si ha e che si è nella fiducia di continuare a ricevere, non si inserisca nella dinamica economica solamente per depurarla da un presunto eccesso di egoismo personale, ma che sia esso stesso a fondamento e a sostegno di ogni scambio. La filosofia indiana del dana starebbe quindi a ricordare che perché uno scambio possa continuare a esistere, e l’attività economica continuare ad essere profittevole, bisogna che la dimensione (rischiosa) del dono sia preservata e lo ricorda ponendo di fronte alla situazione limite di chi si trova a donare senza sapere da chi e quando tornerà a ricevere. Il dono diviene così un imperativo culturale, senza cui il pericolo del venir meno degli scambi all’interno di una comunità potrebbe divenire reale poiché un ricevere è, invero, un aver ricevuto. Bibliografia di riferimento E. M. Forster, A passage in India J. Parry; M. Bloch, Money and morality of exchange M. Amato, L'enigma della moneta

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