"Il femminicidio non esiste", dicono i negazionisti

La Camera ha dato il via libera unanime alla ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, fortemente voluta dal Laura Boldrini. Ma mentre la presidente della Camera dei Deputati sottolinea l'importanza dell'impegno della politica per contrastere ogni tipo di violenza contro le donne, una serie di post recentemente pubblicati da vari autori continua a negare l'esistenza di un fenomeno che ormai è sotto gli occhi di tutti, il femminicidio.

Fabrizio Tonello, Davide De Luca, “Daniele”, Sabino Patruno. Sono, nell’ordine, un docente di Scienza dell’Opinione Pubblica, un giornalista a cui “piacciono i numeri e l’economia”, un laureato in filosofia che scrive per Vice e un notaio. Cos’hanno in comune è presto detto: una serie di post (sul Fatto quotidianoIl Post, Quithedoner, Noisefromamerika), pubblicati a distanza ravvicinata e decisamente simili nei contenuti, nelle conclusioni e nel commentarium, nei quali dichiarano il femminicidio vicenda montata mediaticamente e fondata su numeri sbagliati. Ci sono, naturalmente, varianti nei toni usati: da quelli gelidi di Tonello nel distinguere l’assassinio di una donna dallo sfregio con l’acido (“dalla tomba non si esce, dall’ospedale sì”), a quelli sprezzanti di De Luca, passando per l’esposizione dotta di Patruno fino alla “bava alla bocca” delle “neofemministe” evocata con compiacimento da Davide-Quit the doner. Cosa altro hanno in comune questi post, a livello generale? La sensazione che, tutti, si rivolgano a interlocutori che hanno le sembianze di spettri, e che quegli spettri esistano solo nella loro testa, si tratti di giornalisti distratti, politici occhiuti, femministe, appunto, bavose. Non donne e uomini reali, ma caricature. Come se la denuncia del femminicidio venisse da un soggetto unico, che è facile incarnare nel vecchio stereotipo della femminista arrabbiata, livorosa, profittatrice, isterica, bisbetica. Le argomentazioni, infatti, non vengono quasi mai riferite a chi le ha effettivamente usate: si denuncia all’ingrosso complottismo, uso sbagliato o addirittura truffaldino dei dati, voglia di sensazionalismo, senza mai fare nomi e cognomi; come se tutte e tutti coloro che si sono occupati e si occupano del tema fossero indistintamente accomunati da intenzioni subdole, ignoranza, protervia, isteria, ricerca affannosa di un attimo di celebrità. Veniamo al punto. Le argomentazioni statistiche usate dal drappello sono quattro. a. Il numero di donne uccise è costante negli anni e l’incremento percentuale è dovuto al fatto che vengono uccisi sempre meno uomini, per cui il femminicidio non esiste; b. In Italia le morti di donne sono di molto inferiori alla media internazionale, quindi il femminicidio non esiste; c. Dalla combinazione incestuosa di a. e b., discende la variante forse più stupefacente di negazionismo statistico: siccome la frequenza delle donne uccise registra dei minimi – nel tempo e nello spazio – che si collocano attorno al valore di 0,5 casi l’anno ogni 100.000 abitanti, se siamo in prossimità di quel valore (e in Italia lo siamo) abbiamo raggiunto il “minimo fisiologico” e possiamo essere sereni; d. I dati non sono attendibili in quanto raccolti in modo non scientifico, quindi il femminicidio non esiste; Le argomentazioni “politiche” sono invece tre: 1. Non esiste un’emergenza femminicidio, si tratta di un fenomeno a bassa intensità costante nel tempo e anzi in calo; 2. E’ stato fatto del mero sensazionalismo, creando la percezione di una escalation che i dati non confermano e anzi smentiscono; 3. Non ha senso chiedere leggi più severe per gli omicidi derivanti da questioni di genere, perché la vita di una persona non è più preziosa di quella di altre persone. La cosa che impressiona è che il drappello dice cose molto simili a quanto sostenuto da Michela Murgia e da me, ma arrivando a conclusioni opposte. Certo, i dati sono pochi e confusi, perché non esiste un’indagine statistica dedicata. Certo, bisogna porre la massima attenzione quando i numeri vengono forniti. Certo, le leggi repressive non hanno senso né utilità (ne ha invece il lavoro culturale e di formazione, la moltiplicazione dei centri antiviolenza e il loro finanziamento). Certo, se il femminicidio fosse un’emergenza contingente potrebbe essere studiato e circostritto, ma il femminicidio è fenomeno endemico e drammatico. E, certo, i numeri ci dicono che altrove si uccide di più. Per chiarezza, ecco un passo da L’ho uccisa perché l’amavo: “Gli statistici improvvisati vanno, abitualmente, in cerca di rapporti, specie le statistiche dell’Onu sull’omicidio (UNODC homicide statistics) grazie alle quali si può sottolineare che si ammazza di più in Nord Europa, ma guarda, proprio nei paesi più emancipati e dove le donne sono più libere, e dunque la percentuale di morte è in Norvegia il 41,4% in Svezia e Danimarca il 34,5% in Finlandia il 28,9%, in Spagna il 33,1% in Francia il 34,5%; in Giappone il 50%, negli USA il 22,5%. Contro il 23,9% dell’Italia. Dunque, ci vien detto, se in Italia le vittime di sesso femminile non arrivano al 25%, è logico e conseguente che a morire siano soprattutto i maschi, che dunque vanno considerati le vere vittime. (…) Ma guardiamoli bene, i dati che riguardano il nostro paese. Nel rapporto sulla criminalità in Italia si scopre che le donne uccise sono passate dal 15,3 per cento del totale, nel triennio 1992-1994, al 26,6 del 2006-2008. Peraltro, la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord: dove, nel 2008, ultimo anno disponibile, le vittime di sesso femminile sono state il 47,6 per cento, contro il 29,9 per cento del sud e il 22,4 del centro. In poche parole, se il numero cresce, ed è sempre quel tipo di omicidio, la crescita è il fenomeno, e non il numero, che è effettivamente tra i più bassi al mondo. Significa, per essere più precisi, che se le morti per criminalità organizzata passano da 340 nel 1992 a 121 nel 2006 e quelli per rissa da 105 a 69, i delitti maturati in famiglia o “per passione”, che sono in gran parte costituiti da femminicidi, passano da 97 a 192. In altre parole ancora, mentre gli omicidi in Italia sono calati del 57 per cento circa, i delitti (definiti, ndr) "passionali" sono cresciuti del 98 per cento. Inoltre. Se si guarda la tabella relativa ai rapporti di parentela fra autori e vittime di omicidi commessi in ambito familiare in Italia fra il 2001 e il 2006, nel 66,7 per cento dei casi (due donne su tre) è il coniuge, il convivente o il fidanzato maschio ad uccidere la propria compagna. Infine, se in assoluto sono i maschi a essere vittime maggiori di omicidio volontario, si nota però, che mentre le donne erano il 15,3 % nel 1992, sono arrivate a essere il 26 nel 2006. Ancora. Nel Rapporto sulla criminalità e sicurezza in Italia 2010, curato da Marzio Barbagli e Asher Colombo per Ministero dell’Interno − Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Fondazione ICSA e Confindustria, i risultati sono così sintetizzati: 'Rispetto alla fase di picco del tasso di omicidi, negli anni Novanta, oggi la quota di donne uccise è straordinariamente cresciuta. Nel 1991 esse costituivano solo l’11% delle vittime di questo reato, ma oggi superano il 25%. In Italia, quindi oltre 1/4 delle vittime è donna. La crescita dipende da una relazione ben nota agli studiosi, per la quale la quota di donne sul totale delle persone uccise cresce al diminuire del tasso di omicidi. Questo accade perché, mentre il tasso di omicidi dovuto alla criminalità comune e a quella organizzata è molto variabile, gli omicidi in famiglia − la categoria in cui le donne sono colpite con maggiore frequenza − è invece più stabile nel tempo e nello spazio'”. Cosa dicono, invece, i negazionisti? Offrono una costruzione sillogistica inconsistente, per cominciare: sostenere che il femminicidio non esiste perché il numero resta fisso, abbiamo un numero di donne morte inferiore alla media e i dati non sono attendibili non ha consequenzialità logica. Diremmo forse che la mafia non esiste, in base alla constatazione che ormai il numero di morti ammazzati è costante da anni, c’è scarsità di dati e la mafia russa ammazza molta più gente? Quanto al “minimo fisiologico”, colpisce che chi bacchetta l’atteggiamento non scientifico di altri ricorra a sua volta a una vera e propria fola: chi l’ha certificato, questo minimo fisiologico? Sulla base di quali evidenze scientifiche? Facciamo un parallelo: si parla molto di malasanità; mentre l’OCSE colloca il nostro sistema sanitario addirittura al secondo posto dietro quello francese, e soprattutto lo attestano i fatti, con una durata media della vita degli italiani che è seconda solo a quella dei giapponesi. Nonostante questo, tutti i giorni negli ospedali italiani si muore, e non per malattia: si muore per infezioni ospedaliere, per errori medici, per guasti alle attrezzature vitali. Considerando le prestazioni erogate ogni anno, che sono milioni, si potrebbe ben sostenere che gli episodi riportati dai giornali siano un “minimo fisiologico”, che stiamo bene così e nessun intervento è dovuto. Non c’è emergenza. Eppure, nessuno si sognerebbe di dire che è “fisiologico” venire ammazzati in ospedale, sia pur involontariamente; siamo tutti consapevoli che il famoso “minimo fisiologico” probabilmente esiste, ma nemmeno vogliamo conoscerlo (ammesso che sia possibile) e lo stesso pretendiamo che ogni sforzo venga fatto per spostare quel limite il più possibile verso lo zero. La domanda da un milione di dollari è: perché invece parlando di femminicidio tanta gente ritiene che ci si debba accontentare? Non è di vite umane, che stiamo parlando? Venendo ai dati, vera e propria croce per chi voglia seriamente indagare questo fenomeno, i negazionisti perdono regolarmente l’occasione per sottolineare questa carenza e additarla per quello che è: un problema da risolvere, e non una comoda cortina fumogena utile per avvolgere tutto nella notte in cui tutte le vacche son nere. Dire che i numeri non vengono da una fonte autorevole è giusto; dire che sono sbagliati è un fatto che va dimostrato. I negazionisti non si rendono conto che proprio l’assenza di dati è un fatto in sé gravissimo. Non solo: quando Patruno (da cui sono nati gli altri post, evidentemente) sostiene che l’incidenza percentuale dei femminicidi (che aumenta a fronte di numeri assoluti calanti per gli omicidi di altra natura) conta “assai poco” e che a contare sono “i numeri assoluti e le dinamiche di questi numeri nel tempo”, fornisce un’interpretazione tutta sua, e per nulla scientifica. Le percentuali non dicono “assai poco”: dicono una cosa diversa e complementare rispetto alle frequenze assolute (che in statistica sono sinonimo di numero, n.d.r.), integrando l’informazione. In questo caso specifico potrebbero ad esempio dire che, avendo trovato il modo di ridurre certi tipi di omicidio ma non quello ai danni delle donne, è giunta l’ora di mettere in campo risorse specificamente destinate a questo scopo. Risorse non significa leggi: la maggior parte delle persone e delle associazioni impegnate nella lotta alla violenza contro le donne non chiede leggi ad hoc, ma semplicemente la rigorosa applicazione delle normative esistenti e, soprattutto, la protezione delle donne che denunciano e il finanziamento di strutture in cui possano essere accolte e aiutate. Ricapitolando: se abbiamo davanti un’incidenza percentuale che ci dice che, a differenza di altri delitti, il femminicidio esiste e non cala come gli altri crimini, se abbiamo davanti un’assenza di dati e di risorse, si dovrebbe concludere – e sarebbe logico farlo – che abbiamo un problema. Il drappello di fact-checker, invece, conclude che non lo abbiamo. Perché? Questa dovrebbe essere la domanda. Le risposte, come è ovvio, soffiano nel vento. Ma una cosa vorrei dire: comprendo che la razionalità (è davvero tale?) degli studiosi (quando sono degni della definizione, naturalmente, e non semplicemente aspiranti influencer) chiami alla freddezza anche quando una ragazzina di sedici anni viene bruciata viva dal fidanzato, ché a noi non interessa, ché l’emotività è roba da “opinione pubblica”. Eppure non è questo che chiediamo a chi studia. Non è questo che chiediamo a chi pronuncia parola pubblica, sapendo bene di usarla come un’arma e di usarla, nella gran parte dei casi, solo per chiamare a sé i riflettori in un momento in cui il dibattito è caldo. Che vengano, i riflettori: abbiateli. Ma almeno sappiateli usare per il bene di noi tutti: e non, semplicemente, per qualche follower in più. Per questo post un grazie di cuore va a quello che di fatto ne è l’autore, lo statistico Maurizio Cassi, e a Giovanni Arduino per aver suggerito il termine giusto per ribaltare quello, a rischio di abuso, di fact-checking: fact-screwing. Ovvero, incasinare i dati invece di analizzarli. Questo post scritto da Loredana Lipperini è pubblicato in contemporanea da Lorella Zanardo, Giorgia Vezzoli e Giovanna Cosenza. Tratto da Il corpo delle donne

Commenti

L'unica spiegazione a tanta violenza DI OGNI GENERE,va ricercata NELLA PERDITA TOTALE dei valori,dell'educazione,della cultura,della FORMAZIONE DI COSCIENZE SENSIBILI fin dalla nascita. Scuola e famiglia devono seguire la stessa linea insegnando cosa è bene e cosa è male,quello che si può fare da quello che non si può,INSISTERE SUL RISPETTO RECIPROCO e smetterla con QUESTO FALSO BUONISMO E QUESTO ASSURDO PERMISSIVISMO che sono la causa reale di tanti mali. Smettiamo di renderci ridicoli andando a ricercare motivazioni assurde. E' sconvolgente come nessuno voglia capire una cosa tanto semplice.Siamo diventati incivili,tutti allo stato brado,senza più regole. Se non facciamo un passo indietro,sarà da così a peggio.
Maria-Rossella Maccolini, 30-05-2013 04:30
Non mi sorprende affatto! Come non mi sorprendono le blande sentenze, pare quasi debbano e o meglio vogliano proteggersi a vicenda.
Roby, 31-05-2013 05:31
È l'ONU a fare quello che voi chiamate "negazionismo", pubblicando dati che dimostrano come l'Italia è uno dei paesi più sicuri al mondo per le donna. La campagna stampa terroristica sui media pagati dai partiti serve solo a far avere 85 milioni di Euro ad avvocate femministe vicine ai partiti
Jasmine, 31-05-2013 02:31
Siete sciacalli mediatici è una campagna terroristica e lo scrivo da donna.Il femminicidio è una balla,esiste solo l'omicidio ed è uguale sia quando uccidono donne o uomini.No a differenze o discriminazioni solo per voti.Di questo passo uccidere un uomo diventerà reato "minore".Nella zona dove sono un uomo ha ucciso una donna,ma ha reso in fin di vita un altro uomo,del quale non hanno detto nulla come se valesse zero.Esiste un reato e quello è l'omicidio,punto.
Laura, 28-07-2013 08:28
Il femminicidio esiste senz'altro e senza ombre di dubbio. Il problema secondo me stà primo nel fare diventare ogni donnicidio in un femminicidio e secondo evitare di confrontare i dati dei femminicidi con il numero di morti per incidenti domestici, incidenti stradali, infortuni sul lavoro, omicidi "normali" e figlicidi.
Marcello, 19-06-2015 02:19
Se si accende la Tv, in qualunque giorno della settimana e in qualunque ora del giorno lo si faccia, in qualunque canale ci si sintonizzi, sarà quasi inevitabile ritrovarsi in un talk show che tratta il caso di una donna morta di "femminicidio". Sembrerebbe che in Italia a morire possano essere solo le donne e solo di morte violenta per mano del loro partner. Il femminicidio, inteso come uccisione di una donna da parte di un uomo per motivi sessuali-sentimentali, però esiste senz'altro e, come uomo che ha una madre delle sorelle e delle nipoti non può certo farmi piacere, visto che potrebbe riguardarmi da vicino. Denunciarlo non è sbagliato. Quand'è che l'uso del femminicidio diventa strumentale? Primo : quando si nega che dietro ogni uomo che uccide una donna possa esserci un criminale, un malato di mente o un uomo la cui mente sia andata in momentaneo corto-circuito, ma si afferma invece che tutti gli uomini che hanno ucciso una donna non potevano che essere maschilisti; Secondo : quando si afferma che fino a quando il numero delle vittime non raggiunge lo zero assoluto ( come se fosse possibile ) c'è sempre qualcosa che si può fare e si deve fare sulla popolazione maschile, almeno a livello culturale; Terzo : affermare che l'azione delittuosa di 100 uomini dimostra il maschilismo del 100% dei 30 milioni di italiani maschi ( è lo stesso di dire che 100 delitti di mafia dimostrano non solo che la mafia esiste ma che tutti gli italiani maschi sono mafiosi ). Il riferimento alla richiesta di finanziamenti rafforza l'ipotesi della strumentalizzazione. Se ci sono risorse da destinare per la difesa della donna forse sarebbe più utile destinarli per combattere il decesso delle 6000 donne che in Italia ogni anno muoiono per incidenti domestici.
Marcello, 20-06-2015 09:20

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