Femminicidio, fermarlo davvero. L'appello delle donne alle istituzioni

L'Associazione nazionale D.i.R.e (Donne in Rete contro la Violenza) si rivolge al Presidente della Repubblica ed alle istituzioni locali per chiedere interventi decisi e concreti contro il femminicidio. Le attiviste diffondono inoltre un "codice etico per la stampa in caso di femminicidio", invitando i mezzi di comunicazione a mettere in evidenza e a non confondere il significato della violenza sulle donne.

Femminicidio, fermarlo davvero. L'appello delle donne alle istituzioni
In tutta Italia nella giornata di ieri le Case delle Donne e i centri antiviolenza si sono uniti all'appello dell'Associazione D.i.R.e (Donne in Rete contro la Violenza) per chiedere un segnale deciso da parte delle istituzioni contro la violenza di genere. Dall'inizio del 2012 il numero delle donne uccise 'solo perché donne' è aumentato quasi del doppio rispetto ai dati dell'Aprile del 2007, senza tener conto del cosiddetto “dato sommerso”, quello delle donne che non hanno voce per mancanza di reti o progetti. L'aumento esponenziale riguarda soprattutto le vittime di abusi da partner ed ex-partner, più raramente da parte di estranei, a riprova dell'elevata soglia di violenza domestica nelle famiglie e convivenze italiane. Non a caso lo scorso anno il rapporto Cedaw delle Nazioni Unite segnalava la persistenza di attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica e chiedeva azioni urgenti e mirate al governo italiano per la prevenzione degli abusi e la protezione delle vittime. Ad oggi, invece, i centri antiviolenza segnalano che nessuna iniziativa concreta è stata ancora presa dal governo, il quale non ha neppure firmato la Convenzione europea di Istanbul per la campagna di sensibilizzazione, prevenzione e punizione delle violenze di genere. Ma l'Italia è indietro soprattutto sul fronte della promozione culturale. Ancora oggi parlare di 'femminicidio' fa discutere persino chi, come la moglie di Napolitano, segnala l'acuirsi degli abusi contro le donne. Il comunicato diramato ieri dalla Casa della Donna di Pisa mette invece in guardia i canali di informazione e i cittadini soprattutto dalla confusione generata da un uso stereotipato del linguaggio. “Il lemma femminicidio non è un neologismo, ma una categoria sociologica, che sostituisce l'uxoricidio e che in alcuni Paesi, come il Guatemala e la Costa Rica, definisce un reato specifico, quello attuato contro le donne rendendole soggetti a rischio, con una probabilità maggiore di subire abusi rispetto agli uomini”, spiegano le coordinatrici e le responsabili dell'associazione pisana da più di vent'anni impegnata alla sensibilizzazione e nella difesa dei diritti delle donne. Le attiviste chiedono con decisione la diffusione di “un codice etico per la stampa in caso di femminicidio”, nel quale si chiarisce che “femminicidio è quel tipo di violenza con la quale viene colpita una donna per il solo fatto di essere donna; si tratta di violenza fisica, psicologica, economica, normativa, sociale e religiosa, che impedisce alla donna esercitare pienamente i diritti umani di libertà, integrità fisica e morale. La mancanza di una corretta comunicazione giornalistica dei fatti di femminicidio non aiuta la società a liberarsi di una piaga dolorosa, anzi, sostiene una cultura che non riconosce piena libertà: che è libertà di vivere come meglio si crede nel rispetto della libertà altrui”. Basta, quindi, con la 'spettacolarizzazione' della violenza, raccontata con i toni scandalistici dei talk-shows e dei rotocalchi, alla caccia perenne dell'amante furioso o dell'ex-partner disperato, o ancora di scatti che ritraggano la vittima in atteggiamenti provocanti, vestiti succinti, propri di una “che se l'è andata a a cercare”. Questi stereotipi contribuiscono ad esacerbare un clima di pregiudizio, incomprensione e frustrazione che è all'origine dei casi di violenza. Occorre invece che la stampa per prima sia consapevole della propria funzione di sensibilizzazione ed informazione nei casi di femminicidio. L'Associazione nazionale D.i.R.e. chiede, inoltre, al Presidente della Repubblica una reazione decisa di condanna e di denuncia del femminicidio ed ai consigli ed alle istituzioni locali una delibera che solleciti il governo a firmare la Convenzione di Instabul. Si chiede, inoltre, di non ridurre i fondi, né chiudere i Centri di antiviolenza, “o cosa ancora peggiore lasciare che queste realtà – in molte città unici luoghi di rifugio e aiuto per le donne - vengano meno nel silenzio e nel disinteresse delle istituzioni”. Leggi anche: "Mai più complici", petizione e sit-in per fermare il femminicidio Uomini che Odiano le Donne? Femminicidio. Oltre le ricorrenze

Commenti

purtroppo sono le Istituzioni per prime a farci violenza. Mia figlia Valentina indotta al suicidio prima maltrattata dal suo ex poi dai servizi sociali di Ravenna dal Tribunale e dal Tribunale per i minorenni di Bologna, che invece di sostenerla e di aiutarci, sono stati i primi a farci violenza. La legge sullo STALKING è arriivata quando lei impotente era gia' stata UCCISA. Aveva appena compiuto 26 anni, era il 30 settembre 2008.Questa è la verita'. Manca la certezza della PENA, e soprattutto le Istituzioni quando sbagliano sulla nostra vita, non pagano mai!!!!! .Nonna e mamma Loretta
loretta cornacchia, 16-05-2012 05:16

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