Freedom on the net 2011: Internet, tra libertà e censura

Estonia al primo posto tra i Paesi più liberi, ad aggiudicarsi la maglia nera è invece l'Iran, anche se la Cina si distingue per i suoi “sofisticati” metodi di censura. L'Italia è tra i Paesi 'free' anche se la specifica situazione in cui versa il nostro sistema mediatico è ritenuta preoccupante. Questi alcuni dei dati emersi dal rapporto sulla libertà del web Freedom on the net 2011.

Freedom on the net 2011: Internet, tra libertà e censura
Estonia al primo posto tra i Paesi più liberi, ad aggiudicarsi la maglia nera è invece l'Iran, anche se la Cina si distingue per i suoi “sofisticati” metodi di censura. Questi alcuni dei dati emersi dal rapporto sulla libertà del web Freedom on the net 2011 redatto da Freedom House, associazione di Washington che monitora la libertà di stampa nel mondo. La ricerca sulla situazione della rete negli ultimi due anni (2009/2010) ha preso in considerazione 37 Stati del mondo classificandoli in “Paesi liberi”, “Paesi parzialmente liberi” e “Paesi non liberi”. I principali parametri su cui si è basata l'indagine sono stati la censura, le violazioni dei diritti degli utenti e la possibilità di accedere al web per tutti i cittadini. 11 I Paesi in cui non esiste la libertà in rete: Thailandia, Bahrein, Bielorussia, Etiopia, Arabia Saudita, Vietnam, Tunisia, Cina, Cuba, Birmania e Iran. Come si legge nel rapporto, le autorità iraniane, sin dalle proteste che seguirono le contestate elezioni presidenziali del 12 giugno 2009, hanno condotto una dura campagna contro la libertà su Internet che si è concretizzata anche in intimidazioni e minacce ai dissidenti della rete. A lungo, riferisce il report, il regime iraniano ha avuto un rapporto ambivalente con Internet considerandolo da una parte come un catalizzatore per lo sviluppo economico e dall'altro come un invasore che minaccia i rigorosi valori sociali, religiosi e politici dello stato. Tra i Paesi “not free” si distingue poi anche la Cina, che ottiene il triste primato di nazione con i metodi di repressione “più sofisticati”. Il sistema cinese di controllo di Internet si articola in un un complesso di misure diventate negli ultimi anni sempre più restrittive e che vedono i social network Facebook e Twitter bloccati in modo permanente. Tra i Paesi parzialmente liberi vi sono in tutto 18 nazioni, a partire dal Messico per arrivare a Corea del Sud, passando per Kenya, Egitto, Turchia, Russia e diversi stati dell'area latino-americana. Alcuni tra questi, come Russia e Turchia, hanno inasprito i controlli rispetto al 2009. Soltanto 8 gli Stati classificati come “liberi”. Al primo posto troviamo l'Estonia che si piazza davanti agli Stati Uniti, seguiti dalla Germania. Subito dopo l'Australia, il Regno Unito e l'Italia. A chiudere la classifica dei Paesi “Free”, il Sud Africa e il Brasile. In Italia Internet raggiunge il 49 per cento della popolazione, non risultano bloccati i social network, non vi è censura politica in rete e nessun blogger o utente è stato arrestato per quanto espresso online. Malgrado ciò il rapporto sottolinea che negli ultimi anni il Governo italiano ha introdotto diversi decreti che “pongono gravi sfide alla libertà di espressione online”, come ad esempio “rendere i siti responsabili per i video messi online dagli utenti” e l’ “obbligo di onerose registrazioni per le comunicazioni online”. “La spinta a limitare la libertà di Internet – si legge nel rapporto – deriva in parte dalla struttura della proprietà dei media in Italia. Il primo ministro Silvio Berlusconi detiene, direttamente o indirettamente, un grande conglomerato privato di mezzi di comunicazione e la sua posizione politica gli dà una notevole influenza sulla nomina dei funzionari della televisione di Stato”. Tale dominio finanziario ed editoriale dei media può costituire, come si legge nel report, un incentivo a limitare la libera circolazione di informazioni online. Nell'ultimo periodo tuttavia, scrive Freedom House, la diversità di opinioni la critica nelle discussioni online è stata in gran parte libera ed è apparsa essere maggiore nei mezzi di comunicazione audiovisivi che nella stampa.

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