Gioia e felicità non sono la stessa cosa

Una distinzione semantica tra gioia e felicità è necessaria per procedere oltre nell’esplorazione del nostro territorio, quello dell'educazione. Eppure qualcosa accomuna questi concetti: entrambi hanno perso nel tempo, e soprattutto nella cultura occidentale, il loro significato originario e più profondo.

Gioia e felicità non sono la stessa cosa
Nel linguaggio comune, la gioia è associata ad un'emozione, uno stato passeggero. Tuttavia il suo significato originario è tutt'altro che effimero, dato che la sua lontana etimologia sanscrita rinvia al termine di yuj (lo stesso da cui deriva la parola yoga), generalmente tradotto come “unione dell’anima individuale con lo spirito universale”[1]. C'è qui un senso di connessione tra il terreno e il celeste, dell’uomo con il divino e degli uomini tra loro; una dimensione sacra della gioia che si è persa nel tempo, soprattutto nella cultura occidentale. Appena il legame viene ripristinato, la gioia investe indirettamente tutti gli aspetti della vita (perché 'contribuisce' ad essi) e ci riporta al concetto di gioia di vivere come sentimento edificante avvertito da tutta la coscienza, tutte le dimensioni dell’essere [2]. Da una semplice emozione, essa si trasforma quindi in sentimento, in stato; diventa una manifestazione della reliance [3] dell'anima individuale con una dimensione superiore. In questo modo la gioia invade tutto l'essere e connette 'l’alto' con 'il basso', lo spazio interno e quello esterno, il soggetto e l’oggetto, l’individuo e gli altri. Una distinzione semantica tra gioia e felicità (concetti spesso confusi) è necessaria a questo punto per procedere oltre nell’esplorazione del nostro territorio, quello dell'educazione. La parola felicità è oggi per lo più associata al concetto di benessere e più spesso ancora, ad uno stato di benessere materiale. Ci discostiamo in questo modo dal nostro obiettivo che non è quello d’identificare l'educazione come un percorso verso un destino favorevole in termini di ricchezza, ma piuttosto come un percorso d’evoluzione dell’essere verso uno stato di completezza, dove la gioia recupera tutta la sua dimensione filosofica, ontologica. Come si è visto, la felicità intesa come benessere è molto alla moda oggi. Negli ultimi dieci anni, le ricerche sul tema della felicità hanno stimolato teorie e dibattiti in tutti i settori, dalla salute all'economia alle scienze sociali, di cui le scienze dell'educazione fanno parte. Nell’ambito della psicologia moderna in particolare, la ricerca sul tema della felicità prende una svolta decisiva a partire dagli anni '80. Per citare qualche nome tra i più conosciuti, Veenhoven, per esempio pubblica nel 1984 il World Database of Happiness [4], in cui misura il grado di felicità esistente nei paesi secondo una scala d’indicatori internazionali (121 casi in 32 paesi). Nello stesso periodo, un altro famoso psicologo, Diener, stabilisce delle correlazioni tra il benessere e i progressi teorici realizzati dagli individui [5]. Poco più tardi, Csikszentmihalyi si avventura ancora oltre nella riflessione allorché definisce la felicità come uno stato indipendente dalle condizioni esterne, ma dipendente “piuttosto da come esse vengono interpretate”, in quanto derivano dalla propensione degli individui verso gli interessi materiali e/o immateriali [6]. Lungi dall’essere esauriente, è però importante citare in questa sede anche il premio Nobel per l'economia Daniel Kahneman che, con il suo concetto di audit del benessere nazionale [7] ha avuto per primo il merito di avvicinare la psicologia all’economia. Ciò che la sua classificazione mette in luce e che c’interessa in questo contesto, è il gap esistente tra i risultati delle misure del benessere e quelle della performance economica, da cui si evince che il benessere materiale incide molto poco nella percezione della felicità [8]. [1] Yuj significa anche: veicolo, mezzo, metodo, trattamento, concentrazione mentale, disciplina, pratica dello yoga, estasi mistica (da Gerard Huet, INRIA ) [2] In generale, va osservato che il significato originale delle parole è filosoficamente e simbolicamente completa in se stessa, perché 'collegata' ad una conoscenza del mondo che include sempre il sacro nella sua antropologia. [3] Neologismo francese che indica il legame e la connessione tra una persona e gli element naturali (reliance cosmica), della persona con i suoi propri aspetti interiori (reliance psicologica) e con la collettività (reliance psicosociale). [4] Il World Database of Happiness sviluppa nuovi indicatori come il Gross National Happiness che misura l’indice di felicità. [5] Nell'articolo La ricerca scientifica della felicità in Psychological Science (1995) e Scientific American (1996) dove Diener Myers sviluppano i migliori indicatori della felicità: i tratti di personalità, le relazioni intime e l'impegno religioso. [6] Csikszentmihalyi Mihaly, Vivre, La psychologie du bonheur, Robert Laffont, Parigi, 2004. In questo libro l’autore definisce le condizioni dell’ "esperienza ottimale", chiave dello sviluppo dell'individuo, caratterizzata da "uno stato di flusso, movimento e concentrazione verso la realizzazione dei compiti che coinvolgono tutte le competenze". [7] Kahneman incrocia dati soggettivi (come indagini ed interviste) con prove oggettive (quali la speranza di vita, il PIL e la scolarizzazione nei paesi esaminati dalla sua ricerca. [8] Come dimostra il famoso caso del Bhutan, con il suo "Indice Nazionale di Felicità”e malgrado i suoi 1.321 dollari procapite l'anno, davanti a un numero considerevole di paesi 'avanzati'. Vedi : Christophe Alix, « Les indices du bonheur », in Libération, 14 luglio 2007.

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