Governo Monti: nuovi finanziamenti per le missioni di guerra

A dispetto dei sacrifici economici chiesti in questi giorni agli italiani, il Governo Monti prevede una spesa militare di circa un miliardo e trecento milioni di euro. Analizziamo nel dettaglio il Disegno di Legge che predispone il finanziamento.

Governo Monti: nuovi finanziamenti per le missioni di guerra
È stato approvato il Disegno di Legge presentato dai ministri Monti, Terzi, Di Paola, Cancellieri, Severino e Riccardi riguardante il rifinanziamento delle missioni in cui sono impegnate le forze militari italiane. Il DDL convertirà in legge il decreto 215 del 29 dicembre 2011, relativo alla “proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni urgenti per l’amministrazione della difesa”. I voti favorevoli sono stati 415, 72 i contrari e 11 gli astenuti. Il primo comma del Disegno di Legge è dedicato alla presenza italiana in Afghanistan e riassume il programma dell’impegno militare, che passerà attraverso una fase di transizionetransition – che terminerà nel 2014, quando inizierà la fase redeployment, durante la quale le forze di sicurezza afghane prenderanno in mano la situazione, sempre però in presenza della NATO; l’operazione Enduring Freedom si trasformerà infatti in Enduring Partnership, i cui dettagli sono ancora da definire. Non c’è solo l’Afghanistan però. Sono 29 i commi che regolano l’erogazione dei contributi alle operazioni militari in cui sono impegnate le forze italiane in giro per il mondo. Ecco alcuni esempi. Nel comma 2 si parla della missione in Libano, avviata nel 2006, nell’ambito della quale gli italiani non avranno solo compiti di supervisione ma anche responsabilità esecutive. Il comma successivo finanzia la nostra presenza nei Balcani in funzione della partecipazione a due missioni distinte, mentre il comma 4 autorizza la spesa per prolungare la partecipazione alla missione Althea in Bosnia, il cui obiettivo è “contribuire al mantenimento delle condizioni di sicurezza per l’attuazione dell’accordo di pace di Dayton, aprendo la strada all’integrazione nell’Unione Europea”. Aggiungerei un 'nota bene' a quest’ultimo aspetto. Il comma successivo finanzia una missione di contrasto alla pirateria nel Mediterraneo orientale, mentre il comma 6 è relativo alla missione internazionale Temporary International Presence in Hebron: la partecipazione di un contingente italiano è stata richiesta dal Governo israeliano e dall’Autorità palestinese. Stesso discorso per il comma 7, che finanzia l’attività di vigilanza al valico di Rafah. Altri teatri che ci vedranno (nuovamente) impegnati sul campo sono il Darfur, l’isola di Cipro, le acque e i territori somali, la Libia – l’intervento previsto dalla risoluzione 2016 sarebbe dovuto cessare il 31 ottobre 2011, ma la risoluzione 2022 ha prolungato il mandato –, il Gibuti, l’Albania. Altri commi riguardano il prolungamento di ulteriori missioni parallele nei già citati territori di Afghanistan, Palestina, Kosovo e Bosnia. Entrando nella parte contabile del Disegno di Legge, al comma 2 dell’articolo 2 leggiamo che, per coprire gli oneri previsti dal decreto, il Ministero dell’Economia anticipa ai Ministeri della Difesa e degli Esteri un somma complessiva pari a 660 milioni di euro. Suona piuttosto minaccioso l’articolo 5, che prevede genericamente “disposizioni necessarie e urgenti per l’Amministrazione della difesa, intese a potenziare, sotto il profilo organizzativo e finanziario, l’operatività dello strumento militare per le esigenze connesse con l’impiego del personale militare nelle missioni internazionali e nelle attività istituzionali svolte sul territorio nazionale”. L’attività di ricerca e sviluppo per le tecnologie militari è assicurata dal comma 4, che impegna per questo scopo 25 milioni di euro l’anno dal 2012 al 2016 e 125 milioni annui rispettivamente per il 2018 e il 2018. Fra i programmi prioritari, vengono citati l’acquisizione del satellite SICRAL 2, di elicotteri per il soccorso Combat SAR e di velivoli per l’addestramento avanzato M346. Nella sezione II si entra nel dettaglio e le cifre vengono messe nero su bianco. Per quanto riguarda l’Afghanistan, per il periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2012, si prevede uno stanziamento annuale di 229 milioni per il personale e di 455 milioni per le spese di funzionamento, per un totale di 747 milioni. Quattromila i militari impegnati, che dispongono di 807 mezzi terrestri e 37 aerei. Ma non è finita qua. Per la missione UNIFIL in Libano occorreranno 157 milioni, per quella in Kosovo 98 milioni, per quella nel Mediterraneo orientale 20 milioni, 50 milioni per l’azione antipirateria nel Corno d’Africa. Fino ad arrivare a quelle più economiche: l’operazione Althea in Bosnia costerà “solo” 300mila euro, 122mila quella a Rafah, 1,2 milioni quella a Hebron, 250mila quella in Sudan, 300mila quella in Albania e così via. Altre voci di spesa sono quelle legate alla logistica in generale: per esempio, i contratti di assicurazione, il trasporto con vettori civili e le spese infrastrutturali nei vari teatri di impiego ci costeranno circa 140 milioni di euro, l’attività di assistenza, supporto e formazione in Libia 10 milioni di euro, fino ai 430mila euro che serviranno per ricondizionare i mezzi e le attrezzature che il nostro Esercito cederà a titolo gratuito al Governo del Gibuti. Una tabella curata dal Servizio Studi del Dipartimento Affari Esteri riassume le cifre a nove zeri in ballo. Le spese militari si sono ridotte complessivamente di 114 milioni se si compara le previsioni per il 2012 e le erogazioni del 2011. L’anno scorso il totale è stato pari a 1 miliardo e 396 milioni, mentre la cifra per l’anno corrente è di 1 miliardo e 281 milioni. Questa diminuzione è quindi un dato positivo, un segnale che stiamo progressivamente abbandonando i conflitti in cui siamo coinvolti? Non necessariamente, poiché non tiene conto di alcuni aspetti decisamente contraddittori. Per esempio, del fatto che spesso alcune situazioni vengono considerate emergenziali e gli operatori sono autorizzati – come prevede l’articolo 1 del decreto legge 152 del 2009 – a effettuare spese con procedure d’urgenza, quindi poco controllate, senza regolari appalti e bandi e rivolgendosi spesso a interlocutori e subfornitori di dubbia provenienza. Inoltre, come sottolinea il presidente leghista della Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati Stefano Stefani, non è chiaro come mai la riduzione delle forze in campo sia proporzionalmente molto più consistente del risparmio economico sui finanziamenti. Per cosa vengono impiegati i soldi avanzati? Non può sfuggire inoltre la scelta di proseguire – pur diminuendolo – l’impegno economico e logistico in Afghanistan, in netta controtendenza con la dichiarazione d’intenti degli Stati Uniti, i grandi promotori delle operazioni, di diminuire progressivamente la presenza nel paese asiatico. Naturalmente non c’è niente di più facile che gli americani disattendano il loro proposito, ma l’obbligo morale e costituzionale di noi italiani dovrebbe prescindere da questo e spingerci a dare il buon esempio lasciando in pace una volta per tutte le popolazioni afghane. Infine, una piccola provocazione riguardante lo spazio che i media hanno concesso alla notizia del rifinanziamento, in realtà estremamente rilevante. Ho provato a fare un piccolo esperimento, che non avrà un gran valore statistico ma in maniera empirica da grossomodo l’idea della situazione. Digitando su Google “rifinanziamento missioni di guerra”, nelle prime tre pagine di risultati non mi è comparso un solo link a notizie provenienti dai principali organi d’informazione, quotidiani e agenzie, ma sono stato indirizzato verso siti per lo più di 'controinformazione' o addirittura a post di Facebook. Al contrario, effettuando una ricerca su un altro tema politico particolarmente caldo in questi giorni – il decreto 'svuota carceri' –, in prima pagina compaiono rimandi ai siti dei maggiori rappresentanti del mondo della carta stampata, dal Sole 24 Ore a Repubblica. Forse la loro indicizzazione in alcuni casi è un po’ carente?

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