Catastrofi naturali: intervista a Peter Höppe, climatologo di Munich Re

A ottobre sono stati pubblicati i dati meteorologici sui primi nove mesi del 2010, l’anno più caldo dal 1880. Le cifre sono tratte dal maggior database mondiale sui fenomeni naturali dannosi, predisposto dalla compagnia 'ri-assicurativa' tedesca Munich Re. Per comprenderle meglio abbiamo intervistato il Prof. Höppe, climatologo di Munich Re.

Catastrofi naturali: intervista a Peter Höppe, climatologo di Munich Re
Il professor Peter Höppe, dirige il settore di ricerca di Munich Re, in Germania, sui rischi geologici e il cosiddetto Corporate Climate Centre. Il settore sui rischi geologici fa ricerche di base su tutti i pericoli di origine naturalistica e sui costi che possono comportare. Il Corporate Climate Centre invece, dirige tutte le attività e i progetti di Munich Re che hanno a che fare con i cambiamenti climatici, ci spiega Höppe. Lo abbiamo intervistato. Quali sono i progetti attuali di Munich Re? L’anno scorso abbiamo fondato l’iniziativa industriale Dii, finanziata dalla Desertec Foundation che prevede la costituzione di un campo di pannelli solari nel nord dell’Africa. In questo progetto l’Italia è un paese centrale: utilizzerà una parte della corrente elettrica prodotta e servirà da snodo per i paesi dell’Europa centrale. Ormai abbiamo shareholders dai seguenti paesi: Germania, Italia, Francia, Spagna, Tunisia, Algeria, Marocco. Il progetto prosegue molto bene e pensiamo che nel giro di pochi anni la corrente del deserto inizierà a scorrere. Un'altra novità di Munich Re è che dall’anno scorso l’intera attività professionale è CO2-neutrale: abbiamo aumentato la nostra efficienza energetica negli edifici, utilizziamo solo corrente da fonti rinnovabili e quel che emettiamo attraverso i voli aerei, lo compensiamo con investimenti in progetti per la protezione del clima. Questi progetti sono situati soprattutto in Cina e India, dove grazie ai nostri investimenti vengono risparmiate le stesse quantità di emissioni che abbiamo causato qui. Può spiegarci l’obiettivo della registrazione dei dati meteorologici che realizzate ogni anno? Un riassunto dei dati per gli ultimi nove mesi verrà pubblicato sul vostro sito a breve. Qual è la loro importanza? I dati sui primi nove mesi che riassumiamo ogni anno sono fra i risultati della rete informativa che abbiamo realizzato grazie al Nat Cat-Service di Munich Re. Nat Cat-Service [Natural Catastrophes] è un database, il più grande del mondo nel suo genere, che stima e archivia i danni (il numero di feriti, morti, senzatetto…) di tutti i fenomeni naturali che accadono sul nostro pianeta. Fornisce però anche una descrizione del pericolo naturale stesso, ad esempio la velocità del vento nel caso di un uragano o le quantità di precipitazioni nel caso di un’inondazione. Dunque per ognuno di questi fenomeni naturali è disponibile una grande quantità di informazioni. Rendiamo pubbliche le statistiche sui primi nove mesi per chiunque sia interessato, tra cui anche i politici. In questo database abbiamo momentaneamente registrato più di 28.000 singoli eventi naturali dannosi. Per quanto sia possibile possediamo un quadro completo globale dal 1980, e per la maggior parte dei paesi europei oltre a Stati Uniti e Giappone dal 1970. Per quel che riguarda le vere e proprie catastrofi invece (che si possono studiare anche dopo il loro avvenimento), il nostro quadro parte dal 1950. Torniamo a un argomento più generale: qual è il messaggio che darebbe al cittadino medio sui cambiamenti climatici e sulle catastrofi naturali legate ad esso? A che punto ci troviamo? Questo dipende da dove si trova il cittadino al quale mi rivolgo: in Germania gli direi che anche qui vediamo un aumento dei fenomeni naturali dannosi di tipo meteorologico; registriamo addirittura una triplicazione dei danni dal 1970. In altre regioni, nelle quali si verificano ad esempio uragani tropicali o tifoni, come nel nord-ovest del Pacifico, anche questi fenomeni estremi sono aumentati. Saranno soprattutto i paesi in via di sviluppo a soffrire del cambiamento climatico. Come vede invece l’Italia nella lotta contro i cambiamenti climatici? In Italia il problema maggiore è che le precipitazioni estive diminuiranno drasticamente, in questo i modelli climatici sono abbastanza d’accordo. L’intera zona mediterranea verrà colpita da questo fenomeno, che porterà anche a un aumento delle siccità. E questo d’estate porterà in molte regioni d’Italia una carenza d’acqua. Il fenomeno è anche da prendere in considerazione se ci si occupa di turismo: soprattutto nell’alta stagione farà più caldo, il che può decisamente allontanare molti turisti. Nonostante questa complessiva diminuzione di precipitazioni, vi saranno più giorni con forti precipitazioni che porteranno a inondazioni locali. Questo succede in Italia, come sta già accadendo e aumentando in Germania. Ci stiamo avvicinando al vertice climatico di Cancùn. Dopo quello di Copenhagen molti si sono scoraggiati e non osano più sperare. Anche lei è rimasto deluso da Copenhagen? Sì, davvero molto deluso. Le speranze erano molto alte, si era lavorato per due anni in vista di Copenhagen. Alla riunione erano presenti più di 100 capi di stato che avrebbero potuto prendere una decisione rapidamente, ma poi non ne è uscito praticamente niente, perlomeno nulla di vincolante. Il risultato è stata una dichiarazione di buone intenzioni, il cosiddetto 'Copenhagen-accord', attraverso il quale ci si è posti l’obiettivo (non vincolante), di contenere entro i 2 gradi l’aumento della temperatura media globale. Il problema è che sul come ottenere questa limitazione dei 2 gradi, non si è convenuto nulla. Per completare Copenhagen vi è stato poi un procedimento nel quale i paesi industrializzati si sono posti determinati obiettivi per la riduzione di CO2, ma non esiste alcun metodo di verifica e dunque nessun tipo di sanzione per controllare il raggiungimento di questi traguardi. Anche sommando i risultati di tali obiettivi si raggiungerebbe un aumento della temperatura globale media decisamente superiore ai 3 gradi. A Cancùn sarà l’inverso: forse verremo sorpresi in modo positivo. Non conosco nessuno qui a Munich Re che si aspetti un progresso considerevole in direzione di un protocollo 'post-Kyoto', che determini una riduzione vincolante di gas a effetto serra. Non ci si può aspettare nulla, perché i preparativi sono stati molto ridotti; soprattutto perché il paese più importante per un tale accordo, gli Stati Uniti, da questo punto di vista è totalmente paralizzato. Senza gli USA non ci sarà un accordo globale. Senza la loro partecipazione non potremo indurre paesi emergenti quali Cina e India a firmare un accordo. Proprio perché le aspettative sono così basse, però, potremmo venir sorpresi.

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