India. Il Kerala che brucia di vita e di tragiche esclusioni

"È necessario un nuovo paradigma, 'svegliare il Kerala' così come è necessario svegliare l’Italia da uno stato di torpore, consumo senza visione e utilizzo personale della politica e delle istituzioni pubbliche". Marco de Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia, di ritorno dall'India, racconta il Kerala che è stato e che sarà.

India. Il Kerala che brucia di vita e di tragiche esclusioni
L’India esplode. Di vivacità e contraddizioni. Sono arrivato in Kerala con la tranquillità di sempre, dato che sono di casa e passo alle riunioni del consiglio direttivo di ActionAid India almeno 2-3 volte l’anno. Il mio amico Sunil di solito mi accoglie in aeroporto e così ha organizzato anche questa volta un pickup a Kochin. Ma nel giro di un solo pomeriggio tutto è cambiato. La riunione a cui partecipavo era cominciata da poco quando l’atmosfera quasi festiva di attivisti che si ritrovano venendo da tutto il paese si è impregnata di tragicità. Proprio Sunil, proprio il perfetto logista di questo paese dove tutto può funzionare perfettamente e tutto può esser precario, proprio lui è caduto nella laguna da una barchetta troppo piena… e non è più riemerso. Ho perso un amico e con altri mi risulta difficile farmene una ragione. Forse scrivere poche righe di riflessione sul Kerala è parte del processo di 'digestione' di questo boccone troppo amaro per me. In fondo Sunil poteva essere un pescatore spinto ai margini del processo di sviluppo, costretto a lavorare da salariato a basso costo nella decadente industria manifatturiera o in quella del turismo che qui sta crescendo. Forse parlare dello sviluppo del Kerala in questo paese affascinante è un modo per onorare Sunil e la battaglia che per una vita ha combattuto con ActionAid contro l’esclusione sociale. Negli ultimi cento anni il Kerala, che si affaccia a Sud della costa occidentale del paese, si è sviluppato apparentemente meglio e più che il resto dell’India grazie ad una serie di fattori convergenti: un processo politico generalmente sano, un sistema dei media solido e bilanciato ed una serie di movimenti riformisti che hanno saputo produrre un quadro in cui molti indicatori di sviluppo socioeconomico appaiono positivi. Nella prima parte del XX secolo un certo consenso tra i partiti politici produsse investimenti nel settore sociale, in particolare l’istruzione e la sanità pubblica. Tale crescita venne combinata nel corso della lotta per indipendenza, con un tessuto cosmopolita della società che sviluppava contatti con paesi d’emigrazione, il Sudafrica e l’Africa Orientale ancor prima che i paesi del Golfo dove i lavoratori qualificati si sono diretti più di recente. Fu proprio un maggior investimento nell’istruzione pubblica (che costruì sulle basi di istituzioni missionarie) che permise tra gli anni ’50 ed ’80 di creare quella manodopera semispecializzata che dal Kerala si diresse nei paesi arabi dove il petrolio stava portando improvviso benessere in assenza di forza lavoro adeguata ad un settore terziario sviluppato. Ed un terzo 'salto' in avanti verso lo sviluppo di un terziario avanzato avvenne proprio tra gli anni ’80 e ’90, quando la forza lavoro fin lì esportata permise – attraverso le rimesse – di alimentare la domanda locale di nuovi consumi. Proprio quest’ultimo sviluppo pare però nell’ultimo decennio avvenire a spese del settore agricolo, dove la generale iper-sindacalizzazione del settore terziario non si replica, lasciando comunità contadine e di pescatori in uno stato di particolare esclusione come mi spiega con vigore Magline, un’attivista locale. Inoltre – spiega sempre Magline - nel momento di massima espansione economica pare stagnare l’investimento pubblico nelle infrastrutture, i diritti delle donne formalmente riconosciuti non risultano in una partecipazione politica femminile significativa e la politica locale ha perso il livello di consenso del passato. La società sembra balzata da uno stato di semi-feudalesimo ad un consumismo esasperato nel corso di solo una generazione. Una parte significativa della società è passata da un’economia di sussistenza ad uno stato di accumulazione dei risparmi alimentati dalle rimesse e gestiti dal settore bancario locale, come spiega John Samuel, un funzionario delle Nazioni Unite cresciuto qui. Ma il denaro viene investito marginalmente nell’economia produttiva; a partire dalla fine degli anni ’90 si assiste ad una volgarizzazione del ragionamento politico. Le discussioni sulle scelte sostanziate da ricerca solida sono state sostituite da politics of TV performance, che anche qui ha prodotto i reality shows e di conseguenza una chiara inadeguatezza della leadership dei giovani. Ad un convegno sul futuro sviluppo del Kerala (19-20 Dicembre) a cui ha partecipato l’intellighenzia locale ho potuto individuare nove questioni su cui agire con una visione di lungo e medio periodo. Nell’elencarle sembra impossibile non riflettere sulle similitudini con alcune sfide del tutto italiane. Il 12% della popolazione (circa 40 milioni di persone) è ufficialmente disoccupato e tale fenomeno colpisce una fetta di popolazione con un’istruzione che le permette di ambire ad un lavoro qualificato. In Kerala – come in Italia – le opportunità di lavoro qualificato scarseggiano a causa di scarsi investimenti negli anni precedenti (per esempio stati vicini hanno creato oltre un milione di posti di lavoro nel settore informatico che qui non sono invece stati creati, pur in presenza di alti livelli di 'utilizzo' privato delle tecnologie connesse). Come in Italia, sono cresciuti i fenomeni corruttivi. Qui è particolarmente rilevante la maniera in cui l’amministrazione pubblica viene utilizzata per 'piazzare' personale inadeguato, anche in settori chiave come quello dell’istruzione dove un posto da insegnante non si nega a nessuno, con i risultati prevedibili nel medio periodo. L’agricoltura è stata negletta in termini di investimento, invertendo a sfavore del Kerala in pochi anni il segno della bilancia commerciale nei prodotti agricoli, per esempio con il vicino stato del Tamil Nadu. L’agricoltura si è spostata verso cash crops che hanno finito con l’esporre il Kerala, ancor più che altri luoghi, alla volatilità dei prezzi degli alimenti. Sono cresciuti tassi di criminalità, in particolare in relazione al tentativo di acquisire prestiti bancari o estorcere somme di varia entità a piccole e grandi imprese. La criminalità organizzata si serve di gruppi di giovani che tentano la strada di guadagni rapidi per 'tener dietro' ai bisogni sociali creati dalla società dei consumi. Il ruolo delle donne è stato svilito nella comunicazione pubblica e sono cresciuti i casi di violenza di genere anche manifesta in pubblico. Rimangono poche, poco influenti e comunque meno che altrove in India le donne visibili in politica. Sono cresciute chiaramente le forme di degrado del territorio che hanno reso maggiormente a rischio molte zone (in genere abitate da persone escluse socialmente ed impoverite). Come in Italia l’edificazione poco controllata di aree inadeguate è stata alla base del degrado, con un costo sociale e di vite del tutto evitabile. Le ottime strade e il sistema di elettrificazione praticamente universale - che erano il risultato del balzo in avanti degli anni ’90 - non vengono mantenuti in servizio appropriatamente. Oltre ai costi immediati (aumento degli incidenti stradali), l’infrastruttura inadeguata sta minando la possibilità di cogliere la prossima opportunità economica locale, il turismo sostenibile attratto dalle magnifiche lagune. Le bellezze naturali attraenti anche per la crescente domanda di turismo domestico della classe media indiana confezionano una opportunità imperdibile: mancare la sfida dell’accoglienza eco-turistica avrà un impatto significativo per decenni . Come in Italia dove gli anziani rischiano di perdere la sicurezza di una pensione degna di una vecchiaia serena, anche qui in Kerala esiste un problema specifico per quanti sono abbandonati da figli emigranti ed in assenza di una responsabilizzazione comunitaria che si è persa con la nuclearizzazione delle famiglie. Ed infine… come ovunque nel mondo globalizzato, la marginalizzazione trova spiegazioni anche in Kerala in un sistema che permette l’arricchimento di alcuni a danno dei molti. Il sistema delle caste persiste nonostante l’'esposizione al mondo' e le comunità di pescatori han visto decrescere le opportunità offerte dall’ambiente naturale. Parlando con John Samuel, a margine del convegno da cui scrivo, si percepisce come sia necessario un nuovo paradigma, una necessità di 'svegliare il Kerala' così come appare evidente sia necessario svegliare l’Italia da uno stato di torpore, consumo senza visione e utilizzo personale della politica e delle istituzioni pubbliche. Come l’Italia, anche il Kerala dovrebbe costruire sulle qualità del proprio territorio e della propria forza lavoro; dovrebbe liberare le risorse dei privati che giacciono secondo una stima per il 45% nei conti privati invece che essere investiti in attività produttive; dovrebbe investire in servizi capaci di creare nuovo business (come l’ecoturismo e l’indotto che ne può derivare). Si tratta insomma di creare un ambiente che possa tornare ad essere conduttore di uno sviluppo di strutture fisiche, sociali e di cultura che si è andato esaurendo tra i lustrini e le paillettes dell’India di 'vetrina'. Come in Italia per riuscire in questa riformulazione dell’interesse comune sarà necessario superare la visione di corto periodo determinata dal ciclo elettorale e trovare nuovamente quelle ragioni di una unità che la comunità Malyala ha saputo evidenziare in tutti i passaggi cruciali per il proprio sviluppo dell’ultimo secolo. Oggi la precarietà di molti che vivono appena sopra la 'linea della povertà' rimane raffigurata dalla perdita improvvisa dell’amico Sunil, mentre lavorava per il suo paese, per ridurne le assurde contraddizioni. Ma con tanti che, come Sunil, vivono per il diritto di cambiare la propria società, we shall overcome! In Kerala come in Italia.

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