PAC, prosegue il processo di riforma della Politica Agricola Comune

È in partenza il confronto fra le tre istituzioni europee che dovranno approvare la Politica Agricola Comune per il periodo 2014-2020. Un breve esame delle proposte sul piatto però, rivela che competitività e crescita economica prevalgono sulla reale volontà di imporre una svolta sostenibile.

PAC, prosegue il processo di riforma della Politica Agricola Comune
Siamo in una fase cruciale del processo di riforma della PAC, la Politica Agricola Comune. Il nuovo piano poliennale 2014-2020 sarebbe dovuto entrare in vigore dal primo gennaio 2014, ma vari contrattempi – il più rilevante dei quali è stata la bocciatura del bilancio da parte del Parlamento Europeo – hanno provocato uno slittamento al primo gennaio 2015. In ogni caso, all’inizio di aprile partirà il confronto fra il Parlamento Europeo, la Commissione e il Consiglio per definire il testo definitivo della nuova PAC. Le associazioni ambientaliste, per voce della loro rappresentate Maria Grazia Mammuccini, hanno già esternato la loro delusione nei confronti dell’ipotesi di riforma. Ma vediamo qualche dettaglio in più del nuovo piano. Partendo da un inquadramento economico generale, va detto che le risorse destinate dall’Unione Europea alle politiche agricole verranno notevolmente ridimensionate: nel Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020 infatti, alla voce 2 “Crescita sostenibile: risorse naturali”, il differenziale rispetto al precedente settennio è di -9,1%, ovvero 38,2 miliardi di euro in meno, ed è l’unico dato negativo del programma. Entrando nel merito di quanto prevede la nuova PAC, possiamo vedere che essa ruota intorno a quattro pilastri principali: i pagamenti diretti agli agricoltori, l’Organizzazione Comune di Mercato unica, lo sviluppo rurale e il Regolamento Orizzontale che disciplina il finanziamento, la gestione e il monitoraggio della PAC stessa. Per quanto riguarda i pagamenti diretti, la linea generale prevede un allineamento nelle quote di ciascun paese membro e ha l’obiettivo di uniformare i pagamenti entro il 2019. L’Italia, che oggi riceve somme superiori rispetto a quelle della media UE, dovrà quindi aspettarsi una diminuzione degli aiuti finanziari. Nello specifico, cambierà anche il modo di ripartire gli aiuti ai coltivatori: dal regime di pagamento unico si passerà a un sistema articolato su quattro voci. Per prima cosa, un pagamento di base, che sarà erogato a tutti gli aventi diritto. Poi un pagamento “verde” – il cosiddetto greening –, che consisterà in un importo addizionale per chi adotterà pratiche ecologiche, vale a dire diversificazione tramite rotazione di almeno tre colture diverse, mantenimento dei prati stabili e permanenti, la riduzione dell’uso di prodotti chimici, la destinazione di una parte dei propri terreni a scopi ecologici, la tutela floro-faunistica e così via. I produttori biologici rientreranno di diritto fra i beneficiari del greening. La terza voce sarà quella dei giovani agricoltori, ovvero gli under 40, ai quali però è riservata una porzione abbastanza esigua del budget destinato ai pagamenti diretti. Infine, si cercherà di sostenere attraverso una misura d’aiuto specifica anche i piccoli agricoltori. Esistono inoltre due parametri aggiuntivi che possono dare accesso ad aiuti economici diretti, cioè l’ubicazione dell’azienda in aree svantaggiate ed eventuali situazioni di mercato particolarmente difficoltose. Il secondo pilastro, l’Organizzazione Comune dei Mercati (OCM) unica, serve a uniformare dal punto di vista giuridico ed economico il mercato interno, l’intervento sui mercati del pubblico e del privato, gli scambi con i paesi terzi, misure anticrisi straordinarie e le regole della concorrenza. Tuttavia, molti osservatori ritengono che l’OCM riformata non si discosti molto da quella prevista sin dal 2007 col Regolamento 1234. Va però sottolineato l’impegno che si ravvisa nel ridurre i passaggi di filiera e nel rivalutare il ruolo e il potere contrattuale dei produttori. Il terzo pilastro è quello relativo allo sviluppo rurale. Dagli attuali quattro assi si passerà a sei priorità, ovvero trasferimento di conoscenze e innovazione, competitività, organizzazione delle filiera alimentari e gestione dei rischi, tutela degli ecosistemi legati al mondo agricolo, ottimizzazione dell’impiego delle risorse e riduzione delle emissioni, occupazione e sviluppo nelle regioni rurali. Infine il quarto pilastro, il Regolamento Orizzontale, ha lo scopo di monitorare l’applicazione delle misure previste dalla PAC, in particolare quelle relative alla condizionalità, agli interventi sul mercato e ai pagamenti diretti, che ormai si possono considerare una spina nel fianco sia dal punto di vista economico che da quello politico. La PAC assorbe infatti una quota davvero consistente del budget europeo: il 42,5% nel piano di spesa 2007-2013, ma negli anni precedenti il dato era anche superiore. L’enorme spesa, che nel periodo 2014-2020 dovrebbe aggirarsi intorno ai 383 miliardi di euro, può essere giustificata se si considera l’agricoltura come un’attività fondamentale per la sopravvivenza di tutti i cittadini europei, quindi un bene, o meglio servizio, comune. Se deve essere così però, non si spiega la grandi enfasi che anche con la nuova riforma viene posta sull’aspetto commerciale – “crescita” è sempre la parola chiave –, mentre il rigore che sarebbe servito nell’imporre pratiche realmente sostenibili non è stato adottato. Per esempio, scorporando il vecchio sistema del pagamento unico degli aiuti diretti, si sarebbe potuto eliminare, attraverso un processo graduale per non creare troppi scompensi, il pagamento di base, utilizzando come primo criterio quello del greening e facendo in modo che l’agricoltura sostenibile e biologica diventasse conveniente non solo dal punto di vista ambientale ma anche da quello economico. D’altronde, pur senza fare 'di tutta l'erba un fascio', è irrealistico sperare che un’istituzione sopranazionale che in altri settori – tanto per fare un esempio, quello finanziario – sta facendo di tutto per privare i paesi membri di quel briciolo di autorità di cui sono ancora in possesso, in un ambito cruciale per l’autodeterminazione e la sovranità come quello alimentare si muova nella direzione opposta.

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