Padroni a casa nostra

Inizia su Il Cambiamento l’avventura di una nuova rubrica, 'Padroni a casa nostra'. Un titolo provocatorio, per iniziare a riflettere su quello che è l'impatto delle nostre abitudini e dei nostri consumi non solo sull’ambiente, ma anche su intere popolazioni. Queste, magari per rifornirci delle risorse necessarie ai nostri stili di vita dispendiosi, padrone a casa loro non lo sono più da un pezzo.

Padroni a casa nostra
Oggi si ha spesso la sensazione di vivere tempi un po' strani, tempi in cui la globalizzazione si sta mischiando ad una necessità sempre più forte di tornare in contatto con le proprie tradizioni, i propri usi ed il proprio territorio. 'Territorio' è infatti un termine che sentiamo sempre più spesso, ultimamente, un concetto fatto proprio da ogni fazione politica. A volte, però, l’amore per il proprio territorio viene confuso con l’odio a priori verso lo straniero, il diverso… l’'intruso', tanto da portare alcuni partiti ed alcuni gruppi di persone a fare proprie espressioni quali, appunto, "Padroni a casa nostra". Questa è un’espressione legittima, se pronunciata da popoli o nazioni occupate da invasori o da 'esportatori di democrazia' come sono stati negli ultimi anni gli USA per l’Iraq, ad esempio, ma che suonano parecchio ipocrite quando a pronunciarle sono persone che, in varie parti d’Italia, disprezzano o addirittura odiano gli immigrati per poi sfruttarli ed assumerli in nero nelle proprie aziende o nelle proprie case. Un evidente fraintendimento, se si pensa che le nostre abitudini, i nostri 'consumi' ed i nostri stili di vita portano milioni di persone, nel mondo, a non essere 'padrone a casa propria'. Pensiamo, per fare qualche altro esempio, a tutti quei nigeriani in pessime condizioni di vita grazie alle esplorazioni e alle trivellazioni petrolifere in 'casa loro' attuate da compagnie italiane, europee o americane; o a quelle popolazioni della Repubblica Democratica del Congo devastate da guerre nate per l’accaparramento del Coltan, minerale essenziale nella costruzione di batterie per cellulari e pc portatili, di cui il loro 'territorio' è ricco; oppure pensiamo al destino, già deciso, di tutte le tribù incontattate di nativi che, quando hanno la fortuna di sopravvivere anche ad un semplice raffreddore ricevuto in dono dall’arrivo del progresso, si vedono levare da sotto gli occhi la 'loro casa', la foresta amazzonica, fonte esauribile di legname, di petrolio e di vasti spazi per allevamenti di bovini che diventeranno lussuosi parquet, plastica/carburante ed omologati hamburger per bisunti fast-food nelle nazioni 'civili'. Siamo davvero sicuri, quindi, di poterci lamentare di non essere padroni a casa nostra se ci sono immigrati che, in molti casi non così contenti di stare lontani dal proprio Paese di origine e dai propri cari, se ne stanno qui a fare tutto ciò che noi, impegnati a volere diventare attori, cantanti, veline e giornalisti non vogliamo più fare? Siamo davvero convinti del fatto che tutte queste persone se ne starebbero qua a curare i nostri nonni o a pulire i nostri cessi, se a 'casa loro' ci fossero le condizioni adatte ad avere una vita minimamente dignitosa? Certo ci sono moltissime ragioni dietro alle migrazioni dovute alla mancanza di condizioni dignitose: problemi familiari, regimi dittatoriali (passati o presenti), scarso 'sviluppo' (anche se sempre e solo da un punto di vista occidentale) delle condizioni economiche. Ma c’è anche in moltissimi casi il fatto che loro, a differenza di noi, padroni a casa loro non lo possono più essere da parecchio tempo, ossia da quando la (nostra) civiltà li ha raggiunti già dai tempi del colonialismo, prima imponendo con la forza i nostri modelli, poi facendogli credere che il nostro stile di vita è il migliore possibile. Il Cambiamento deve partire anche da questo, dalla conoscenza di situazioni nel mondo che, seppure lontane dai nostri occhi, sono comunque ricollegabili alle nostre scelte. Perché è tutto interconnesso, e l’immigrato africano che ci 'disturba' provando a venderci una collanina in un parcheggio potrebbe aver lasciato casa sua proprio a causa dei conflitti nati dalla presenza di aziende petrolifere italiane che sfruttano da diversi decenni le risorse del suo 'territorio'. L’intenzione di questa rubrica, quindi, non è quella di 'fare la morale' a tutti noi inconsapevoli ed egoisti consumatori globali, né quella di difendere a priori e con inutile buonismo tutti coloro che decidono di emigrare, ma quella di parlare di fatti, luoghi e persone che, spesso, non abbiamo mai nemmeno considerato, o di cui non abbiamo mai sentito parlare. Un tentativo di informare in modo lucido e neutrale, così da permettere a chi legge di fare le proprie scelte, eventualmente di cambiare le proprie abitudini una volta venuto/a a conoscenza di fatti quali, ad esempio, le origini degli oggetti che lo/la circondano. Perché la possibilità di dire che siamo 'padroni a casa nostra' è un diritto che non abbiamo solo noi occidentali, ma che accomuna o dovrebbe accomunare tutti i popoli del mondo. Le migrazioni e la nascita di società sempre più multietniche e multiculturali è un processo che ormai non si potrà arrestare. Vale quindi la pena cercare di conoscersi al meglio, smettendola di usare come slogan ignoranti ed ottusi espressioni preconfezionate come quella che dà il nome a questa rubrica. Parole aggressive e vuote di significato che non risolvono nessun problema, ma che creano solo tensioni e disgregazione sociale.

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