Parchi, il caso dell'Area Protetta della Costa Teatina

Le polemiche sorte per la perimetrazione della nuova Area Protetta della Costa Teatina sono soltanto un esempio di come in Italia sia valutata e gestita la questione relativa ai parchi nazionali. Quel che inevitabilmente traspare è la convinzione che i grandi parchi nazionali italiani vengano valutati dalla classe politica non come una risorsa di inestimabile valore, bensì come una voce di bilancio da sanare.

Parchi, il caso dell'Area Protetta della Costa Teatina
Con un'ampia maggioranza il Consiglio Comunale di Vasto ha approvato le decisioni relative alla perimetrazione della nuova Area Protetta della Costa Teatina, rivendicando anche il ruolo del comune di Vasto come sede centrale del parco. La decisione era auspicabile, ma non si placano le polemiche, soprattutto ad ascoltare l'ambientalista vastese Ivo Menna il quale si scaglia contro Rifondazione Comunista e Sinistra e Libertà, colpevoli a suo avviso di aver votato a favore nonostante fossero stati precedentemente bocciati alcuni emendamenti relativi all'inclusione all'interno del parco di alcune zone di rilevanza ambientale. Anche nella regione dei parchi quale è l'Abruzzo, si è avuta una lunga e nauseante diatriba per l'approvazione di questa area protetta. Sebbene largamente voluta ed auspicata, la vera battaglia si è giocata appunto sulla perimetrazione dell'area, che porta con sé innumerevoli vincoli ambientali e territoriali. Tutto si riduce al 'vil danaro' (e come stupirsi) dato che già recenti dichiarazioni di Assovasto e della Confindustria provinciale aprivano al parco, ma a determinate condizioni, ossia che si tenesse conto che nel progetto non dovessero rientrare l'area industriale, le altre zone attrezzate, il porto e le aree destinate per la produzione; o quantomeno che si tenesse conto delle numerose attività turistiche presenti nella zona di Vasto Marina le quali “dovranno per forza di cose continuare a svolgere la loro attività senza alcun tipo di vincoli” (fonte: Vasto 24). L'evidente rischio è quello di un parco colabrodo, di un progetto quindi fin dal principio caratterizzato da una spiccata vena locale e non da un ampio respiro nazionale, cosa che una riserva naturale dovrebbe implicitamente avere. Ebbene, questo è solo un esempio di come nel nostro paese sia valutata e gestita la questione relativa ai parchi nazionali, date le innumerevoli polemiche che ogni volta si creano intorno alla formazione di una nuova area protetta. Quel che inevitabilmente traspare è la convinzione che i grandi parchi nazionali italiani vengano valutati dalla classe politica non come una risorsa di inestimabile valore, bensì come una voce di bilancio da sanare. Già nel 2009 un'interessantissima ricerca svolta da Federparchi esponeva a chiare lettere quali siano le 'attenzioni' riservate a queste aree. Ripercorrendo le tappe delle varie finanziarie fin dal 2011, si legge che si è passati dallo stanziamento di 62,5 milioni di euro del 2001 alle previsioni di 19 milioni nel 2011. Ma, forse per un'esigenza di chiarezza, sarebbe meglio dire che il finanziamento in questi ultimi dieci anni sarebbe dovuto passare dai 53 ai 19 euro per ettaro. Solo grazie all'intervento di numerose associazioni anche di ambito internazionale come il WWF il pericolo è stato scongiurato e la classe politica è dovuta, per forza di cose, correre ai ripari. Il quadro è sconcertante, o per lo meno deprimente, soprattutto se si pensa al travisamento delle potenzialità di un settore che nel nostro paese potrebbe rappresentare l'eccellenza. Come si è visto dalle polemiche intorno alla riserva teatina, le preoccupazioni sono sempre relative agli aspetti economici ed i conseguenti tagli sempre giustificati dalla crisi globale che non lascia scampo. Si auspica da tempo la 'valorizzazione' turistica di queste aree, attraverso la creazione dei tanto decantati bacini sciistici. Cementificazione indicata come 'un'opera di bene', in grado di portare occupazione e consumo in Abruzzo. E poco importa che si tratta proprio di quei parchi nazionali che qualche tempo fa eleggevano questa regione come la più verde d'Europa. Proprio qui si annida l'errore che sottolinea una mancanza di lungimiranza da parte della classe politica. Innanzitutto non si può più ignorare il fatto che le stazioni sciistiche non sono sempre quella fonte di denaro che si può immaginare. I recenti cambiamenti climatici della nostra penisola hanno fatto sì che i vari impianti non sono più in grado di sostenere il turismo invernale se non per periodi limitati e specifici. I ricorrenti fallimenti delle stazioni di Scanno e Pescasseroli insinuano il dubbio che questo modus operandi sia lo specchietto per le allodole in grado di attirare il turista benestante, il quale non rifiuterà certo di acquistare una proprietà in montagna. Se poi si mettono sul piatto della bilancia i danni ambientali che queste ondate di cemento provocano sul territorio, appare evidente che il gioco non vale assolutamente la candela. Senza contare che sembra ormai smentito anche il vecchio ritornello che insegna come i parchi nazionali siano pozzi neri nei quali si vanno a perdere milioni e milioni di euro. Sempre nel 2009 l'Atlante dei Prodotti Tipici dei Parchi italiani aveva scoperto ben 475 prodotti tipici e individuato quasi 3.000 produttori con un conseguente giro di affari fatto di 95 milioni di presenze annue per un fatturato globale di circa 10 miliardi di euro. Sarebbe qui che si dovrebbe puntare dal punto di vista non tanto legislativo quanto politico. Ed ha ragione Renzo Moschini quando dice che il problema sta nelle intenzioni di una classe dirigente che ignora le leggi esistenti in nome di una 'valorizzazione' del territorio che ha davvero poco a che fare con la sua tutela.

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