Ponte sullo Stretto, ecco perché è anti-economico

In attesa di conoscere la posizione definitiva del Governo sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, abbiamo intervistato il portavoce della Rete NoPonte, Luigi Sturniolo, il quale ci ha spiegato le ragioni dell'anti-economicità di questa grande struttura. Esclusa dalle azioni prioritarie dell'Ue, in base alla nuova politica di finanziamento delle infrastrutture europee, l’opera non sarebbe appetibile per il sistema dei Project Bonds all’esame della Commissione.

Ponte sullo Stretto, ecco perché è anti-economico
Il Governo viene chiamato da più parti a fare chiarezza sulla sorte del Ponte e sul ventilato definanziamento. Il Governatore della Sicilia Lombardo, rientrato dall’incontro straordinario del 26 gennaio scorso a Roma con Monti (19 i punti all’ordine del giorno a seguito degli scioperi e delle proteste in Sicilia) dichiarava: Il Governo “ci ha detto che nell'ultima riunione del Cipe non c'è stato alcun definanziamento dei fondi per il ponte sullo Stretto di Messina e che si attende l'ok della Valutazione di impatto ambientale per reperire le risorse”. Nei giorni a seguire anche il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli e il presidente di Anas Pietro Ciucci hanno incalzato l’esecutivo sostenendo la necessità che l’iter progettuale della struttura avanzi verso la costruzione. Sulla stessa scia, l'interrogazione di dodici deputati siciliani del Pdl al Presidente del Consiglio Monti e al Ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera, per “conoscere in maniera definitiva e inequivocabile la posizione del governo sulla costruzione del ponte sullo stretto di Messina”. Un pressing senza sosta, che insieme al silenzio di chi ha il potere decisionale in materia, lascia pensare ci siano - da un lato -, decisioni ancora da prendere e - dall’altro - tempo a disposizione del Governo per esprimersi nettamente, prima che sia indispensabile farlo. L’altro ieri la prevista discussione all’ARS sulle comunicazioni fatte dal Governo al Presidente della Regione Sicilia circa gli orientamenti nazionali sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina è sfumata, a seguito dell'assenza del Presidente Lombardo, ed è stata rinviata alla seduta del prossimo 7 febbraio. Ma la mannaia del CIPE sul Ponte viene invece confermata dal centro studi dell’ANCE, l’Associazione nazionale costruttori, che giusto ieri ha reso nota la mappa ricostruita dallo stesso, con il dettaglio dei tagli e dei rifinanziamenti sbloccati dal CIPE sulla base delle delibere del 6 dicembre 2011 e del 20 gennaio 2012, sostenendo il “taglio di 1,7 miliardi di euro, quasi tutto a carico del Ponte sullo Stretto di Messina, che perde l’intero finanziamento di 1,6 miliardi”. Se le attuali linee del Governo suggeriscono la necessità di stringere attorno a scelte di riequilibrio economico, l’anti-economicità della costruzione del ponte è tra le motivazioni da sempre addotte da uno dei gruppi che si oppongono all’edificazione della struttura: la Rete NoPonte . “È vero - ci dice Luigi Sturniolo, portavoce della Rete NoPonte – che il definanziamento del Ponte sullo Stretto non è espressamente menzionato nella relazione emessa dal CIPE lo scorso 20 gennaio, ma la decisione la si desume dal fatto che il ponte stesso non compaia tra le opere finanziate”. Non è però questa l’unica o la più importante delle argomentazioni sostenute oggi dalla Rete NoPonte (a supporto della tesi per cui la grande opera dello Stretto è più vicina alla resa che alla realizzazione), quanto la decisione assunta dall’Ue lo scorso ottobre, riguardo alle opere infrastrutturali finanziabili: l’opera è stata cancellata dal core network dei dieci corridoi delle Reti transeuropee (TEN-T) di trasporto su cui punta l’Unione entro il 2030. Da allora, la mega struttura è stata esclusa dalle azioni prioritarie. Una decisione che appare molto importante, non solo per ragioni di politica europea, quanto per strategie strettamente economiche. Luigi Sturniolo, continua chiarendocene il perché. “Il nuovo orientamento in Europa è che le grandi opere infrastrutturali vengano sovvenzionate da impianti finanziari internazionali che ricevono il riconoscimento dell’Unione europea, tramite i Project Bond. Considerando che l’investimento nella costruzione del Ponte non è economicamente redditizio, perché andrebbe in perdita per molti anni, il finanziamento potrebbe provenire solo da una fonte pubblica, che data la crisi in cui versano le casse dello Stato, è da escludere”. In sintesi, ci sembra di capire che il futuro delle grandi opere faccia affidamento a quei Project Bonds (da non confondere con gli Eurobonds) che l'Unione Europea sta cercando di lanciare. I Project Bonds sono titoli emessi da compagnie private per realizzare grandi progetti infrastrutturali - trasporti, reti di trasmissione di energia, reti telematiche – che la Commissione si propone di supportare, finanziandoli insieme alla Banca europea degli investimenti (Bei), grazie allo strumento della garanzia o del debito subordinato. Non entriamo qui nei dettagli tecnici dei due, ma ci basti sapere che in ambedue i casi parte del rischio di credito viene trasferito sui bilanci dell’Unione Europea e della Bei, al fine di aumentare l’affidabilità di quei project bonds emessi sul mercato. Su questo argomento, la Commissione ha tenuto delle consultazioni dal 29 novembre 2011 al 9 gennaio scorso, e molti aspetti sono ancora in via di definizione. La Rete, nata nel 2009, ha superato le motivazioni strettamente ambientaliste, pur presenti nel proprio attivismo. “Al giorno d’oggi, e in un periodo di forte crisi economica, non si può pensare che grandi infrastrutture vengano decise solo sulla base di considerazioni ambientali”. E il ponte , oltre che dannoso per l’ambiente, sarebbe inutile per la mobilità del Paese. L’edificazione – aggiunge il portavoce - è oggi un’operazione meramente politica. Un meccanismo che mira a trasferire fondi e risorse pubbliche nelle mani di privati”. In termini di lavoro e sviluppo, chiediamo, che indotto ha avuto finora il progetto sulle due sponde, Messina e Reggio? “I fondi investiti, fino ad oggi per il Ponte - risponde Luigi Sturniolo - non hanno creato alcun tipo di indotto. Tutto può essere ricondotto al finanziamento del progettificio e delle spese di rappresentanza. Né il territorio dello Stretto, né i lavoratori ne hanno avuto alcun riscontro. Si tenga conto che tra gli addetti ai lavori relativi alle trivellazioni finalizzate a conseguire i dati necessari per la progettazione definitiva, solo 5 erano messinesi e che, a quanto pare, terminati i lavori, Eurolink ha messo in mobilità i propri impiegati. Sembra incredibile che un consorzio che aspira a gestire un appalto per oltre 8 miliardi di euro non sia in grado di tenere in impiego una decina di dipendenti”.

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