Università, riforma approvata alla Camera. La conoscenza a rischio

Non possiamo non parlarne. Negli ultimi giorni manifestazioni e cortei hanno paralizzato interi centri urbani. I giovani italiani sono saliti sui tetti, hanno occupato binari e monumenti, invaso autostrade. E alla fine, con 307 voti favorevoli e 252 contrari, la riforma dell'Università firmata Gelmini ha ricevuto l'approvazione della Camera. Contro questa riforma da mesi si stagliano le proteste di studenti e ricercatori. A rischio c'è il loro futuro, e quello della conoscenza pubblica e libera dagli interessi di mercato.

Università, riforma approvata alla Camera. La conoscenza a rischio
Nonostante le proteste di universitari, ricercatori, professori e studenti - che in questi giorni hanno raggiunto l'apice ma che in realtà vanno avanti da quasi un anno - ieri sera ha avuto il via libera alla Camera la riforma Gelmini con 307 voti favorevoli e 252 contrari. Adesso il prossimo passo è l'approvazione in Senato. Sempre ieri molte città italiane, da Catania a Torino, nonostante la pioggia battente, sono state animate da cortei e manifestazioni che hanno bloccato stazioni ferroviarie, atenei e autostrade. Occupazioni che ancora oggi continuano a farsi sentire. Le varie forme di protesta sono state criticate da alcuni esponenti della maggioranza e dallo stesso presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, che ha dichiarato “gli studenti veri stanno a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali o fuori corso”; in merito al ddl approvato, invece, ha affermato che si tratta di “una buona riforma che favorisce gli studenti, i professori e più in generale tutto il mondo accademico e dunque deve passare se vogliamo finalmente ammodernare l'università”, inoltre “introduce maggiore meritocrazia ed è davvero un vantaggio per tutti”. La risposta dall'opposizione a queste parole è stata altrettanto forte. Leoluca Orlando, portavoce dell'Idv: “Il portavoce di Putin non solo ruba il futuro agli studenti ma si permette pure di offenderli. Chieda scusa a chi sta portando avanti una tranquilla e legittima protesta nei confronti di una riforma che brucia l’avvenire del nostro Paese”. Apertamente schierati con gli studenti anche Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani del Pd, Pier Ferdinando Casini dell'Udc e Antonio Di Pietro dell'Idv. Nonostante, comunque, la Gelimini si dichiari soddisfatta sostenendo che “il tempo è galantuomo e gli studenti capiranno che questa riforma dell'università è tutta a loro vantaggio: è un cambiamento epocale di cui si sentiva il bisogno se vogliamo allineare il nostro sistema all'Europa”, non è ancora certo che il provvedimento venga approvato definitivamente al Senato. Il Pd, infatti, rifiuta la scelta di mettere il voto in calendario prima del 14 dicembre, giorno in cui si voterà la fiducia al governo di Berlusconi. Si aspettano, quindi, ancora giorni di trattative “frenetiche” e “turbolente”. Inoltre, anche in Parlamento la riforma ha dovuto affrontare e superare delle difficoltà. La prima per un emendamento del gruppo di Futuro e libertà all'articolo 19 della riforma, relativo agli assegni di ricerca. La seconda volta per tre emendamenti di Fli, Api e Pd che chiedevano la soppressione della “clausola di salvaguardia” inserita nella riforma dell'università. Con l'approvazione degli emendamenti è stata eliminata la norma che prevedeva un possibile “commissariamento” del ministero dell'Istruzione da parte del ministero dell'Economia nel caso in cui si fossero verificati cambiamenti rispetto alle spese previste. Tra gli altri emendamenti approvati se ne segnala uno che prevede che “i contratti a titolo gratuito non possono superare nell'anno accademico il 5% dell'organico dei professori e ricercatori di ruolo in servizio presso l'ateneo” e un altro sulla norma “anti-parentopoli” che esclude che vengano chiamati come candidati parenti e affini “fino al quarto grado compreso, un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata; o con il rettore, il direttore generale o con un consigliere di amministrazione dell'ateneo”. Quest'ultimo emendamento è stato fortemente dibattuto da Antonio Di Pietro che dichiara “Il ministro Gelmini ha fatto la furbetta: con il suo sub-emendamento ha dimostrato di essere in malafede, e consentirà la continuazione della pratica delle dinastie dei baroni”.

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L'UNIVERSITA' E IL DIRITTO "EREDITARIO" ALL'INSEGNAMENTO Giuseppe Luca E così il testo della riforma universitaria che ha scatenato in tutta Italia le proteste di studenti, ricercatori e professori universitari, spesso oltre i limiti della legalità e con evidenti connotati di strumentalizzazione, Martedì 30 novembre, è stato approvato alla Camera e approda adesso ai più pacifici lidi di Palazzo Madama. La settimana scorsa abbiamo stigmatizzato il segnale del cattivo clima che si era venuto a creare nel nostro Paese convinti che ogni sistema, specie se pubblico, funzionerà per il meglio quando ogni componente saprà giocare il proprio ruolo, non fuggendo ma dirigendo le proprie energie senza esserne schiavo, e si porrà ad esempio con piena assunzione di responsabilità. Abbiamo affermato ancora che l'università ha urgente bisogno di una terapia incisiva ed efficace per uscire dallo status quo e riconquistare il prestigio perduto e che la riforma presentata da questo Governo non si può bocciare in maniera pregiudiziale ma va migliorata specialmente dopo l'infinta serie di emendamenti frutto di compromessi politici, sindacali e di altre varie nature che, in parte hanno stravolto il testo originale. La Gelmini che si è detta, comunque, dispiaciuta per il clima di tensione sociale, ha affermato che la nostra Università, con l'approvazione definitiva "sarà un'università con i criteri che vigono in tutta l'Europa e con un sistema di valutazione e una distribuzione delle risorse in maniera meritocratica". Ha, quindi, invitato gli studenti a "monitorare come funzionerà questo disegno di legge e a lavorare insieme". Non vi è dubbio che aver fondato la riforma sui concetti di autonomia e responsabilità, valorizzazione del merito e combinazione di didattica e ricerca e legato le risorse da assegnare alle Università alla qualità della ricerca e della didattica sia l'aspetto più significativo del disegno di legge proposto dal Governo. Ma è proprio il merito che, a nostro avviso, entra in "crisi" quando il Ministro, commentando le proteste, ha sostenuto "che tra i meriti fondamentali della sua riforma c'è il porre fine a parentopoli". La legge, infatti, prevede che non potrà avere parentele fino al quarto grado chi parteciperà ai concorsi da docenti ma anche per ricercatore e assegnisti professori appartenenti al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata. La presenza di parentele illustri in molte università è nota a tutti: Docente il padre, associato il primogenito, ricercatore il secondo e qualche volta c´è spazio persino per la consorte e per parentele trasversali. Di dinastie nella docenza, insomma, ce ne sono tante come tanti sono gli studi che dimostrano come ci sia un vero e proprio nesso scientifico tra il nepotismo e il basso livello della didattica. E', perciò, necessario e urgente, stroncare questo diritto "ereditario". La parola d'ordine con cui bisognava formulare la riforma era la valorizzazione del merito, ma un Governo "forte" deve essere in grado non solo di scoprire, ma anche di valorizzare i "talenti" e non deve commettere un'ingiustizia per affermare un principio giusto: il principio giusto è quello di avere docenti preparati e l'ingiustizia è escludere dall'insegnamento un concorrente solo perché parente di un professore che insegna nello stesso dipartimento che ha effettuato la chiamata. E' legittimo, in un paese democratico, impedire ai figli di fare lo stesso lavoro dei padri solo perché questi si trovano a svolgere la loro professione nella stessa Università? Si può impedire, ad esempio, al figlio di un agricoltore di fare lo stesso mestiere del padre o al figlio di un meccanico di svolgere il lavoro del padre dimenticando che spesso il miglior maestro si trova in famiglia? Assumersi a priori la responsabilità che i figli dei professori universitari non possono avere capacità, competenze disciplinari e quanto necessario per l'insegnamento, è un grave errore che potrebbe privare l'Università "sede primaria di libera ricerca e di libera formazione" di tanti giovani talenti che avrebbero appreso dai loro padri l'inclinazione e dimostrato, attraverso una seria selezione, anche le competenze. E questa esclusione non indebolirebbe l'Università quale " luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica" così come afferma in premessa il testo della riforma? E' bene impedire la prevaricazione di un padre che mette in atto tutti gli strumenti per favorire un esito positivo di un concorso o una chiamata diretta di un proprio figlio/parente danneggiando e ignorando chi ha dimostrato o potrebbe dimostrare più meriti e competenze, ma è grave e arretrato escludere dai concorsi e dalle graduatorie chi vorrebbe scegliere una professione dimostrandone le e capacità. Sarebbe più logico e legittimo, trovare meccanismi di reclutamento tali da valutare le capacità di chi vuole accedere all'insegnamento anziché escludere subito per semplice verifica dello stato di famiglia o dell'estratto dell'albero genealogico. Un Governo forte e attento alle esigenze della collettività, non può cavalcare la tigre senza restare sbranato, non può aggirare i problemi ma deve essere capace di affrontarli e risolverli. Giuseppe Luca, pippo.luca@alice.it , 3334358311 Direttore Responsabile della " Letterina"
Pippo Luca, 09-12-2010 06:09

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