Sulcis, stiamo con l'ambiente o con gli operai?

Come spesso accade quando viene chiusa una fabbrica inquinante - o come in questo caso una miniera - il mondo ambientalista e quello legato alle lotte dei lavoratori si spaccano. Ma il conflitto è solo apparente. La colpa è piuttosto di una politica lontana od assente e di un'Europa sempre più opprimente nel limitare l'intervento pubblico nelle questioni economiche.

Sulcis, stiamo con l'ambiente o con gli operai?
“Se qualcuno qui ha deciso di ammazzare le famiglie dei minatori, signori qui ci tagliamo noi”. Stefano Meletti, uno dei minatori che stanno occupando la miniera di carbone nel Sulcis, estrae un coltello davanti alle telecamere e si taglia più volte il braccio all'altezza del polso. Il video fa in breve il giro delle televisioni, circola sul web. I giornali – la maggioranza di essi perlomeno – non esitano a schierarsi dalla parte dei minatori. D'altronde, chi non lo farebbe? Ma le cose, come spesso avviene, sono un po' più complesse di come potrebbero apparire in superficie. Perché molti sono gli attori di questo dramma. Ci sono i minatori, con la loro giusta battaglia per la sopravvivenza propria e delle proprie famiglie. C'è una miniera di carbone, l'ultima in Italia, gestita dalla Carbosulcis di proprietà della Regione Sardegna, che da anni svuota come un calzino la terra sotto al Sulcis, per fornire alla vicina centrale Alcoa l'energia sporca e inquinante necessaria a mandare avanti l'impianto. C'è Alcoa, il colosso americano dell'alluminio - famoso per le costruzioni di dighe che in tutto il mondo distruggono l'ambiente e rovinano i paesaggi – che di punto in bianco ha deciso di abbandonare lo stabilimento. C'è un'Europa dalle politiche ultraliberiste, troppo amica dei mercati e troppo poco dei popoli, che considera ogni intervento pubblico nell'economia un'infrazione delle leggi del mercato e della concorrenza, che obbliga la Regione a privatizzare la Carbosulcis e impedisce allo Stato di finanziare la sua riconversione - se mai fosse possibile – ecosostenibile: sarebbero aiuti di Stato illegali. Ci sono, una regione assente ed un governo lontano, c'è un territorio abbandonato a se stesso, svuotato dall'interno, destinato alla decadenza. Insomma i fattori di cui tener di conto sono molti e possono far scaturire idee e considerazioni contrastanti. Ad esempio, è giusto che nel nostro paese continui ad essere attiva una miniera di carbone? La risposta non può che essere negativa. Il carbone è uno dei massimi fattori d'inquinamento in Italia come nel mondo. Secondo un rapporto di Legambiente del 2009, le 12 centrali a carbone funzionanti in Italia producono il 14% del totale dell'energia elettrica a fronte dell'emissione del 30% dell'anidride carbonica liberata per la produzione complessiva di elettricità. Insomma, la chiusura di una miniera di carbone non è certo una cattiva notizia dal punto di vista ambientale. Lo è da quello sociale, eccome. E, come spesso accade, si pensi anche al caso dell'Ilva di Taranto, chi lotta contro gli inquinamenti, per le energie pulite e rinnovabili entra in conflitto con chi lotta per la propria stessa sopravvivenza, per il proprio lavoro, i propri diritti. Pare che sia inevitabile, ma non è così. Il compito di redimere questo conflitto, accontentando entrambe le parti, spetterebbe alla politica. Una buona politica pianificherebbe delle strategie energetiche a lungo termine che prevedano la chiusura di una serie di attività inquinanti e incentivino la nascita di altrettante attività in linea con le nuove direttive. Si creerebbero così nuovi posti di lavoro che andrebbero a bilanciare, persino per eccesso, quelli che si perderebbero. Ma una buona politica, in Italia, non c'è. E se anche ci fosse non avrebbe ormai gli strumenti per agire in tal senso. Ad amministrazioni ed enti locali malati cronicamente di clientelismo, corruzione, distanti anni luce dagli interessi dei cittadini, si sono sovrapposte delle politiche europee che limitano al massimo ogni possibile intervento pubblico nella pianificazione delle strategie economiche, ogni tentativo di mettere una briglia d'etica agli interessi economici di imprese emultinazionali. Da che parte stare dunque nella controversia? Da entrambe: da quella dei minatori e da quella dell'ambiente. Lungi dall'essere due idee in contrasto, la questione sociale/lavorativa e quella ambientale sono in fin dei conti due aspetti della stessa battaglia comune, accidentalmente finiti a confliggere per l'assenza colpevole della politica. Per molti giornali la questione è più semplice. Essi, da veri paladini della giustizia, si schierano a difesa dei più deboli, i minatori. Ma di quali giornali stiamo parlando? Gli stessi che avvallano le politiche europee, le riforme del governo Monti. Come se si trattasse di problemi slegati fra loro.

Commenti

Prima l'ambiente
Ermanno MASCIULLI, 31-08-2012 05:31
Non è sfuggito ai più che, per l'evidente incompatibilità tra la rivendicazione del lavoro-vita e della salute-lavoro oltre che per il tempestivo intervento dei compagni, si è trattato di un atto dimostrativo quantunque temerario. Ciò nonostante non possiamo però restare indifferenti e dobbiamo anzi, gramscianamente, odiare quanti lo siano. Dobbiamo, a mio parere,spingere la nostra solidarietà a comprendere anche queste forme di autolesionismo dimostrativo e protestatario, visto che i digiuni di pannelliana cronaca e costume non "bucano" più l'opinione pubblica televisodipendente. Teniamo perciò nella mente e nel cuore i drammi di quanti hanno compiuto gesti più estremi e disperati; di quanti non hanno potuto aggrapparsi nemmeno ad un pur lieve filo di speranza sportogli non dico da sensibili o accorte autorità politiche, religiose, men che meno imprenditoriali,ma da coloro che pur avevano vicini e che non avevano potuto capire chi era in quei momenti il "prossimo" del Vangelo. Leggiamo i vangeli delle loro sofferenze e abbandono, riflettiamo e preghiamo nel nostro animo e nel nostro pensiero quelle sofferenze e abbandono, cerchiamo con tutta la forza e l'ingegno possibili di rispondere nella vita delle nostre opere e degli impegni sociali e politici a quella disperata domanda.
Franco, 31-08-2012 07:31

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