Siamo tutti/e eccellenti. Voci da una facoltà occupata

In piazza e sui tetti, per strada e nelle aule. Il movimento di protesta studentesca che negli ultimi mesi si è fatto più intenso non può essere ridotto alla formulazione del "no alla riforma", ma si gioca sulle connessioni tra sapere, lavoro e cittadinanza. Gli studenti della Facoltà di Lettere di Roma Tre ci raccontano il valore politico dell'occupazione come un momento di confronto su una crisi, quella dell'università pubblica, che riflette un più generale smembramento della società.

Siamo tutti/e eccellenti. Voci da una facoltà occupata
Probabilmente la prima questione da sollevare è il punto di vista da cui elaboriamo quest’articolo. Esso è il frutto delle riflessioni e delle pratiche che si sono svolte nell’ultima settimana all’interno della Facoltà occupata di Lettere e Filosofia di Roma Tre. Un periodo che abbiamo sentito la necessità di prendere per poterci dedicare alla riflessione, alla discussione e al confronto sulle questioni sollevate dal DDL Gelmini su università e ricerca. L’occupazione apre agli studenti e alle studentesse uno spazio e un tempo vuoti e a disposizione, che danno modo di inventare e creare nuove pratiche per informarci e prendere coscienza delle urgenze in cui l’università e la ricerca versano ormai da tempo e che coinvolgono la politica di differenti governi, con differenti orientamenti politici. Nonostante abbiamo ben presente l’importanza del sapere che ripensiamo e sperimentiamo nei termini di un bene comune da più di due anni, a partire dall’Onda, la decisione è stata quella di interrompere la didattica per una settimana per sottrarci in questo tempo e in questo luogo all’ottimo pretesto della frequenza obbligatoria delle lezioni, e alla quotidianità dei corsi, e per creare una zona temporaneamente autonoma in cui costruire un vissuto politico e una coscienza. La pratica dell’occupazione in più evidenzia una discontinuità che assume il significato simbolico di una rottura rispetto alla quotidianità e alla vita politica istituzionale italiana. Con questa intenzione l’assemblea di Lettere e Filosofia ha aperto l’università al mondo non universitario. Attraverso una pratica incentrata sull’orizzontalità, costruita attraverso relazioni di fiducia e responsabilità reciproca, e dunque politica, ci sono stati scambi di idee e si è dato vita allo spazio vuoto creato. Tra le altre cose, è stato organizzato un cineforum sulle migrazioni che ha aperto un dialogo tra studenti e migranti stessi. Incontri con i precari della conoscenza e della produzione materiale hanno messo a tema la condizione esistenziale dei lavoratori e delle lavoratrici e le invenzioni di questa nuova quotidianità. Tutto questo per sottolineare come il movimento di protesta studentesca non può essere ridotto alla formulazione del "no alla riforma", ma si gioca proprio sulla connessione tra i mondi e i temi dell’università, della produzione e della migrazione. Sarebbe a dire sapere, lavoro e cittadinanza. La riforma amministrativa e l’organizzazione dei saperi che vengono presentati agli studenti e alle studentesse di Roma Tre ricalcano, infatti, quella stessa crisi che, sia a livello burocratico che concettuale, ha investito il modello politico italiano, distruggendo la cultura, precarizzando il lavoro ed emarginando la diversità. Il progetto AsTre dell'Università Roma Tre, ad esempio, realizza concretamente le logiche neoliberiste nell'ambito del sapere. Da una parte sceglie una ristretta minoranza di studenti (40 per ogni collegio didattico) sulla base del 'merito', in realtà premiando più la capacità di stare in regola con gli esami che una media elevata. Lo stesso concetto di 'merito' è quindi da questo punto di vista una strategia retorica di naturalizzazione e legittimazione del differenziale sociale, in base al quale vengono emarginate tutte quelle soggettività studentesche che non hanno accesso a condizioni favorevoli allo studio. Allo stesso modo l'alta scuola si trova così a produrre dei super-professionisti che mettono la propria intelligenza al servizio dell'ordine costituito. Nello specifico, per quanto riguarda l’università e la ricerca, questa riforma rientra pienamente in un quadro generale di progressiva razionalizzazione e quantificazione delle istituzioni e delle realtà di vissuto ad esse collegate che sopperisce a un’esigenza di maggiore controllo fornendo l’illusione di sicurezza e stabilità. All’interno dell’università, ciò è riscontrabile nell’appiattimento dei saperi e dei percorsi di chi studia su criteri standardizzati e oggettivanti che da una parte frammentano e parcellizzano l’identità degli studenti e delle studentesse, sempre più intrappolati nella logica utilitaristica dei crediti e degli esami, mentre dall’altra garantisce, agli occhi dell’istituzione, la possibilità di controllare la vita della stessa università, ormai luogo di passaggio di utenti isolati. In questo modo si cerca di disinnescare quelle relazioni che producono scambio di sapere e un approccio critico nei confronti dell’università e del reale. Un deterrente per la politica dei movimenti. Nella retorica governativa, i tagli vengono perciò presentati come panacea per un’università malata e sprecona, mentre la riorganizzazione attraverso corsi d’eccellenza e fondazioni private viene esibita come la risposta della meritocrazia a un’università in mano ai baroni e alle loro logiche clientelari. In realtà sia i primi sia la seconda sottendono invece l’unico scopo di consegnare l’università in mano ai privati, creando un sapere d’élite, ossequiando un paradigma esclusivamente economico (è già una fortuna che sia passato alla Camera un emendamento che non permetterà il commissariamento del Ministero dell’Istruzione da parte del Ministero dell’Economia!). Quello che nello specifico stiamo vivendo, come studenti e studentesse, rientra in un quadro molto più ampio di tagli del Welfare e svuotamento dei diritti, che evidenzia la connessione tra i tre ambiti già nominati. La riorganizzazione dell’università che, da luogo privilegiato dell’educazione alla cittadinanza si vuole trasformare a fabbrica di identità per il mercato delle risorse umane, è soltanto l’ulteriore tappa del più generale smembramento della società. Dapprima i migranti, identità senza status rese visibili soltanto all’interno di politiche securitarie che le rende capri espiatori per uno Stato che, alla ricerca della propria stabilità, delinea i propri confini escludendo. Il mondo del lavoro, smantellato a colpi di precarietà, versa in una crisi che investe non soltanto i giovani ma anche le categorie tradizionali del cosiddetto lavoro fisso: assenza di tutele, nessuna garanzia per il futuro, impossibilità di relazioni durature sul luogo di lavoro sono elementi che destrutturano la figura del lavoratore, sulla quale tradizionalmente si definisce l’idea stessa di cittadinanza. Crisi del lavoro e crisi della cittadinanza si compenetrano e s’implicano a vicenda attraverso modalità che si possono già rintracciare nelle dinamiche universitarie dapprima descritte. Risulta per altro evidente come questa presa di posizione da parte degli studenti e delle studentesse non si muova soltanto contro il DDL Gelmini ponendosi come antagonista nei confronti di un intero dispositivo di sapere e di un potere in crisi. Nelle strade, nelle nostre aule e nei corridoi occupati, a rendere vivi noi studenti e studentesse non c'è solo la rabbia e la protesta. C'è un nostro modo di agire, di pensare, che si compenetra attivamente con il nostro rifiuto del modo esistente di intendere la cultura e di gestire la realtà dell'università. Attraverso pratiche di riflessione, momenti di scambio, di messa in relazione, in queste aule elaboriamo un sistema altro di produzione di sapere, basato su dinamiche calate direttamente nelle nostre esistenze. Ad una cultura fatta di crediti, competenze, pacchetti informativi che rendono la carriera universitaria una corsa individuale al raggiungimento dello status di 'laureato full optional', appetibile per un mondo del lavoro che non ha bisogno di lui, noi opponiamo un sapere che è relazione, scambio fuori dalle gerarchie, nato da individualità incarnate e diffuso senza perdere il contatto col reale. Ad un sapere fatto di nozioni, preferiamo un sapere fatto di vita, dove anche il concetto più astratto e il calcolo più complicato sappiano mantenersi in relazione con la soggettività di chi apprende e di chi pone il suo sapere in circolo. All'utilitarismo cui conduce il sistema dei crediti e del 3+2, preferiamo la responsabilità educativa. In questo senso guardiamo all'università, alle sue stesse strutture, non come a luoghi di passaggio verso il mercato. Piuttosto, questi muri, queste aule acquistano ai nostri occhi il valore di uno spazio di vita. Attraverso l'occupazione ci riappropriamo simbolicamente del valore e del senso di quei momenti di vissuto che le politiche governative tentano di soffocare, rendendo la facoltà, di nuovo, lo spazio per la creazione di legami. Studenti e studentesse di Lettere occupata

Commenti

Leggendo l'articolo ho l'impressione che questi studenti vivano su un altro pianeta. Sono completamente staccati dai reali problemi che affliggono la nostra società. Intravedo solo utopia nei loro pensare. Ho seri dubbi che il loro comportamento possa essere utile a creare figure umane e professionali valide a cambiare in modo "serio" e "concreto" il nostro futuro. Mi sento di suggerire, a loro, di dedicare un intero anno al mondo del lavoro (ovviamente manuale)e poi vedrebbero le cose sotto la luce di una esperienza ed una meturità diversa. Angelo
angelo, 18-12-2010 09:18
Cara Roberta, io non ho mai detto che tu sbagli, come hai fatto tu nei miei confronti, ho detto che, pur condividendo certe posizioni, di fatto, le ritengo non percorribili. Ho l'impressione ovviamente da quel poco, ma indubbiamente interessante, che ho avuto modo di leggere, che tu consideri la tua verità come la verità. Chi ti parla è un cinquantenne, che si fa le sue 12 ore di lavoro al giorno e che non crede in questo lineare modello di sviluppo, ma crede si debba virare verso uno sostenibile;crede che per risolvere la fame del mondo non si debba produrre di più, ma meglio; crede che enrgie rinnovabili non sia un businnes, ma una sacrosanta necessità; crede che l'ambiente sia un reale bene primario e comune e non un posatoio per imbecilli;e qui potrei continuare. Ma credo anche che il diritto allo studio debba essere reale solo se accompagnato dal dovere di assecondarlo; credo che quello che ho visto a Roma la settimana scorsa sia stato uno spettacolo per una sparuta assemblea di benpensanti di sinistra che, a proposito di verità, condannano ufficialmente ma approvano di fatto in quanto vi ritengono un ottimo alleato utile a supportare la loro fallimentare, vuota e inutile politica.Ritorno a dirti che sono convinto del confronto reale di esperienze tra persone che credono possibile un modello alternativo, partendo da quel che di buono c'è e che i tuoi colleghi ricercatori, quelli che ancora si fanno il mazzo, ci mettono periodicamente a disposizione. In piazza andiamoci a fare dell'altro e lasciamo stare i beni altrui, privati o pubblici che siano. E' sempre un piacere sentirti.
angelo, 22-12-2010 08:22
direi che una riflessione interna all'università è quanto meno necessaria in questi periodo, e non di meno è necessario che studenti e studentesse in prima persona si prendano in carico questo obiettivo, per non dare più adito alla delega ad altri riguardo la loro formazione, la loro criticità e, non meno importante, il loro futuro. quel che diciamo è in seria contrapposizione con lo stato delle cose, che sia esso visto "da destra" o "da sinistra": non ci convince la politica tutta e quel che facciamo è riflettere in base alle nostre esigenze e i conflitti che viviamo tutti i giorni nello spazio che abitiamo. è davvero utopico partire dalle proprie esperienze e i propri desideri per pensare (e modificare) lo spazio che si abita? è davvero utopico pensare che il sapere non sia sganciato dalla propria esistenza individuale e collettiva, che sia principio di riflessione per una presa di posizione politica matura? è davvero utopico pensare che il sapere si debba creare in una relazione che arricchisce tutte e tutti che la partecipano, lontano dalle logiche imposte da altri? no, dato che persone sperimentano queste pratiche ogni giorno, ne hanno fatto una scelta e un reale guadagno di vita. in breve, preferiamo critiche costruttive.
Valeria, 21-12-2010 10:21
il problema, Valeria, è che tutto quello che tu ritieni "non utopico", di fatto, lo sviluppi all'interno di un ambiente "asettico" e completamente avulso dal resto che ti circonda. La società da voi aspetta delle concrete risposte per gestire il futuro nei migliore dei modi. Sono anch'io d'accordo che l'attuale sistema fa acqua da tutte le parti, ma credo anche che le proposte di sistemi migliori in grado di gestire questo benedetto mondo in modo "veramente diverso", possano maturare solo da concreta preparazione e continuo confronto. Abbandoniamo la piazza e passiamo qualche ora in più a confrontarci e riempiamo l'ufficio del presidente del consiglio di proposte le quali devono sempre iniziare con : "Gentile sig. Presidente dopo aver affrontato l'ultimo esame con successo le inviamo questa nostra proposta per................". Proposte, magari anche in odore di utopia, ma credibili e percorribili. Credimi comprendo il tuo disagio, ma ti ripeto che fuori c'è una società che su di voi ha investito e che da voi aspetta delle risposte concrete in grado di gestire nel migliore dei modi il futuro ...e questo non ammette nessuna forma di improvvisazione.
angelo, 22-12-2010 07:22
caro angelo, se credi che il partire dalla propria condizione sia una risposta poco concreta ti sbagli. E se credi che le riflessioni e le azioni che compiamo non siano frutto di duro lavoro sui testi, per esami, ma anche e soprattutto per uno studio che va al di là e che è un di più del 30 da portare a casa con l'esame, è evidente che non hai ben compreso quel che significa il tenere conto della propria posizione di partenza. Trovo che il tuo liquidare così rapidamente questa pratica sia un passo su cui tu debba riflettere un po' più a lungo, come alternativa alla tua posizione che vuole trovare delle soluzione attraverso un mero copincolla di testi d'esame. Quello che richiede il partire dalla propria situazione, invece, significa avere coscienza delle riflessioni presenti e passate (dei testi in poche parole) e avere la capacità di trovarne pregi e difetti nella vita quotidiana, un sapere incarnato in altre parole, che non si costituisca solo di codici e parole, ma di vite. Questo tipo di pratica secondo me e secondo noi, è in grado di far crollare le lettere di licenziamento preventivo per maternità, le prestazioni lavorative camuffate da stage non retribuiti, gli 8 milioni di euro spostati sul progetto del ponte sullo stretto (ponte che non si farà mai, ma per cui la mafia deve campare) e tolti alla scuola, o l'acquisto di nuovi cacciabombardieri per una spesa equivalente ai tagli dell'uni e della ricerca. Credo che in questo ci sia molta concretezza. Ancora proposte? magari economiche? Magari a partire da testi? Forse saprai che l'ultima vincitrice del premio nobel per l'economia è stata per la prima volta una donna, Elinor Ostrom, che ha parlato di beni comuni, quelle risorse che sono fondamentali alla vita di ciascuno di noi, e di cui il mondo ne elargisce non in abbondanza ma ancora in modo sufficiente al fabbisogno degli esseri umani, come l'acqua, il mare, le foreste...la cultura diciamo noi, e che una volta recintate, privatizzate, diventano un bene scarso per la maggior parte di noi, e un business per pochi! Tra le righe dell'articolo stesso potrai leggere un accenno al fatto che queste mura che tu definisci asettiche, si sono aperte ai racconti degli operai fiat di pomigliano, ai lavoratori e alle lavoratrici precarie di Eutelia, o altre aziende, ai migranti di Rosarno, e gli studenti e le studentesse sono uscite a loro volta fuori, nel territorio. Si sono scritti quindi fiumi di proposte, e il fatto che il sapere e questo partire da sè sia uscito dall'uni, o abbia fatto entrare il mondo (per ora un piccolo ma importantissimo mondo) nell'uni, scusa la presunzione, ma è un passo che abbiamo fatto noi, sgretolando la roccaforte del sapere incasellato e precostituito in cui l'accademia dei baroni ha fondato il suo potere, ormai giunto alla fine. Quel sapere lo conosciamo bene, lo abbiamo studiato bene, ci è stato di base, e ci è di supporto tutt'ora, ma proprio perchè come i beni comuni è stato recintato, è diventato scarso, insufficiente alle urgenze di questo e di altri paesi: scarsità che siamo riusciti a superare proprio grazie alle narrazioni del quotidiano, e al prendere sul serio ogni particolarità che vive questo mondo, in una rete che si fa ogni giorno più fitta e popolata. Questo per rispondere alla tua retorica, peraltro piuttosto scontata, del fatto che gli studenti che scendono in piazza sono i nullafacenti! Ma non hai capito che questa è la triste arma del governo per screditare un movimento che proprio nelle sue proposte lo sta mettendo in crisi? Per questo ti invito se ne hai voglia e modo a venire a Lettere e Filosofia a Roma Tre, per vedere davvero quel che si costruisce insieme.
roberta, 22-12-2010 12:22
Un buon articolo che riesce ad far trasparire il valore politico aggiuntivo di una pratica generalizzata dei movimenti studenteschi: quello dell'occupazione. Delizioso il riferimento alle Zone Temporaneamente Autonome! non capisco le critiche di Angelo. 1) questo non è il luogo per un lancio di proposte concrete da rivolgere alla politica mainstreaming (fatto e rifatto ma sempre inascoltate, ricordo l'autoriforma dell'Onda), ma invece voleva essere, da quello che si evince dal titolo e dal corpo del testo, un'analisi critica delle forme e delle pratiche del movimento. 2) il confronto che Angelo auspicava nel suo secondo commento è proprio il "succo" dell'articolo. quindi non ho capito la sua critica. io sono uno studente che in vita, per sostenersi gli studi, ha fatto diversi lavori: 1)militare; 2)carrozziere; 3)barista; 4)cameriere; 5)staccabiglietti in discoteca. E nonostante ciò non credo che questi studenti e studentesse siano così distanti dalle mie esigenze, dai miei desideri, dal mio orizzonte culturale. sono un operaio, e sfido chiunque a dire il contrario, e cerco di essere anche un lavoratore della conoscenza. e credo che le due lotte vanno riconnesse. tra parentesi ricordo che l'operaismo anni '70 sperimentava forme di trasmissione del sapere e delle conoscenze come descritte da quest* ragazz*. insomma ho sempre lavorato, incessantemente, tutte le settimane da 7 anni. finalmente, tra poco, mi laureo alla magistrale. ma capite il disagio. proprio qui sta la leva della rivendicazione posta in essere dal concetto di bene comune. da un ideale, che si fa valore e che immediatamente genera delle pratiche concrete. ragionare su queste cose non è idealista...bensì più concreto di quanto credi, petrchè ti da la misura della realtà! di molto si è già parlato. quello che serve, ancora, è una coscienza politica diffusa, un senso della partecipazione politica, che molti della nostra generazione hanno voluto abbandonare per rifugiarsi in un acritico (o iper-critico decostruttivo) qualunquismo politico, intellettuale, culturale...e tra poco anche sociale. rilanciamo la partecipazione politica, troviamo anche forme nuove, ed impariamo ad ascoltare.
Davide, 22-12-2010 03:22

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