Colloqui di Dobbiaco: etica e bene comune per il futuro dell'imprenditoria

Intraprendere la Grande Trasformazione. Questo il tema centrale dell'edizione 2013 dei Colloqui di Dobbiaco, ideati e organizzati da Hans Glauber al fine di proporre soluzioni concrete alle principali questioni ambientali. Da Paolo Cignini, un resoconto della sua partecipazione ai Colloqui, dove si è discusso in particolare del rapporto tra imprenditoria e bene comune.

Colloqui di Dobbiaco: etica e bene comune per il futuro dell'imprenditoria
Come sarà la società del futuro? Ci sarà sicuramente una società post-fossile, post-crescita, basata su una riscoperta del locale e sulla riduzione dei consumi: ma che caratteristiche avrà? E in questo nuovo contesto, che ruolo avranno gli imprenditori cosiddetti "virtuosi"? Con questi interrogativi, illustrati in apertura dall'ideatore e moderatore Karl-Ludwig Schibel, si è aperta l'edizione 2013 dei Colloqui di Dobbiaco, una serie di convegni e relazioni che cercano di proporre delle soluzioni concrete alle tematiche ambientali di maggior rilievo. Quest'anno il tema dei Colloqui, ideati da Hans Glauber nel 1985, sono stati incentrati sul tema "Intraprendere la grande trasformazione"; le discussioni tra i vari relatori e il pubblico, spesso discordanti e ricche di contenuti, hanno ruotato intorno a come continuare a produrre in maniera ecologicamente e socialmente sostenibile, senza per questo rinunciare ad un giusto profitto dalla propria attività imprenditoriale. Come ricordato dallo stesso Schibel all'apertura dei lavori, la società dei consumi nata alla fine del diciannovesimo secolo avrà una fine ma non è ancora chiaro da quale tipo di nuova civiltà sarà sostituita e quali saranno le nuove linee guida che la caratterizzeranno. Wolfgang Sachs, anche lui tra i curatori della rassegna, è dello stesso avviso. L'aspetto maggiormente interessante dell'edizione 2013 dei Colloqui, per chi come noi ha partecipato per la prima volta, è stata la forte presenza imprenditoriale tra il pubblico partecipante. Alcuni tra i più interessati di questi imprenditori erano di origine brianzola, e come sappiamo nella tabella dei luoghi comuni italiani, la figura dell'imprenditore brianzolo non ha un’ottima fama: testimonianza che la realtà è molto più complessa delle semplificazioni. Diverse sono state le analisi e le soluzioni proposte, con un punto in comune: per i cambiamenti in corso e a venire servirà la collaborazione di tutti e non una dipendenza totale dai governi e dai poteri alti. In questo contesto, il ruolo degli imprenditori che mettono la sostenibilità ambientale e sociale al centro della loro attività diventa fondamentale per trovare delle soluzioni alle prossime sfide ambientali. Dopo questo principio di base, le questioni intorno alle quali si sono incentrate le maggiori discussioni sono state: come far conciliare le pratiche virtuose imprenditoriali con la sostenibilità economica? E soprattutto, come spingere i prodotti delle imprese "non sostenibili" fuori dal mercato? In questo, il geografo e scienziato della sostenibilità Daniel Dahm è sembrato il più critico: partendo dal fatto che dagli anni Settanta l'overshoot mondiale è stato superato sempre più presto, Dahm ha sostenuto che il drastico calo della produttività biologica del pianeta Terra dipende soprattutto da alcune attività imprenditoriali e da logiche legate al profitto ad ogni costo. Tutto questo si trasforma in un deficit enorme di beni collettivi a disposizione dell'umanità, che però allo stesso tempo si trasforma in un utile sempre più grande per l'impresa sfruttatrice. Dunque le imprese "esternalizzano", scaricandoli all'esterno, i costi delle loro attività, privandoci di un futuro sereno; ma è proprio esternalizzando che, secondo Dahm, le imprese possono produrre una gran quantità di merci a prezzi più bassi, perché non esiste nessun sistema giuridico o legislativo in grado di far pagare a queste imprese il prezzo delle loro azioni, che paradossalmente diventano le uniche ad essere economicamente convenienti. C'è dunque un forte contrasto alla base tra il capitalismo odierno e il futuro della nostra umanità, che bisogna risolvere cambiando le leggi e le regole che disciplinano le attività imprenditoriali. La relazione di Christian Felber, autore e fondatore del ramo austriaco di ATTAC, è sembrata il naturale proseguimento di quanto detto da Dahm. Felber ha illustrato la sua soluzione ai problemi spiegati da Dahm, che si chiama "economia del bene comune", un vero e proprio modello di economia alternativo all'economia di mercato capitalista e all'economia pianificata. In questo modello il bene comune non è qualcosa da esternalizzare come scarto indesiderato di un’attività volta solo al profitto economico, ma diventa lo scopo fondamentale di ogni iniziativa imprenditoriale. Cinque valori di riferimento (dignità umana, solidarietà, equità, sostenibilità e democrazia) diventano le fondamenta del "bilancio del bene comune", in base al quale ogni azienda può ottenere un punteggio fino a mille: quanto migliore è il suo bilancio del bene comune, tanti maggiori vantaggi potrà avere questa azienda virtuosa in termini di tasse più basse, crediti più agevolati e precedenza negli appalti pubblici. Così, anche da un punto di vista economico, i prodotti etici diventano più convenienti di quelli non etici, la crescita a tutti i costi non sarebbe la strategia principale di un’impresa così come sarebbe la collaborazione, e non la competizione a tutti i costi, a poter migliorare il bilancio comune di ognuna delle aziende. Una favola? Non proprio, dato che dal 2009 a oggi questo modello è sostenuto da più di seicento imprese in quindici paesi diversi e nel 2011 sessanta di queste hanno compilato il bilancio del bene comune. Il problema? Lasciare il contesto così com'è oggi, con leggi e costituzioni non applicate, non servirebbe a nulla: secondo Felber alcune Costituzioni degli Stati europei hanno già al proprio interno l'assunto fondamentale, cioè che l'economia dovrebbe avere come obiettivo il bene comune. La stessa Costituzione Italiana citata da Felber recita all'articolo 41 che l'iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale. Basterebbe dunque far applicare realmente i dettami costituzionali e non permettere invece l'incostituzionalità del profitto di pochi che danneggia l'utilità sociale. Ma una grande assente è sicuramente la politica, soprattutto quella dei governi: la sensazione dell'inazione legislativa rispetto a queste problemi ha messo tutti d'accordo i partecipanti. Nella brillante e amaramente ironica presentazione dell’imprenditore Gabriele Centazzo, presidente della Valcucine e autore del manifesto "Per un nuovo Rinascimento italiano":, alcune slide realizzate molti anni fa mostravano caricature dei politici più conosciuti a livello nazionale: gli stessi di oggi, un simbolo di un rinnovamento finora in larga parte mancato. Centazzo ha illustrato la sua ricetta per cercare di dare una rotta a quella che lui ha chiamato "Nave Italia", che si deve basare sulle due colonne della bellezza e della creatività, delle quali le Piccole e Medie imprese italiane possono farsi costruttrici e motori fondanti. Le due colonne però non potranno mai tenersi in piedi se alla base non esiste l'etica, spesso grande assente di questi anni nella politica, ma soprattutto nell’odierna finanza, che secondo Centazzo è una delle maggiori responsabili del caos odierno avendo perso completamente qualsiasi collegamento con l'industria reale, l'economia, il lavoro. Molto interessanti sono stati anche i continui rimandi di Centazzo alla Decrescita, considerata come una filosofia positiva da prendere comunque in considerazione come reazione forte al modello distruttivo dell'attuale società; una presa di posizione da parte di una figura imprenditoriale non è sempre così scontata. Stefan Schaltegger ha invece approfondito i concetti di sostenibilità ecologica e sociale come parte integrante degli obiettivi d'impresa. Secondo Schaltegger non esiste la sostenibilità totale: qualsiasi azione umana ha delle conseguenze ecologiche negative. Obiettivo futuro dell’imprenditoria e in generale dell'essere umano è cercare, a piccoli passi, di trasformare in meglio la nostra società verso un maggior rispetto dell'ambiente. Schaltegger è convinto però, al contrario di Centazzo, che siano i grandi a dover diventare i motori del nuovo cambiamento: se una grande impresa diventa più sostenibile, avrebbe una maggiore possibilità di incidere e cambiare le sorti del mercato rispetto all'azione del piccolo. Reinhard Pfriem, dopo aver ricordato che gran parte dei processi strutturali e culturali legati al capitalismo (si pensi ad esempio all'individualizzazione o alla commercializzazione) sono stati ai tempi sinonimo di emancipazione dall'oppressione e dallo sfruttamento, ha citato Henry Ford come chiave di questo paradigma. Ford è oggi ricordato come l'ideatore di una svolta anti-ecologica della mobilità collettiva, ma ai suoi tempi fu visto come un innovatore per aver permesso alle masse di poter acquistare un'automobile a prezzo contenuto. Secondo Pfriem oggi è dunque necessario cambiare dall'interno il sistema di valori delle aziende, anche qui insistendo su modelli più sostenibili che possano farle cambiare in modo radicale ma senza alienarsi dal Mercato. A tal punto, molto interessanti anche i "Fish Bowl" mediati da Eva Lotz: tutto il pubblico partecipante ha potuto interagire e partecipare attivamente a un dibattito con alcuni imprenditrici e imprenditori portati come esempio di equilibrio di successo tra mercato e responsabilità, che hanno potuto illustrare i casi delle loro aziende storiche che operano nel locale (Lukas Meindl dell'omonima azienda calzaturiera di secolare tradizione, o Ander Schanck della catena di negozi biologici lussemburghese NATURATA), nel settore delle energie alternative (Federica Angelantoni di Archimede Solar Energy) o nel biologico (Valentino Mercati di Aboca Spa, leader nel settore agro-farmaceutico, e Alois Lageder responsabile dell'omonima azienda vitivinicola a vocazione biologico-dinamica). In sintesi, non sono emerse soluzioni concrete e valide per tutti dai tre giorni di dibattito: come detto in apertura, nessuno ha in mano soluzioni o ricette precostituite. Ma il beneficio del dubbio ha sicuramente favorito un aperto confronto tra tutti i partecipanti, una maggiore ricchezza d’informazioni alla fine dei lavori e una notizia importante e forse indiscutibile: esistono imprenditori consci del loro impatto e del loro ruolo sulle vite di tutti, che stanno cercando di mettersi in discussione per trovare una soluzione diversa rispetto a un mercato solo orientato al profitto. Ci è sembrata un'ottima notizia.

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