Il movimento degli Indignados e la crisi finanziaria

La crisi ha rivelato il grado in cui le società occidentali hanno dogmaticamente affidato il loro rapporto con il futuro ai mercati finanziari, partendo dalla volontà di non perdere né rischiare mai. Eppure non è questo il solo modo in cui le società hanno organizzato e concettualizzato il loro rapporto con il lungo periodo. Lo dimostra il modo in cui avvengono gli scambi economici in Imerina, nel Nord del Madagascar.

Il movimento degli Indignados e la crisi finanziaria
La crisi finanziaria, che ha colpito le economie mondiali nel 2007 e le cui conseguenze continuano a farsi sentire, sta dando luogo al movimento degli Indignados che a partire dalla Spagna ha attraversato l’oceano per arrivare negli Stati Uniti e poi tornare in Italia, mostrando così sempre più profondamente di essere 'la crisi' del rapporto delle società occidentali con il loro futuro, ovvero una crisi del lungo periodo. Senza dubbio la crisi ha portato con sé un sentimento di incertezza generalizzato. E tuttavia, fino a quando i mercati finanziari funzionavano sembrava (ufficialmente) che non ci fossero dubbi circa il futuro di crescita e di abbondanza che il modello di sviluppo occidentale avrebbe garantito e stava difatti creando. Quando i mercati finanziari 'funzionavano' il futuro sembrava avere un futuro. E tuttavia, non appena i mercati hanno smesso di funzionare è sorta l’angoscia data dall’impressione che proprio il futuro stesse chiudendo le sue porte dorate all’Occidente. La crisi sta così rivelando il grado in cui le società occidentali hanno dogmaticamente affidato il loro rapporto con il futuro, e la fiducia che in esso si ripone, ai mercati finanziari. Non è un caso se le misure volte ad affrontare la crisi sono state guidate dall’imperativo di ridare liquidità ai mercati: sino a quando i mercati non mostrano segnali di ripresa la fiducia nelle possibilità future sembra fuggire sempre più lontano. E tuttavia, se i mercati finanziari sono il luogo a cui l’Occidente ha affidato il suo rapporto con il lungo periodo, viene da chiedersi quale sia il principio che ne regge il funzionamento. Seguendo un economista che viene quanto mai nominato in tempi di crisi- Jhon Maynard Keynes- i mercati sono radicati nel principio della liquidità. Per liquidità si intende il principio grazie al quale i titoli rappresentanti gli investimenti possono essere scambiati tra di loro senza limiti di tempo o di spazio (per questo la moneta è considerata il titolo liquido per eccellenza). Quando la liquidità sfugge dai mercati le crisi arrivano, e gli investimenti, come qualsiasi attività reale, che prima venivano indiscriminatamente finanziati, non possono più esserlo. Invero, ciò che la liquidità rende possibile è investire avendo l’impressione di poter sfuggire il rischio inerente l’investimento stesso, rifiutando in principio la possibilità di perdere, senza che sia quindi necessario interessarsi all’andamento reale degli investimenti. Le società occidentali avendo affidato il rapporto con il lungo periodo ai mercati finanziari, l’hanno invero costituito sulla volontà individuale di trattenere per sempre e ovunque ciò che si ha in forma di moneta, ovvero sulla volontà di non perdere né rischiare mai, quando perdere e rischiare sono due condizioni senza cui ciò che non si conosce, ovvero il futuro, non può invece propriamente mai arrivare. E tuttavia, questo non è il solo modo in cui diverse società hanno organizzato e concettualizzato il loro rapporto con il lungo periodo. Lo scambio in Imerina Le ricerche antropologiche di Maurice Bloch [1] (London School of Economics) circa il modo in cui si svolgono gli scambi economici in Imerina - Nord Madagascar - rivelano un differente modo di relazionarsi con il lungo periodo. In Imerina gli scambi economici non sono sottoposti a nessuna valutazione morale, e tuttavia la compravendita dei terreno è proibita. Tale divieto dipende dall’energia degli antenati, la quale è contenuta e circola nelle profondità della terra Malgasciana e la cui integrità dev’essere mantenuta, poiché da questa dipende il benessere nel lungo periodo. La terra Ancestrale può passare di mano in mano, ma non può mai essere posseduta. Tutti i restanti beni economici possono invece essere posseduti e tuttavia, devono anche essere lasciati andare gradualmente nel corso della vita e definitamente alla morte dell’individuo che li possiede, al fine di vivificare l’energia ancestrale. I Merina reputano altamente rischiosa la volontà individuale di competere con l’energia Ancestrale, poiché quest’ultima quando individualmente trattenuta non circolerebbe più mettendo a rischio il benessere futuro. Per i Merina la limitata vita individuale non deve invero competere con ciò che non può mai essere posseduto: l’esistenza di lungo periodo di tutti gli uomini. L’energia ancestrale che scorre nelle profondità della terra è simbolo del lungo periodo inteso come quella dimensione che unisce gli individui nello spazio e attraverso i tempi, la quale è già da prima della nascita e dopo la morte del singolo. Il singolo individuo per accedere a questo spazio condiviso deve accettare la dimensione della perdita durante la vita. Se in Imerina il rapporto con il lungo periodo è governato da un principio di perdita è perché l’attività economica deve conoscere un limite, che invero consiste nella riproduzione degli individui nel tempo e delle uguali possibilità a loro aperte già da ora. Il lungo periodo: dopo o è già qui? Il lungo periodo, cosi come lo intendiamo noi, è un particolare tempo che verrà – 'dopo' - e 'la crisi' ha mostrato come il suo stesso arrivare è visto dipendere dal funzionamento dei mercati finanziari, ovvero è costruito sulla volontà individuale di trattenere e mai di perdere. E tuttavia, in Imerina, il lungo periodo non è un tempo che arriverà poi ma, è quella dimensione che già da sempre sostiene l’umanità e della cui attività umana non può fare a meno. La dimensione del lungo periodo è per i Merina già qui da sempre, simboleggiata dall’energia ancestrale che vivifica la terra, per unire uomini nel tempo e nello spazio che gli accedono perdendo ciò che già hanno per consentire alla creatività di dare i suoi frutti e così alla ricchezza di arrivare. Il futuro è la dimensione che unisce diversi individui, distanti culture, e le generazioni attraverso il tempo. La volontà individuale di trattenere corrisponde alla volontà di porsi al di sopra del tempo e dell’esistenza di tutti gli uomini, e invero corrisponde ad una mancanza di fiducia nel futuro e nelle possibilità creative umane. E tuttavia, l’esperienza culturale dei Merina mostra come come l’accesso a tale dimensione, condivisa da tutti gli uomini, richieda il previo contatto individuale con la dimensione della perdita, che invero - come sostenuto da Massimo Amato (Università Bocconi) - ad oggi è e continua ad essere rifiutata, facendola così accadere per tutti, inaspettatamente e indifferenziatamente in tempi di crisi. Ma allora, si potrebbe affermare, ciò che l’attuale crisi finanziaria globale sta rivelando è il lungo periodo - il futuro - nella sua propria abissalità che sfugge ad ogni controllo individuale. 1. Parry, J., Bloch, M., (1989): “Money and morality of exchange” Cambridge University Press, Cambridge

Commenti

Molto, molto interessante questo articolo sulle ricerche antropologiche di Maurice Bloch e particolarmente illuminanti le spiegazioni sul concetto di energia ancestrale collegata indissolubilmente alla vita finita dell'individuo nell'accettazione culturale della perdita in contrapposto al possesso e all'accumulo proprietario che invece domina e guida la mentalità e l'azione capitalista in particolare dell'occidente industrializzato. Mi va il pensiero sull'assurda -teologicamente e anche razionalmente-trasposizione ufficiale e canonica del Genesi, e da questo in altri testi biblici, dei termini primigenii "custodire" e "educare" in "dominare" e "assoggettare". Quanto male ( discriminazioni, guerre, razzismo,distruzioni, desertificazioni, genocidi) continuano a fare queste interpretazioni, quanto disdoro, scandalo e avversione portano alle stesse religioni da parte degli oppressi da quel modo di tradurre e concepire un dovere di riconoscenza ancestrale dell'uomo e di tramutarlo invece in un potere di approfittamento e sorpuso! Mi auguro che questa rivolta giovanile non si fermi alla superficie -coriaceamente e pervicacemente costruita da disumani interpretatori e predicatori- e sappia giungere, con il pensiero e la determinazione nella ricerca della verità, alle vere radici della convivenza umana. Utopia? No! E' verità e giustizia, che possono finalmente diventare modo di vivere e di far vivere, presente, che vive per il futuro e con il futuro.
Franco, 14-10-2011 06:14

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