Pensare come le montagne: ne discutiamo ancora con l'autore Paolo Ermani

La salute e la vita, la comunità e il cambiamento, la natura e la città. Queste alcune delle tematiche che Daniel Tarozzi ha approfondito con Paolo Ermani, presidente dell'associazione PAEA e autore, insieme a Valerio Pignatta, del libro Pensare come le montagne.

Pensare come le montagne: ne discutiamo ancora con l'autore Paolo Ermani
Qualche mese fa, avevamo già pubblicato una intervista introduttiva dedicata al libro Pensare come le montagne, e realizzata con Paolo Ermani (che ne è autore insieme a Valerio Pignatta). A distanza di tempo, ho riletto il suo libro e ho deciso di confrontarmi con lui su molti dei temi trattati. Vi proponiamo oggi la seconda parte di questa intervista. La varietà di argomenti ha comportato, inevitabilmente, risposte brevi. Ma ognuno dei temi trattati potrebbe essere sviscerato in uno o più articoli (e in alcuni casi, in effetti, così è stato). Se dovessi scegliere un'esperienza tra tutte quelle citate nel libro, quale sceglieresti? Il Barefoot college, perché l'umanità e l'umiltà sono gli aspetti preponderanti e l'umanità e l'umiltà ci salveranno, non le tecnologie o i governi. Ad un certo punto del libro sottolineate l'importanza di lavorare a favore e non contro, uscendo dalla dicotomia (dentro o contro il sistema). Qual è la terza via a cui fate riferimento? La logica del 'contro' troppo spesso è lontana dalla costruzione. Si può essere contro ma devi anche costruire qualcosa, devi costruire la tua visione di società non puoi sempre lamentarti con il cattivo di turno, altrimenti può succedere di passare la vita a lamentarti aspettando che qualcuno cambi la situazione per te, cosa che non avverrà ovviamente mai. Da dentro il sistema ormai è chiaro che non si riescono a cambiare che cose impercettibili a fronte di sforzi enormi. Questo sistema è marcio dalle fondamenta, meglio costruirne un altro con presupposti completamente diversi da quelli per i quali l'unico dio assoluto è il denaro. La salute e l'alimentazione sono due temi fondamentali tra quelli da voi affrontati. Mi ha molto colpito la parte sulle cooperative autogestite della salute. Tu sei favorevole all'eutanasia? Io sono favorevole alla scelta autonoma delle persone sulla propria vita e sulla propria morte. Nessuno può e deve intromettersi in aspetti tanto delicati e personali, che sia la Chiesa o lo Stato. Le persone si devono aiutare, supportare nelle decisioni importanti della vita ma poi l'ultima parola sta ad ognuno di noi. Venendo ai trasporti, anche qui c'è un forte richiamo alla 'comunità'. Proponete di ridurre il numero di auto per persona, immaginando una società 'ricca' di eco-vicinati, cohousing, car-sharing ecc. (oltre all'auto, proponete infatti anche la condivisione di elettrodomestici e altre risorse sia 'fisiche' che 'umane'). Secondo te gli italiani sono culturalmente pronti per un simile 'assetto'? Non credo si tratti di essere pronti, bensì di farlo e basta. Nessuno è mai veramente pronto al cento per cento per i cambiamenti che si fanno per esigenze interiori o per condizioni esteriori, entrambi questi aspetti si stanno affermando sempre di più, quindi il cambiamento avverrà, anche per gli italiani che sono uno dei popoli più 'autodipendenti' al mondo. Addirittura, secondo voi, la rinascita della comunità (una comunità che prenda il meglio dal passato e dal presente) sarebbe la risposta a quello che voi chiamate molto efficacemente “deserto relazionale” e comporterebbe una diminuzione nell'uso di droghe, alcool e 'affini'. In che modo? Ci si rivolge a questi espedienti per disperazione, per solitudine, per mancanza di ruolo, tutti aspetti che hanno molto a che vedere con la totale disgregazione della comunità. Se si recuperasse questo aspetto forte che ha la comunità, questi problemi potrebbero avere maggiore supporto e soluzione, perché le persone non sarebbero lasciate a se stesse. Non pensi che dopo un po' in ogni comunità possano emergere dinamiche dispersive, divisioni, litigi? Certo, è umano e normalissimo. Ma ogni difficoltà può essere affrontata e superata se lo si vuole. Preferisco affrontare difficoltà di questo tipo che farmi le scarpe tutti i giorni con i miei colleghi o litigare per anni con il capoufficio per ottenere una promozione. Non bisogna fare l'errore di pensare che se si fanno scelte di cambiamento, tutti i problemi spariscano e si viva in un idillio senza fine. I problemi ci saranno sempre ma saranno probabilmente minori e affrontabili non in un contesto di individui soli contro tutti - come avviene nella maggior parte dei casi attualmente - ma in un contesto di condivisione e supporto reciproco. Per il resto, il tipo di riavvicinamento alla comunità che esponiamo nel libro non è certo quello di vivere tutti assieme aderendo al modello della comune hippy sessantottina. Il modello è piuttosto quello dell'ecovicinato dove comunque la privacy e l'autonomia di ognuno è sacrosanta e rispettata. Cosa ti ha colpito dell'esperienza di Tilonia del Barefoot college? La profonda umanità e fiducia nelle persone e poi l'umiltà che nella nostra società fatta di arroganti, leader, falsi profeti e 'unti bisunti' del Signore, è la vera preziosa dote da riscoprire. Non avete paura che chi legge il vostro libro possa accusarvi di essere 'saccenti' e di non avere i titoli per insegnare a vivere alle persone? Voi affrontate tantissimi temi diversi. Vi sentite in grado di padroneggiarli tutti? Noi non vogliamo insegnare a vivere a nessuno e ritengo che nessuno abbia i titoli per insegnare a vivere a chiunque sia. Noi proponiamo riflessioni, testimonianze, spunti che possono essere utili, poi ognuno ci fa quello che vuole. Non formeremo partiti e non ci metteremo a capo di niente e di nessuno, è il metodo migliore per fare fallire qualsiasi buona iniziativa e intenzione. Lo specialismo per il quale o sei un professionista oppure non puoi aprire bocca è uno dei tanti mali della nostra epoca. Noi per molti anni abbiamo studiato, letto, approfondito, sperimentato, vissuto ed elaborato i temi di cui parliamo e ne parliamo con cognizione di causa con la nostra esperienza diretta e con le nostre idee. Se poi mi chiedi qualcosa sull'archeologia per esempio, non ti so dire molto e difatti non è un argomento che affrontiamo. Nel libro fai più volte riferimento alla spiritualità. Una spiritualità laica, lontana mille miglia da ogni religione e intrinsecamente legata al contatto con la Natura. Non hai paura di aver idealizzato la Natura (che provoca anche terremoti, carestie, uragani)? È meglio rischiare di idealizzarla o distruggerla? E con lei distruggere noi stessi? Nei tre casi che hai detto c'è molto l'uomo dietro ad eventuali danni. Se invece di spendere soldi in armamenti e simili si usassero per costruire case che non ci crollano in testa in caso di terremoto sarebbe molto meglio. Stessa cosa per le carestie che potrebbero essere debellate da interventi agricoli puntuali e mirati. A me preoccupa molto più sapere che gli arsenali nucleari sono ancora pieni o che ci sono oltre 400 centrali nucleari al mondo piuttosto che qualsiasi terremoto o uragano del caso. Mi ha molto colpito il pezzo di Krishnamurti in cui emerge come 'le crisi esistenziali' siano legate al vivere in città (p. 180). Per te è così? Vivendo a contatto con la Natura, sei 'sereno'? O i dubbi e le paure ti hanno raggiunto anche lì? Ogni volta che mi capita di andare in una città medio/grande mi chiedo come sia possibile viverci: caos, rumore, sporcizia, macchine che ti investono e da cui ti devi difendere continuamente, traffico impazzito, inquinamento alle stelle, violenza, stress, cemento, verde inesistente, gente tesa e tutto questo in costante aumento. E come se ciò non bastasse, al primo sciopero dei Tir la città è in ginocchio per l'approvvigionamento di qualsiasi genere alimentare e non. La serenità non è necessariamente legata ad un rapporto vicino e diretto con la natura ma di certo aiuta. In una città mi spegnerei lentamente, oltre che impazzire con il cocktail di cui sopra. I dubbi, le paure, sono insiti in ogni persona ma a mio avviso la città li può amplificare, la natura li può mitigare. Poi risolverli o affrontarle completamente sta ad ogni singolo, ovunque si trovi, in un grattacielo di New York o nella foresta amazzonica. Natura e cultura spesso sono viste in contrapposizione. “Vivo in città perché ci sono i teatri, i cinema, i musei”, affermano le persone. E voi smontate tutto dimostrando che la città in cui c'è una più alta frequentazione di teatri è Milano: 1,1 volte all'anno... Arrivate quindi ad affermare che chi vive in città affermando che lo fa per la cultura si nasconda dietro ad una 'scusa'. Perché secondo te? E in che modo, invece, la cultura finisce col permeare la vita delle persone che vivono in contesti più piccoli e, apparentemente, isolati? La città è una irresistibile attrazione, quindi è normale che si trovino tutti gli argomenti per giustificare il proprio attaccamento. Ma se mi si dice che la ragione per rimanere in città è culturale, allora non sta in piedi, visto che la cultura non è solo in città ma anche in città. Poi correndo tutti sempre più freneticamente in città, il tempo di vivere la cultura è veramente poco e per nulla superiore a chi vive fuori dalla città. Accetto e comprendo di più se mi si dice che si vive in città perché ci si è nati, perchè ci sono i propri amici e parenti ma non perchè c'è il teatro o la biblioteca in cui si va in media due volte l'anno. Conosco moltissimi ragazzi che sono fuggiti da zone splendide come ad esempio la Sardegna o alcune regioni del Sud Italia perché si sentivano tagliati fuori, isolati. Come si possono abitare questi territori senza provare queste sensazioni? Quando tutti scappano è normale che ci si può sentire persi e si scappa proprio perché non rimane più nessuno. Io invece conosco sempre più persone che stanno facendo il percorso inverso e stanno ripopolando luoghi splendidi e abbandonati di cui è piena l'Italia. A qualche mese dall'uscita del libro, cosa ti ha piacevolmente colpito e cosa ti ha deluso delle reazioni dei lettori? Mi ha colpito il fatto che ad oggi non ci sono arrivate particolari critiche negative. Visti i temi e il modo abbastanza netto in cui li affrontiamo e presentiamo soluzioni pensavo che fossimo accusati di essere troppo radicali o simili. A quanto pare la situazione è così critica che quello che prima poteva sembrare qualcosa di radicale è sempre più concepito per quello che è: semplice e salutare buon senso. [video|ermani_fa_la_cosa_giusta_2012] Leggi la prima parte dell'intervista

Commenti

Bellissimo libro e anche bella intervista, io mi ero "arreso" ma sto rialzando la testa...un' abbraccio a tuuti voi(noi).
Fabio, 26-03-2012 02:26
Mi é piaciuto davvero tanto questo libro; stimola molto la riflessione sulle contraddizioni delle certezze di oggi, proprio quelle che messe in discussione dalla crisi si stanno trasformando in incertezze. Lo definirei un libro intelligente, ricco di proposte fattibili, ahimé non so quanto praticabili da parte dei nostri politici incartapecoriti e ottusi. E mi piace l'ottimismo di fondo che lo pervade, doppiamente apprezzabile in questi giorni tremebondi, lamentosi e piagnoni; motivo per cui ho deciso di regalarlo. Ho un unico appunto da fare: Krishnamurti é nominato troppe volte, ma si può chiudere un occhio. Lunga vita a questo libro, dunque: se la merita!
Silver Silvan, 04-10-2012 04:04

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