Siamo tutti libici, tunisini, egiziani. Ieri la marcia dei migranti

In centinaia di città italiane ieri la marcia degli 'stranieri' contro lo sfruttamento, il razzismo e le indegne condizioni in cui versano ancora i migranti in Italia. Uno sciopero che, come lo scorso anno, ha accomunato lavoratori provenienti da paesi differenti per rivendicare il diritto d'asilo e il riconoscimento della dignità.

Siamo tutti libici, tunisini, egiziani. Ieri la marcia dei migranti
Nel 2010 più di 300mila lavoratori italiani e migranti scelsero di scioperare il primo Marzo per esprimere la propria protesta contro il lavoro nero e lo sfruttamento e per chiedere l'abrogazione della legge Bossi-Fini, la quale prevede, fra le altre cose, il rilascio del permesso di soggiorno alle persone che dimostrino di avere un lavoro per il mantenimento economico. In questo quadro sono migliaia gli immigrati che, invece di trovare adeguate strutture per l'integrazione, diventano 'clandestini', arruolati nel lavoro nero gestito dai caporali. A un anno di distanza l'iniziativa è stata rilanciata ieri in tutta Italia, preceduta da un Appello Nazionale che intende attuare “un'idea di sciopero diversa da quella dominante (non uno strumento di protesta nelle mani dei sindacati, ma un diritto costituzionale, individuale e inalienabile)”. Infatti il nodo della cittadinanza e la questione della trasformazione del migrante in clandestino sono ancora senza soluzione, malgrado la situazione in Nord Africa conduca ad un prevedibile aumento degli sbarchi sulle coste italiane. Troppo poco si ricorda che i migranti che si spingono ai confini dell'Italia sono in fuga da condizioni di crudeltà e di tortura inumane (come ha ben mostrato nel 2008, proprio nel caso della Libia, il documentario Come un uomo sulla terra) e che è proprio di una società civile regolarizzare, in modo rispettoso della dignità delle persone, la condizione dei rifugiati. Di fronte alla complessità della situazione lo strumento dei decreti flussi, che autorizza un numero limitato di ingressi per lavoro in Italia, così come la riapertura del centro di Lampedusa (dichiarata abusiva dopo un ricorso di Legambiente) risultano inadeguati alla creazione di un percorso strutturale di integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Le misure da “stato di emergenza” non permettono, infatti, di offrire una risposta al diritto d'asilo, né tanto meno denotano la consapevolezza del ruolo, sempre più rilevante, che i migranti rivestono attualmente in Italia, come avviene per tutte le minoranze straniere presenti in altri Stati (e gli italiani stessi compongono, del resto, nutrite minoranze nel resto del mondo). Si tratta, anzitutto, di ragioni economiche, dal momento che i migranti producono una parte consistente del PIL (11%), alimentano le casse dello Stato con le tasse e i contributi previdenziali e sopperiscono con il lavoro di cura alle carenze strutturali del welfare italiano. Ma vi sono anche ragioni sociali, culturali e politiche, se solo si guarda alla possibilità di costruire una società più ricca e multiculturale, capace di guardare al futuro e di elaborare nuove forme di convivenza e di eguaglianza. Per questo ieri, da Trieste a Rosarno, da Pavia a Reggio Calabria, si sono tenuti numerosi appuntamenti ai quali tutti erano invitati a partecipare. A Roma al grido "Siamo tutti libici, siamo tutti egiziani, siamo tutti tunisini", il corteo è iniziato dopo le 16,30 da piazzale Aldo Moro, fino a piazzale Esquilino. A Milano la manifestazione si è tenuta invece a partire dalle 18 in piazza Duca d’Aosta.

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