Change.org: la mobilitazione “arma” del cambiamento

Change.org è la più grande piattaforma di mobilitazione online che permette ai cittadini non solo di far sentire la propria voce, ma di fare da collettore dei disagi, delle proteste e delle proposte costruttive per cambiare veramente le cose. Tutti, attraverso lo strumento della petizione, possono autogestire il cambiamento coinvolgendo la comunità. È il caso di rispolverare il vecchio detto: l’unione fa la forza, veramente. Abbiamo intervistato Sergio Cecchini, direttore della comunicazione di Change.org Italia.

Change.org: la mobilitazione “arma” del cambiamento

Come è nata l'idea di Change.org? Che significato ha per voi poter cambiare le cose dal basso e che potenza avete riscontrato nel dare voce a persone che non vogliono rimanere inascoltate e che desiderano portare le loro istanze all'attenzione dei media?
L’idea di Change.org nasce nel 2007 dall’intuizione di Ben Rattray di usare la tecnologica dei social network per colmare il vuoto tra l’interesse generale ad affrontare tematiche sociali e l’azione pratica per risolverle e per cambiare realmente le cose. La filosofia di creare una piattaforma tecnologia accessibile a chiunque, in maniera totalmente gratuita che permetta alle persone di attivarsi e di diventare attori del cambiamento sociale ha riscosso subito grande consenso e oggi Change.org è diventata la più grande piattaforma di mobilitazioni online al mondo, con oltre 55 milioni di utenti, di cui 2 raggiunti in Italia. La crescita vertiginosa registrata negli ultimi due anni testimonia il potenziale di uno strumento che dà la possibilità a chiunque di far conoscere la propria istanza di cambiamento, senza necessariamente passare per le tradizionali forme di rappresentanza delle istanze sociali. Oggi il potere di far conoscere un problema e chiederne la soluzione è nelle mani di ogni singolo individuo che non deve più aspettare che qualcuno di esterno si interessi al suo caso, se ne faccia carico e ne parli, ma in maniera autonoma e autogestita ognuno può far valere la propria voce e le proprie idee.
Da luglio 2012, quando Change.org è sbarcata in Italia, sono 170 le vostre petizioni che hanno avuto successo. Sono molte o poche rispetto a quelle totali che avete raccolto? Ci sono circa 2 milioni di utenti in Italia in soli 18 mesi di attività nel nostro paese. Speravate di ottenere questi risultati?
Non avremmo mai immaginato che in 18 mesi oltre 170 petizioni potessero realmente raggiungere quel cambiamento che i loro promotori volevano vedersi realizzare per ciò che stava loro più a cuore. E non avremmo mai pensato che oltre 700.000 persone avrebbero partecipato alle loro campagne, svolgendo un ruolo determinante nel raggiungere la vittoria finale. Se pensiamo a una delle prime vittorie, quella che ha permesso ai tre Senegalesi feriti a Firenze durante la sparatoria del 13 dicembre 2011 di ottenere la cittadinanza italiana grazie a una campagna lanciata su Change.org o a una delle più recenti come la vicenda legata all’isola di Budelli, non ci aspettavamo questi risultati in così poco tempo.
Tra le vostre tante petizioni si trovano istanze su diversi argomenti. Perché accettate tutti i tipi di richieste, anche in competizione tra loro? (Change.org si professa apolitica e apartitica) Un numero eccessivo di petizioni, non danneggia quelle più importanti? Non sarebbe forse meglio impegnarsi solo su quelle più significative?
Change.org è una piattaforma tecnologica che può essere usata da chiunque per lanciare qualunque tipo di richiesta purché non vi sia nessun tipo di istigazione all’odio di genere, religioso, razziale o di altro tipo. Ovviamente su un determinato tema possono esserci campagne contrapposte come, ad esempio, sull’inserimento delle quote rosa nella nuova leggete elettorale. La rete da sola seleziona e fa andare avanti le petizioni più rilevanti per i vari pubblici che usano la rete. Noi, dal canto nostro, cerchiamo di supportare con le nostre competenze professionali tutte quelle istanze che possono raggiungere il loro obiettivo, dando suggerimenti su come migliorare la promozione, come gestire i rapporti con i mezzi d’informazione o altro.
Quindi, a parte i vostri suggerimenti professionali, una volta pubblicata una petizione chi la promuove? Il singolo che l'ha lanciata o l'amministrazione del sito?
Il primo e più importante strumento di promozione di qualunque petizione è la volontà di chi l’ha lanciata di trasformarla in campagna di cambiamento sociale. Questo fa la differenza tra una semplice petizione su Change.org e una campagna che inizia, giorno dopo giorno, a farsi strada nella rete, nei media e nella società, diventando una domanda di cambiamento rispetto alla quale chi ha la responsabilità di prendere le decisioni non può far finta di niente.
Quindi le singole persone sono fondamentali per la vittoria finale, ma tutte le informazioni raccolte da Change.org su ogni utente come vengono usate?
Le informazioni in nostro possesso restano dentro Change.org e non vengono cedute o vendute a terzi. La nostra forza sono i nostri utenti e la loro protezione da ogni tipo di strumentalizzazione o frode è il nostro dovere primario.
In generale ci sono dei pregiudizi sul falso attivismo inteso come sentirsi con la coscienza a posto solo per aver cliccato o si crede veramente che la firma “virtuale“ abbia un peso?
Le petizioni online sono uno strumento in più che oggi ognuno ha a disposizione. Come tale, ne può essere fatto un buono o cattivo uso. Riteniamo che una piattaforma come Change.org oggi rappresenti un utile strumento per la società per far emergere istanze di cambiamento senza per forza dover passare per i canali tradizionali di mediazione come i mezzi d’informazione, le organizzazioni politiche o di categoria o altro. Oggi chiunque può essere il protagonista in prima persona di una mobilitazione sociale, che possa riguarda una questione locale o un problema di rilevanza nazionale non fa differenza.
Come funziona il modello business dell'autofinanziamento che permette petizioni gratuite?
Change.org si finanzia attraverso campagne sponsorizzate da organizzazioni e associazioni che usano la piattaforma per far arrivare il proprio messaggio a persone già impegnata sui temi di pertinenza dell’organizzazione stessa. Ovviamente è sempre l’utente che decide se aderire a una campagna promossa da un’organizzazione e non c’è nessun passaggio di dati che non avvenga in maniera volontaria e consapevole da parte dell’utente. Poi gli utenti possono decidere di promuovere determinate campagne che gli stanno a cuore con piccole donazioni, ma il cui fine ultimo è promuovere quella petizione a un numero determinato di utenti.
Uno degli aspetti che poi contraddistingue Change.org da altre piattaforme è l’assenza totale di pubblicità commerciale sia sul sito sia nelle email mandate agli utenti.
Change.org è registrata come “impresa sociale”/”impresa benefit profit”, cosa significa? Dove vengono reinvestiti i soldi?
Change.org è registrata come “B corporation”, una qualifica che negli Stati Uniti identifica un modello di impresa la cui mission è migliorare uno o più aspetti della società e non generare profitto. È un modello a metà strada tra una non-profit e un’impresa che valorizza l’impegno sociale della società mettendo una serie di requisiti etici che devono essere garantiti e dando la flessibilità e rapidità organizzativa di un soggetto orientato al risultato. Tutti i fondi vengono reinvestiti nel costante miglioramento della piattaforma, nella realizzazione di nuovi strumenti e servizi per gli utenti.
Ci sono delle differenze tra Change.org e altri siti/organizzazioni (moveOn o Avaaz) di campagne sociali? Se sì, quali?
Ogni piattaforma di attivismo online ha una sua identità. La specificità di Change.org è che non è un’organizzazione che lancia o promuove sue proprie campagne, ma le uniche petizioni che si trovano sulla piattaforma sono quelle lanciate dagli utenti. Change.org non persegue nessuna missione o visione su nessun tema.

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