"Venezia sta con gli immigrati": l'appello del Cinema alle istituzioni

Un appello firmato da Andrea Segre, Elio Germano, Marco Tullio Giordana e molti altri registi, produttori e attori del cinema italiano chiede all'Italia di assumersi le proprie responsabilità nei confronti dei profughi libici e degli immigrati quotidianamente privati dei diritti fondamentali nei CIE. Al Festival di Venezia riparte l'impegno a fare cultura in senso diametralmente opposto a quello dominante.

“Si intensifichino gli sforzi a livello internazionale per ridurre l'eccidio intollerabile di profughi in fuga dalla Libia. È disumano ciò che è successo dal marzo 2011 ad oggi: civili in fuga da un Paese sotto attacco militare sono stati lasciati completamente soli ad affrontare il mare, con un bilancio di almeno 1500 vittime. È dovere umanitario internazionale ed italiano in primis fare di tutto perché chi fugge da una guerra, a cui il nostro stesso paese partecipa, peraltro con l’obiettivo dichiarato di proteggere i civili, sia adeguatamente tutelato”. È questo l'esordio dell'appello lanciato da autori e attori del cinema italiano alla 68° Mostra del cinema di Venezia, un modo per far presente l'urgenza della crisi umanitaria in atto in Africa ed evitare che il Festival sia strumentalizzato dai media standard per stornare l'attenzione da quanto accade oggi in Libia e a Lampedusa. L'appello di registi, autori, produttori, attori e artisti si rivolge all'opinione pubblica ed alle istituzioni “per contribuire con la nostra voce, oltre che con i nostri racconti, alla costruzione di una società meno soggetta a chiusure e derive xenofobe e più preparata a comprendere i flussi di immigrazione e a dialogare con i nuovi cittadini”. In effetti l'edizione di quest'anno del Festival di Venezia affronta l'immigrazione in diverse pellicole, a cominciare da Io Sono Li di Andrea Segre firmatario dell'appello, già autore del documentario Come un uomo sulla terra, il primo a denunciare gli abusi e le torture dietro gli accordi sull'immigrazione firmati nel 2008 fra Italia e Libia, e del film Il sangue verde sulla tragedia di Rosarno. Io Sono Li è la storia di un amore fra due culture profondamente diverse, quella cinese e quella veneta-chioggiotta, ed esplora i temi della contaminazione e della crisi identitaria al centro di periferie multietniche come quelle del Veneto, una regione che affascina il regista perché passata in breve tempo da terra di emigrazione a terra di immigrazione. L'appello non è un monito patetico a ricordarsi delle vittime di guerra, ma una vigorosa denuncia della posizione italiana nel conflitto in Libia e del trattamento riservato dalle istituzioni agli immigrati che raggiungono le coste italiane. I registi e gli autori firmatari chiedono al governo l'impegno a “non replicare mai in futuro la scellerata politica dei respingimenti, attivata nel maggio 2009 con l'allora 'amico' Gheddafi nonostante le denunce di vari organismi internazionali. Nessun respingimento in mare è accettabile, né verso la Libia né verso altri Paesi, come purtroppo sembra stia succedendo nelle ultime settimane con la Tunisia”. Inoltre si richiede l'abolizione del reato di clandestinità (già bocciato dalla Corte di Giustizia Europea) e il blocco del prolungamento a 18 mesi della detenzione nei Centri di Identificazione ed Espulsione, “la cui organizzazione e funzione va completamente ripensata essendo diventati luoghi di intollerabile sospensione dei diritti, di forte umiliazione delle dignità personali e di isolamento civile e democratico”. A tal proposito gli artisti del cinema auspicano che venga revocata la circolare ministeriale che impedisce l'accesso di giornalisti ed altri osservatori nei Centri stessi. Infine è fatta esplicita richiesta del riconoscimento della piena cittadinanza italiana ai cittadini cresciuti in Italia, ma figli di stranieri. Evidentemente l'appello non trascura nessuno dei punti attorno a cui si accende il dibattito a proposito del ruolo dell'Italia in Libia e soprattutto delle politiche italiane in materia di immigrazione, accoglienza e integrazione. Da anni associazioni come Amnesty International ed Emergency denunciano l'anomalia di un Paese che sfrutta la forza-lavoro straniera, ma è incapace di approntare strutture ed apparati adeguati per favorirne lo sviluppo umano. Questo manifesto da parte del mondo del cinema segnala la consapevolezza delle derive razziste cui l'atteggiamento italiano incorre e si distingue per l'intento di 'fare cultura' in senso diametralmente opposto a quello dominante da parte dei grandi canali di informazione e di divulgazione. I firmatari si impegnano, infatti, a tenere alta l'attenzione su questi temi ed a “a collaborare con i nostri film a percorsi di educazione e conoscenza in scuole, università, biblioteche e altri luoghi di incontro in tutte le Regioni Italiane”. Tra gli altri sottoscrittori dell'appello figurano Guido Lombardi, Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Valerio Mastrandrea, Elio Germano, Roberto Citran, Gaetano Di Vaio, Luca Bigazzi, Francesco Bonsembiante, Marco Tullio Giordana, Daniele Vicari, Daniele Gaglianone e sono molte le personalità che continuano a sottoscrivere il documento in questi giorni.

Commenti

E' bello e umanamente consolante che da una storica e prestigiosa sede quale la Mostra del Cinema di Venezia, venga un messaggio così netto a favore degli oppressi e un esame così lucido delle cause generanti quegli effetti tanto sgraditi e però cinicamente sfruttati dai leghisti nostrani.L'arte del cinema, almeno lei, si è moralmente salvata al contrario della politica e del sindacato, che, nella...manovra di governo e nella...contromanovra di protesta, nulla hanno detto contro la guerra e le spese militari, considerandole evidentemente intagliabili.
Franco, 06-09-2011 11:06

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