Braccianti extracomunitari contro lo sfruttamento e il caporalato

Quest'estate centinaia di braccianti extracomunitari in Salento hanno scioperato contro lo sfruttamento e il caporalato. Quest'ultimo secondo la manovra in discussione alle Camere sarà punito con la reclusione da cinque a otto anni e con una multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Braccianti extracomunitari contro lo sfruttamento e il caporalato
Il Salento, meta turistica tra le più gettonate negli ultimi anni, ha accolto anche quest'anno migliaia di turisti. Ma non solo. C'è anche un'altra porzione di Italia, che da ormai vent'anni si riversa d'estate nelle campagne salentine. È il popolo dei lavoratori agricoli stagionali: tunisini, marocchini, egiziani, nigeriani, senegalesi, provenienti da tutta Italia per la raccolta estiva dei pomodori e delle angurie. Costretti a lavorare per due euro all'ora, o a cottimo: un euro ad anguria o a cassetta di pomodori. A volte anche per 18 ore al giorno, in regime di totale sfruttamento, in deroga a tutti i CCNL e alle norme di tutela dei lavoratori. Come se non bastasse, devono pagare una quota al caporale per essere trasportati nelle campagne, una per il panino e una per la bottiglietta d'acqua. Il caporalato, dai più ritenuto estinto, è più che mai vivo nelle campagne italiane, Rosarno docet. Una piaga che si annida nel settore agricolo ed edilizio e che intreccia le fila della criminalità organizzata con quelle di uno sfruttamento, ai confini con la schiavitù, di manodopera 'a basso costo', come quella dei migranti. Molti di loro sono costretti a vivere accampati negli uliveti, o fra i ruderi delle masserie abbandonate. Nel 2008 il comune di Nardò ha ristrutturato, grazie ai fondi per l'emersione del lavoro nero, la Masseria Boncuri, sita nella zona industriale alle porte della città. Il campo, unico nel suo genere finora, è gestito dalle associazioni Finis Terrae e Brigata di solidarietà attiva, ed ospita ogni anno quasi 400 migranti. La struttura è dotata di posti letto, servizi igienici, cucina, ambulatorio medico, sportello legale e persino una piccola moschea. È presidiata 24 ore su 24 da volontari. E proprio da qui è partita la protesta. Il 30 luglio i braccianti sono entrati in sciopero per protestare contro lo sfruttamento, le condizioni di lavoro e le basse paghe. Hanno chiesto di poter veder riconosciuto il loro diritto al lavoro, rivendicando un salario adeguato, contratti legali e la possibilità di essere ingaggiati direttamente dai proprietari dei campi o dall'ufficio provinciale del lavoro, senza l'intermediazione dei caporali. Hanno fatto sentire la loro voce anche in occasione del concertone finale della Notte della Taranta, a Melpignano. “Vogliamo ingaggi regolari ed un contatto diretto con le aziende”, è stato il loro appello disperato dal palco, di fronte ad una platea di circa ottantamila “tarantolati”. Proprio qui, la protesta dei migranti ha assunto un significato profondo. La taranta, infatti, affonda le radici proprio nei canti di lavoro e di lotta dei contadini meridionali. Il tempo per la raccolta è quasi terminato. In questi giorni si sta procedendo allo sgombero dei campi. In molti hanno infagottato le poche cose e sono andati via, verso nuovi raccolti. Altri sono rimasti, nonostante le comunicazioni di sgombero. Non hanno i soldi per il treno o per il pullman perché ancora non sono stati pagati. Fortunatamente le proteste non sono cadute nel vuoto. Il mese scorso, infatti, è stato presentato al Senato un disegno di legge bipartisan sul caporalato. La manovra, attualmente in discussione, ha introdotto un nuovo articolo nel codice penale italiano (603-bis) che disciplina il reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, recependo gli aspetti sostanziali di questo disegno. Esso stabilisce che “chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato”. Un importante passo avanti che andrà senz'altro rafforzato. Una cosa è certa: “Abbiamo preso coscienza dei nostri diritti di lavoratori e ci batteremo per il loro riconoscimento”, fanno sapere i braccianti. A ben guardare, i diritti rivendicati sono gli stessi che hanno animato le lotte sindacali degli anni '50 dei nostri nonni, lì, nelle stesse campagne della grecìa salentina.

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