Biocarburanti, in Brasile i Guarani chiedono a Shell di lasciare le loro terre

In Brasile il popolo nativo dei Guarani, il più numeroso del Paese carioca, da tempo sta cercando di tornare 'padrone' delle terre dei suoi antenati. Lì, infatti, viene coltivata industrialmente la canna da zucchero, necessaria alla produzione di 'biofuel'. Espropri, minacce e persino omicidi: ecco cosa c’è dietro la coscienza sporca dell’etanolo.

Biocarburanti, in Brasile i Guarani chiedono a Shell di lasciare le loro terre
Continua il furto di terre dei Guarani del Brasile da parte delle multinazionali occidentali. Come Shell, in questo caso interessata non al gas o al petrolio presenti nel sottosuolo brasiliano, ma alle piantagioni di canna da zucchero che crescono sulle terre ancestrali degli indigeni, destinate alla produzione di biocarburanti. I terreni in questione, parte dei quali di proprietà della Cosan, gigante energetico brasiliano con cui Shell ha creato una joint venture da ben 12 miliardi di dollari per la produzione di bioetanolo per autotrazione, si trovano in aree che, almeno formalmente, sono già riconosciute come proprietà degli Indiani Guarani. Questo popolo, distribuito in sette diversi Stati brasiliani ma presente anche in aree dell’Argentina, del Paraguay e della Bolivia, è composto da 46mila individui, ed è la popolazione indigena più numerosa del Sudamerica. Stanchi di vedersi letteralmente rubare spazi e risorse dai colossi dell’energia, con una lettera (scritta a mano) hanno chiesto un’altra volta a Shell di lasciare la loro terra, e di chiudere la fabbrica di Noua America nel municipio di Caarapò: “Da quando l’industria ha cominciato a operare – si lamentano i Guarani – la nostra salute è venuta meno: stanno peggio i nostri figli, gli adulti e anche gli animali”. In effetti se pesci, animali e piante muoiono a causa delle sostanze chimiche usate in abbondanza per massimizzare la produttività delle piantagioni di soia e, appunto, di canna da zucchero, si riscontra fra questi indios un alto tasso di malattie; fra i bambini, in particolare, sono molto diffusi disturbi quali la diarrea acuta. Non solo, recidendo il legame che questi indigeni hanno con la loro terra, si sono portati presso la loro popolazione tassi di malnutrizione, povertà, ma anche suicidi e violenza, a livelli mai visti in precedenza. Il tutto anche a causa di un sistematico uso della forza da parte degli 'invasori': nel solo 2010, infatti, sono stati uccisi 56 Guarani che cercavano di rioccupare le proprie terre. Secondo Survival “il fallimento del governo brasiliano nel far rispettare le proprie leggi e demarcare o proteggere la terra dei Guarani destinandola al loro uso esclusivo, ha lasciato la tribù vulnerabile allo sfruttamento delle piantagioni di canna da zucchero. Intanto, molti Guarani vivono in condizioni spaventose, in riserve sovraffollate o accampate ai margini della strada”. È il lato nascosto della nuova 'green economy' perseguita dai Paesi 'civili' e 'sviluppati', sempre più tinta di verde ma non per questo meno bramosa di risorse, né meno prevaricatrice. Per Stephen Corry, direttore generale di Survival, “è tragicamente ironico che i consumatori acquistino l’etanolo della Shell come un’alternativa ‘etica’ ai combustibili fossili”. “Non c’è sicuramente nulla di etico nel modo disumano con cui sono trattati i Guarani”, fa notare Corry: “Il governo brasiliano deve fare rispettare le sue leggi e fermare la totale distruzione della loro terra”. La speranza è che ciò possa avvenire al più presto. Nel frattempo, però, queste persone devono subire la triste sorte di vivere in pessime condizioni, o in una sorta di esilio forzato che le tiene lontane dalle terre che per millenni sono appartenute ai loro padri.

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.