Città in Transizione: quando tutto ebbe inizio

Nel settembre 2008 si svolse in Italia il primo incontro per parlare di città in transizione. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Monteveglio ha fatto da capofila e molte altre città hanno seguito. Ma può essere utile ricordare ora come tutto ebbe inizio. Vi proponiamo quindi il diario di quel primo incontro.

Città in Transizione: quando tutto ebbe inizio
Mi dicono che anche in Italia è tempo di “transizione”, anzi mi precisano che è già cominciata. Mi convincono che è una cosa grossa. Obiettivo? Far diffondere anche in Italia i principi su cui si basano le “transition town” britanniche. Decido quindi di partecipare al primo incontro italiano che si è tenuto lo scorso week end ad Alcatraz, “la libera università” di Jacopo Fo.

Ma che cos’è questa transizione? È un tentativo di guidare il passaggio della nostra economia e del nostro sistema socio-culturare da un modello basato sulla dipendenza dal petrolio, sull’usa e getta, sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta e sulla distruzione delle relazioni sociali, ad un sistema basato su energie alternative, auto-produzione del cibo, filiera corta, solidarietà, rispetto, nuove relazioni, ma sopratutto consapevolezza e tanto tanto divertimento.

Per questo in Inghilterra prima e nel resto del mondo poi, in pochissimo tempo, si sono sviluppate oltre cento Transition Town, città cioè che sono riuscite ad applicare questi principi al loro interno.

La transizione non propone ricette applicabili a tutti i casi. Più che dare soluzioni, pone un problema e fornisce consigli pratici su come affrontarlo. Si basa, infatti, sul paradigma della permacultura da cui scaturisce il principio secondo il quale diversi luoghi e diverse società richiedano diversi approcci e diverse soluzioni. Quello che non cambia è il metodo concettuale.

Ma ci sarà tempo per sviscerare i diversi aspetti della transizione. Questo articolo, infatti, intende proporvi la pura e semplice cronaca di quanto ho visto e vissuto in questi due giorni di incontro sulle colline umbre.

Il tutto è stato organizzato da Cristiano Bottone, di professione pubblicitario. Inizialmente voleva organizzare un convegno, ma le risposte ricevute nelle settimane precedenti alla data prefissata lo hanno convinto a trasformare l’evento in un incontro-confronto tra le diverse realtà che operano già nel nostro paese secondo alcuni dei principi della transizione.

Ma andiamo con ordine. Venerdì sera: sono in ritardo. “Speriamo non si siano già mangiati tutto...” Mentre guido, guardo nervosamente l’orologio. Sono quasi le nove e la cena era prevista per le sette e mezzo. Alle nove e trenta c’è la presentazione e non voglio perdermela! L’incontro si tiene ad Alcatraz, la “libera università” creata da Jacopo Fo nel mezzo delle colline umbre, tra Perugia e Urbino. Un posto incantevole in cui cultura e natura si sono incontrate e innamorate e convivono felicemente da ormai trent’anni.

Ma è buio, pioviggina pure, e non vedo quasi niente. Ho paura di aver mancato qualche cartello. Ma ecco, sì, ci sono! Passo accanto a statue colorate che rappresentano corpi nella loro più sensuale essenza. Non ci sono dubbi, sono ad Alcatraz.

Non faccio in tempo ad entrare che mi trovo già seduto a tavola. É una lunga tavolata piena di gente. Ma le mie paure sono subito fugate. C’è ancora da mangiare! Mangio insieme ad una ragazza che è arrivata tardi come me, mentre gli altri chiacchierano e spizzicano il dolce.

Sembrano simpatici. L’argomento principale dei commensali intorno a me sono i navigatori stradali. Ok, non è il massimo, lo ammetto. Ma dopotutto serve per far conoscenza. Seduto tra gli altri c’è Jacopo Fo. E anche Cristiano Bottone, anche se non so qual è.

Cambio di scena. Siamo nella sala accanto, seduti intorno ad un tavolo. Cristiano si presenta e chiede di presentarci. Siamo una ventina, più un paio di coppie che erano lì per caso, ma sono attratte da quanto sta succedendo. Ci presentiamo a turno. C’è Ugo Bardi, professore universitario e rappresentante dell’Aspo Italia (associazione per lo studio del picco del petrolio) che domani ci spiegherà (appunto) cos’è il picco del petrolio. È accompagnato dalla moglie. Ci sono Marilia e Marilù che ci spiegheranno cos’è la permacultura e ci racconteranno la storia del loro eco-villaggio. C’è Andrea, un ragazzo di Milano che si definisce una mina vagante. È qui con fidanzata (incinta) e bimbo di due anni. E poi ci sono molti ragazzi dei Gas (Gruppo di acquisto solidale) di Bologna. Sono in maggioranza e non è un caso. Cristiano, infatti, sta incentrando la sua iniziativa a Monteveglio, vicino Bologna. Insieme a lui a proporre la transizione in Italia c’è Ellen, ragazza tedesca piena di energia e di entusiasmo.

In breve si scatena un dibattito sulle modalità in cui sviluppare la transizione in Italia, ma i tempi sono prematuri. Almeno prima spiegateci di cosa stiamo parlando! Infatti Cristiano ci richiama all’ordine e ci spedisce a dormire. Obbedisco!

Sabato mattina: la colazione è prevista per le otto. Faccio fatica ad alzarmi, ma il dovere mi chiama. Sono puntualissimo, ma la sala per la colazione non è ancora pronta e in piedi ci sono praticamente solo io. E poi dicono i romani... Mentre aspetto gli altri, guardo il panorama dalla vetrata della sala dove si mangia. Colline umbre accarezzate dal sole mattutino. Che meraviglia! Ci sono chiazze che spezzano il bosco. Tipici segni umani. Non mancano quasi mai. Sono ferite nel tessuto splendente della terra. Ma mi convinco che sono poche e ben inserite nel contesto e forse è proprio così.

A colazione mi trovo seduto davanti al professor Ugo Bardi. Mentre mangio lega una corda ad un bicchiere ed annuncia grandi esperimenti. Lo sguardo è provocatorio e ironico, le parole e i movimenti dimostrano intelligenza e convinzione.

Ci spostiamo in palestra e comincia lo show. L’oratore è brillante e pronto a snocciolare barzellette di fronte agli inconvenienti tecnici che gli si presentano davanti. La platea (noi) è rapita. Ci sono più persone rispetto alla sera precedente. Non ho ancora avuto occasione di conoscerli.

L’argomento trattato è il picco del petrolio. Ci saranno altri articoli per approfondire il tema. Qui mi limiterò a riassumerlo in poche parole: i costi dell’estrazione del petrolio e della ricerca di nuovi pozzi petroliferi stanno diventando più cari dei benefici che le multinazionali ottengono vendendolo. Quando questo accadrà (e sembra stia già accadendo) si raggiungerà il picco e il petrolio comincerà improvvisamente a scarseggiare. A quel punto l’intera economia occidentale (e forse quella mondiale) si troverà di fronte ad una gravissima crisi economica, con probabili pesantissime svalutazioni della moneta e con intere “fortune” che andranno bruciate.

Se le teorie del professor Bardi si rivelassero esatte, il nostro intero sistema socio-economico così come lo conosciamo è destinato a collassare.

I dati che presenta il professore sono convincenti, ma la maggioranza di quelli che lo ascoltano sembrano solo in parte preoccupati. È come se ognuno di loro in parte di loro temesse questo crollo, e in parte lo desiderasse. Dopo tutto questa società, questo mondo che abbiamo costruito, non sembra proprio funzionare. E l’idea che un sistema fondato sulla guerra, sulla sofferenza dei molti per il bene dei pochi, sull’usa e getta, sull’uso indiscriminato delle risorse e sulla devastazione del pianeta e di tutto ciò che è bello sia vicino al collasso, non può che affascinare una platea sensibile.

Certo, forse è più facile essere sereni quando si discute di queste cose in mezzo all’Umbria, in una struttura alimentata ad energia solare, con la campagna intorno che ti può fornire del cibo, e delle persone stimolanti ed entusiaste vicino a te con cui potresti costruire grandi cose.

Diverso è immaginare questo stesso collasso mentre ci si trova in un appartamento cittadino, circondati dall’asfalto e senza alcuna capacità e possibilità di procacciarsi cibo ed energia in caso di mancanza di denaro o di petrolio.

“Per comprendere cosa significhi un mondo senza petrolio”, ci dicono, “basta che vi ricordiate cos’è successo quando per tre giorni i camionisti hanno scioperato”. Sembrava che dovesse finire il mondo e la gente ha “saccheggiato” i supermercati, nel terrore di rimanere senza provviste.

A questo punto ci siamo ridotti! Dipendiamo totalmente dall’esterno. Abbiamo tutto, ma non sappiamo fare niente. E per di più non sorridiamo! La gente nelle città è cupa, arrabbiata, impaurita. Cammina veloce, guardando in basso. Guida in modo aggressivo ed esasperato. Insulta, suona il clacson, maledice. Respira aria avvelenata, si ferisce i timpani col rumore e gli occhi con la bruttura del degrado.

Ma torniamo ad Alcatraz, che è meglio. Tocca a Marilia e Marilù. Parlano a turno. Oltre ad introdurci al magico mondo della permacultura, ci raccontano la loro esperienza negli eco-villaggi. Ci mostrano le foto mentre parlano. Inizialmente sono un po’ cinico. Mi sembrano simpatiche, ma un po’ troppo “new age”. In attesa di ristrutturare un rudere in cui andare ad abitare, infatti, stanno vivendo in modo pionieristico. Senza luce elettrica, senza riscaldamento, in case di paglia o di legno. Più le sento parlare e osservo le foto, però, più le mie resistenze si attenuano. La loro passione e la loro determinazione sono ammirevoli. E la qualità della loro vita, a ben vedere, sembra nettamente superiore a quella media. Tra le varie esperienze che ci vengono raccontate voglio spendere qualche parola per gli orti sinergici. Sono orti in cui le verdure vengono piantate su uno strato di terra e paglia. Le piante, in questo modo, creano suolo fertile attraverso i propri “essudati radicali”, i residui organici che lasciano e la loro attività chimica, insieme a microrganismi, batteri, funghi e lombrichi. Ne riparleremo presto.

È ora di pranzo, e dopo aver tanto sentito parlare di orti e di cibo biologico, lo stomaco grida vendetta! Mangiamo con piacere approfondendo la conoscenza tra noi. È davvero un ambiente stimolante.

Dopo pranzo è la volta di Ellen che finalmente ci spiega come si mette in atto la transizione. Ci sono una serie di principi da seguire, tutti molto ragionevoli. Ascoltandola viene da chiedersi semplicemente che cosa stiamo aspettando per metterli in pratica. Nonostante questo, devo ammettere che ho ancora le idee un po’ confuse. Ho capito come si mette in pratica questa transizione, ma devo ancora chiarirmi bene le idee su che cosa sia!

Dopo la visione di un documentario incentrato sull’esperienza cubana in occasione dell’improvvisa mancanza di petrolio verificatasi dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ci siamo trasferiamo in un’altra sala e qui parte una discussione delirante sul controllo dei destini del mondo da parte di pochi. C’era chi era a favore e chi contro. Le teorie erano affascinanti, gli interventi tutti interessanti, ma alla fine forse il tutto è stato poco concreto.

Per fortuna è arrivata la cena, seguita da una chiacchierata con Jacopo Fo. Poco dopo Morfeo ci ha accolto tra le sue braccia.

Domenica: sveglia alle 8, colazione, e subito in palestra. La parola va a Gaetano che, coadiuvato da Marco, ci illustra l’esperienza dello Scec, la moneta locale che potrebbe circolare nelle città di transizione italiane. Anche questo argomento merita un approfondimento a parte. Pur essendo estremamente complesso, il tema colpisce i partecipanti che fanno a gara per porre la loro domanda. Ne usciamo un po’ chiariti e un po’ confusi. Ma resta di fondo lo sgomento nello scoprire che l’euro è una moneta che appartiene alla Banca Europea che “gentilmente” presta allo Stato Italiano i nostri soldi. Quest’ultimo garantisce la restituzione del prestito (con interessi!!!) usando come “ipoteca” il nostro lavoro e il nostro sudore. Quindi, ogni volta che accettiamo o spendiamo un euro, aumentiamo il nostro debito e finanziamo speculazioni. Da qui nasce la necessità di creare monete complementari come questa per creare un circuito basato sul dono e sullo scambio anziché sullo sfruttamento e sul dolore.

Siamo attoniti e per fortuna prende la parola Jacopo Fo. Come sempre, il nostro padrone di casa affronta i problemi in modo costruttivo, divertente, cercando soluzioni e trasmettendo speranze. Speranze basate sul racconto di esperienze concrete, come quelle della Banca dei Poveri o della Danone che ha creato uno yogurt super economico e super nutritivo da vendere a prezzi stracciati alle mamme dei bambini del Bangladesh che muoiono a migliaia quando passano dal latte materno ad un’alimentazione basata solo sul riso.

Dopo il pranzo è tempo di saluti. Ma prima di separarsi, il gruppo decide che non si può aspettare, e in pochi minuti appronta lo scheletro di un’associazione atta a far partire la transizione anche nel nostro Paese. Ellen e Cristiano faranno da ponte tra gli inglesi e gli italiani.

Pochi minuti dopo rimango solo. Sono tutti partiti e io passeggio per le colline di Alcatraz con un po’ di nostalgia nel cuore. Non voglio partire. Non voglio tornare nella mia città, voglio restare qui, in Umbria, in questo luogo dove la transizione forse c’è già stata e allegria, consapevolezza, cultura e natura convivono trionfalmente.

Ma poco dopo mi riprendo. Sono al volante della mia macchina super inquinante. Credo proprio che presto dovrò transitare in un’auto più ecologica. Possibilmente acquistandola attraverso un gruppo di acquisto.

Non so se la transizione sia iniziata veramente... Non so cosa accadrà in questo Paese. Ma di sicuro le persone che si sono incontrate in questi giorni in Umbria possono contribuire a diffondere un minimo di luce in una nazione in cui, sempre più, decadenza e volgarità sembrano farla da padrone.

Commenti

sono senza parole, perchè quello che dite è tutto vero, e noi purtroppo facciamo parte volenti e nolenti di un sistema fagocitante che non lascia spazio ad alternative. Nel senso che per cambiare totalmente stile di vita e tornare ad essere autotrofi anzichè eterotrofi è necessario un percorso graduale. ora devo andare a dar da mangiare allo spirito. vado alla novena di Natale. arrivederci a presto. vi mando la mia E-mail. ciao!!!
marco asuni, 23-12-2010 07:23

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