A rischio il Canale di Sicilia, santuario della biodiversità mediterranea

Il Canale di Sicilia racchiude un inestimabile patrimonio di biodiversità. Lo affermano i ricercatori dell’ISPRA, che nell'ultimo rapporto hanno descritto un tesoro di specie. Insieme all'entusiasmo per la scoperta di nuove forme di vita, parte l'appello per fermare le trivellazioni petrolifere che mettono a rischio l'intero ecosistema.

A rischio il Canale di Sicilia, santuario della  biodiversità mediterranea
L’ISPRA (Istituto Superiore per la protezione e la Ricerca Ambientale) rende noto in un comunicato dello scorso 2 febbraio che il Canale di Sicilia nasconde un patrimonio inimitabile di biodiversità. Non si parla di specie rare, ma addirittura di forme di vita mai osservate nei mari italiani, dal corallo nero alle gorgonie, fino ai piccoli di squalo bianco. La tutela di questo habitat richiede per l’Istituto la creazione di un’area marina protetta e lo stop alle trivellazioni, minaccia posta dalla ricchezza di petrolio e gas celata nei fondali. I dati riportati dall’ISPRA derivano dal progetto Biodiversità Canale di Sicilia, programma di ricerca finanziato dal Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare e svolto da un gruppo di suoi ricercatori a partire dal 2009 per giungere a conclusione quest’anno. Frugando nel tesoro di specie che gli studiosi hanno scoperto nelle acque di Pantelleria, Lampedusa e Linosa (isole di cui turisti di tutto il mondo conoscono le bellezze naturali), si trovano la gorgonia arancione a forma di candelabro Elisella paraplexauroides, quella a frusta Viminella flagellum, entrambe mai osservate nei mari italiani, e la piccola e rarissima gorgonia Switia pallida. Varie specie di corallo nero, il famoso Antipathella subpinnata e i più rari Antipathes dichotoma e Parantipathes larix - ci fa sapere l’ISPRA - oltre al falso corallo nero Savalia savaglia, sono stati osservati su intere pareti, mentre a circa 350 metri, nei tratti più profondi del Canale di Sicilia, compaiono la Lophelia pertusa e la Madrepora oculata, specie che nel passato costituivano vere e proprie barriere coralline simili a quelle che oggi si possono vedere nel Mar Rosso. La riproduzione del grande squalo bianco, che le acque del Canale di Sicilia consente, ha inoltre un ruolo riconosciuto come fondamentale per l’alimentazione delle balenottere e per la riproduzione delle tartarughe marine. Il Canale di Sicilia, oltre che punto d’incontro tra il bacino orientale e quello occidentale dove confluiscono quindi sia le specie di origine atlantica sia quelle che risalgono dal Golfo di Suez, è un bacino marino chiuso, con un ricambio lentissimo di acque e con un rilevante traffico interno riguardo al trasporto marittimo e commerciale. Da qui la sua natura di area sensibile. Tra le acque di Pantelleria, Lampedusa e Linosa, come ricorda il responsabile del progetto ISPRA Simone Pietro Canese, si concentra un “punto privilegiato per la biodiversità del Mediterraneo”, su cui gravano diversi rischi. Quello cui il responsabile Simone Pietro Canese fa espresso riferimento per quest’area di incredibile ricchezza naturale è costituito dalle trivellazioni che hanno individuato ricchi giacimenti petroliferi nella zona di Pantelleria e in altri tratti del Canale di Sicilia. L’istituzione dell’area marina protetta richiesta per Pantelleria impedirebbe questo tipo di operazioni, almeno in prossimità dell’isola, dato che per la legge italiana non si può effettuare nessuna attività di prospezione ed estrazione di idrocarburi a meno di 12 miglia da qualsiasi area di protezione. Ma le acque territoriali italiane nel Mediterraneo si arrestano proprio alle 12 miglia. Dopo, cominciano le acque internazionali. Questa iniziativa andrebbe affiancata dalla creazione di aree di tutela di alto mare nel Canale di Sicilia, in modo da proteggere la biodiversità marina e garantire una barriera per tutte le attività di esplorazione e sfruttamento petrolifero. A norma della legge italiana, non si può procedere alla perforazione di un pozzo, né all’allestimento di un qualunque impianto di estrazione, se non dopo aver ottenuto, da parte dei competenti uffici periferici della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello sviluppo economico e da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle altre amministrazioni statali interessate, l’ulteriore verifica di compatibilità ambientale e le ulteriori autorizzazioni specifiche. A proposito di trivellazioni, nel recente passato, sono state sollevate proteste ed allarmi per attività ispettive e di trivellazione del suolo marino, dagli abitanti di Favignana e di Pantelleria, come nel caso della piattaforma petrolifera della società ADX ENERGY, sul sito denominato Lambouka-l al largo di Pantelleria in riferimento alla quale, lo scorso ottobre la risposta ad un’interpellanza sul caso confermava il suo posizionamento in una zona di mare ricadente all’interno della piattaforma continentale tunisina, poco oltre il limite delle tredici miglia dall’isola di Pantelleria che segna il confine tra la piattaforma continentale italiana e quella tunisina (accordo italo-tunisino sulle acque di rispettiva giurisdizione, legge n. 347 del 3 giugno 1978). Il giacimento Lambouka-I, un grande blocco di 70 chilometri quadrati contenente tre potenziali serbatoi di idrocarburi, potrebbe vedere estendere uno dei suoi giacimenti fino a sei o sette miglia dalle coste di Pantelleria. Insomma, potrebbe sconfinare in acque italiane. Per tale circostanza, in quella occasione fu invocato tanto l’accordo italo-tunisino (accordo bilaterale che disciplina l’utilizzo dell’area e in base al quale la concessione fu data dal Governo tunisino fuori dalle acque territoriali italiane), quanto la convenzione di Barcellona sulla protezione del Mediterraneo dall’inquinamento marino del 1976. Northern Petroleum e Shell sono alcune delle aziende attualmente interessate alle trivellazioni nel Canale. La Northern Petroleum è un’ azienda inglese specializzata nella ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, che ha eseguito durante il 2010 esplorazioni della parte occidentale del Canale di Sicilia (quasi 1520 Km quadrati di fondali scandagliati) per conto di Shell, proprietaria di diverse concessioni per lo sfruttamento di idrocarburi in Sicilia, sia a terra che off shore. La scorsa settimana è stato firmato un protocollo d’intesa fra la Regione siciliana, l’Eni Mediterranea idrocarburi Spa e la Raffineria di Gela per l’avvio di un piano industriale che prevede investimenti per 800 milioni di euro, che dovranno servire al potenziamento della produttività, all’incremento occupazionale, ma anche all’adozione di misure volte a garantire la sicurezza ed il risanamento dei luoghi. A fronte di una concessione ventennale da parte della Regione siciliana, l’Eni Mediterranea idrocarburi Spa e la Raffineria di Gela s’impegnano al ripristino della diga foranea, fortemente danneggiata dalle mareggiate, sulla quale le due società per azioni impegneranno somme per 140 milioni di euro. Nel documento, Enimed evidenzia l’attuazione del suo Piano industriale per il 2010/2013, che contempla cospicui investimenti per assicurare lo svolgimento delle attività estrattive esistenti e lo sviluppo di nuove iniziative di ricerca mineraria. Non è dato sapere dove saranno condotte le nuove ricerche minerarie, se in mare o su terra. Il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, firmatario dell’accordo, non ha ricevuto l’appoggio di questa decisione da parte del Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, la cui posizione è in linea con quella espressa dall’ISPRA. La divergenza tra i due politici in materia ambientale tocca anche altre questioni, discusse in questi giorni e sempre ricadenti nell’area del Canale di Sicilia. Il progetto del mega-impianto eolico della compagnia Four Wind, duemila gigawatt di energia elettrica ricavata dagli impianti che andrebbero piazzati nel bel mezzo del Canale di Sicilia (nella zona compresa tra i banchi di Avventura, Pantelleria e Talbot), riceve il no della Regione Sicilia, insieme alle associazioni di pescatori e ambientalisti. Favorevole all’eolico off shore, almeno in passato, il ministro Prestigiacomo, che dovrà decidere in merito, in seno al Consiglio dei Ministri.

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