Boschi "ordinati e puliti". Ecco perché le alluvioni distruggono

"Tutto quello che viene considerato disordine e sporco negli assurdi discorsi del dopo alluvioni è invece vita, biodiversità, equilibrio e protezione del suolo". La responsabilità dei disastri conseguenti al maltempo delle ultime settimane è stata da molti attribuita alla mancata 'pulizia' dei boschi. Eppure un bosco privo di arbusti, fronde e legni lasciati sul terreno costituisce un disastro ambientale in fieri.

Boschi
Dopo i disastri innescati dalle piogge torrenziali di quest’ultimo autunno, ancora una volta si è levato il coro delle 'campagne abbandonate' e dei 'boschi che non vengono puliti'. Coloro che parlano di 'boschi non puliti' (sporchi?) non si riferiscono a lattine, bottiglie e sacchetti di plastica, pacchetti di sigarette, bossoli e altre schifezze; si riferiscono ad alberi vivi e morti, arbusti, fronde e legni lasciati sul terreno. La cosa più tragica è che molti di loro sono in buona fede e ritengono che un bosco 'ben curato' sia quello ridotto più o meno come un parco cittadino, cioè col terreno nudo e pochi alberi distanziati. Con la differenza che nel parco cittadino gli alberi sono secolari o tendono a diventarlo, mentre nel bosco 'pulito' gli alberi spesso non riescono a superare i dieci anni, perché ogni dieci anni vengono tagliati. Questo vuol dire che il bosco 'pulito' è popolato da precari fuscelli. Un bosco così 'pulito' è un disastro ambientale in essere e in fieri per molti motivi, tanto più oggi, con l’aumento delle temperature, le estati torride e siccitose, le piogge concentrate e torrenziali. Perché? Perché un terreno, come sanno tutti i naturalisti e i contadini biologici, per sopravvivere deve essere sempre 'coperto': la terra nuda muore e viene erosa. Coperto dunque di foglie e di erba o di arbusti e alberi o, quantomeno, dalle loro chiome imponenti. Il che vuol dire: se si vogliono lasciare pochi alberi, devono essere talmente grandi e vetusti da coprire con le loro fronde tutto il terreno sottostante. Deduzione: non si può tagliarli ogni dieci anni e lasciare sessanta querciole di dieci anni su diecimila metri quadri di ripida collina, come consente oggi la legge regionale Toscana, per esempio, e poi dare la colpa ai boschi non puliti quando arriva l’alluvione. In un bosco 'pulito' secondo il concetto dei cultori dell’innaturalità, cioè con esili alberini molto distanziati, niente sottobosco e niente frasche e legno marcio sul terreno, al massimo crescerà l’erba in primavera, per seccare impietosamente in estate, esposta ai quaranta gradi all’ombra che sono ormai la norma, senza creare humus e lasciando il terreno esposto e indifeso: il sole estivo lo calcinerà, le piogge autunnali in presenza di un minimo pendio se lo trascineranno giù nell’alveo di ruscelli, poi torrenti e poi fiumi che, da corsi d’acqua quali erano, diventeranno corsi di pietre e fango, decuplicati appunto dalle tonnellate di pietre e fango. Che sarebbero stati terra fertile e sarebbero rimasti a far parte del suolo, invece di diventare un’alluvione, se il suolo fosse stato coperto e vivo: 'sporco', secondo la vulgata corrente nel nostro paese. Tutto quello che viene considerato disordine e sporco negli assurdi discorsi del dopo alluvioni è invece vita, biodiversità, equilibrio e protezione del suolo; l’ambiente in cui crescono spore, licheni e funghi che nutrono e fertilizzano, nonché il rifugio e il nutrimento per ogni tipo di vita, dai batteri agli uccelli, dai carnivori agli ungulati. Tutto ciò è vita e salute del bosco e, ovviamente, del suo terreno: che non si muoverà dal proprio posto nemmeno sotto piogge torrenziali. Mentre la Liguria, denudata e incendiata, coperta di asfalto e cemento e coi fiumi asfaltati e cementati, crollava disastrosamente su se stessa, io ero in Friuli, in una di quelle valli prealpine friulane con letti di fiumi larghi centinaia di metri, a volte chilometri, e che per la maggior parte del tempo appaiono come distese di ghiaia e pietre di misure svariate, con un rivolino d’acqua celeste che scorre quieto e che si può attraversare togliendosi le scarpe. Ero in una valle dalle montagne scoscese e a tratti ripidissime, con le cime rocciose e nude. Nei giorni di ottobre in cui in Liguria cadevano tra i 200 e i 500 millimetri di pioggia, sulle prealpi carniche sono caduti dai 200 ai 400 millimetri in 48 ore, di cui una buona parte concentrata in poche ore. In 24 ore sulle montagne friulane sono caduti fino a 377 millimetri di pioggia. In Val Resia in ottobre, in cinque giorni, di cui solo 3 di pioggia intensa, sono caduti fino a 632 millimetri di pioggia. Le dosi giornaliere, dunque, erano molto simili a quelle liguri. Solo che per il Friuli non era un evento eccezionale. Per questo, forse, sulle montagne friulane si taglia il bosco con regole severe e con ferrei controlli; per questo non si costruisce nelle zone di esondazione, sulle rive di fiumi né, tanto meno, i fiumi vengono cementificati. E per questo, dopo le 'normali' piogge torrenziali di quei giorni, il fiume della valle in cui ero, benché avesse riempito tutto il proprio alveo in larghezza e profondità e ruggisse minaccioso, aveva acque pulite e limpide. Nella Svizzera ticinese le valli prealpine sono particolarmente impervie e scoscese, strade strette si arrampicano costeggiando burroni, molti piccoli abitati sono raggiungibili solo a piedi, essendo impossibile in quel contesto la costruzione di strade carrozzabili. In val Onsernone i paesi sono fatti a scale: cioè, a parte la prima fila di case costeggiante la strada, alle altre si arriva salendo o scendendo viottoli a gradini. L’ultimo paese della val Onsernone finisce con una stradina sterrata che s’inoltra nel bosco. Lì accanto c’è un cartello. Dice che i proprietari di boschi della val Onsernone hanno deciso, di comune accordo, di non tagliare più alberi per i prossimi cinquant’anni. Neanche uno. E non solo di non tagliare alberi: hanno deciso e scelto di non prelevare nemmeno gli alberi morti o i rami caduti. Nulla. Perché, dicono gli abitanti della val Onsernone, tutto quello che muore nel bosco serve alla vita del bosco, e dunque alla nostra vita, poiché il bosco è fonte di protezione dei suoli, rigenerazione dell’aria e dell’acqua, biodiversità. Per le generazioni future, dicono gli abitanti della Val Onsernonde, noi rinunciamo a sfruttare il bosco. È un sollievo rendersi conto che la cultura di 'pulire' il bosco, distruggendone il suo popolo vegetale, finisce al confine con l’Italia. È anche un sollievo vedere che c’è chi ai propri figli e nipoti preferisce regalare il futuro invece del cellulare.

Commenti

Non posso che complimentarmi con l'autrice dell'articolo. Dal giorno delle alluvioni in Liguria sono le uniche cose sensate che ho letto. Tralasciando i pareri di ingegneri e/o architetti (che ne capiscono di protezione dell'ambiente quanto un infante di fisica nucleare applicata), ho letto di agronomi e forestali sostenere scempiaggini da far accapponare la pelle: chi accusava delle alluvioni l'abbandono dei campi coltivati, chi la presenza del sottobosco, chi la vegetazione ripariale. Il Corriere della Sera pubblicò un articolo che dal titolo sembrava promettere bene (accennava al bisogno di protezione dei boschi italiani) e invece veniva intervistato un professore di Scienze forestali il cui concetto di tutela dei boschi era in funzione dell'abbattimento controllato per la fornitura di legname di pregio! Questa è la cultura che abbiamo in Italia: una visione esclusivamente antropocentrica ed economica delle questioni ambientali. Il resto del mondo ha capito da quasi quarant'anni che si tratta di una visione fallimentare. Chissà da noi quanti altri disastri dovremo subire ancora prima che si dia voce a chi di conservazione e tutela dell'ambiente ne capisce davvero.
Paolo, 07-12-2011 06:07
Condivido in gran parte il contenuto dell'articolo. Vorrei, però, annotare un aspetto. In Italia, come nella massima parte dell'arco alpino, non esistono più foreste originali. Abbiamo boschi che sono opera dell'uomo nella loro attuale forma e nelle specie arboree che lo costituiscono. È pericoloso far passare il messaggio che basti lasciare il bosco così com'è per migliorare lo stato idrogeologico d'Italia. Abbiamo ereditato, volenti o nolenti, dei boschi antropizzati a scopo di sfruttamento economico ed abbiamo la responsabilità di manutenerli, con criterio, cercando di tornare gradualmente ad un rimboschimento più naturale, ma non possiamo abbandonarli a sé stessi. Per esempio, esistono grandi differenze fra boschi decidui e di conifere, il sottobosco che riesca a prolificare e a garantire il ricambio e la biodiversità. Dobbiamo differenziare di caso in caso ed adottare le strategie più adeguate, senza generalizzare. Io vivo in Sudtirolo, dove i boschi non mancano e la tendenza è addirittura alla crescita della loro superficie, forse per i cambiamenti climatici e la non corretta manutenzione delle aree aldisopra del limite arboreo, e dove il secolare rispetto del patrimonio boschivo ha permesso di mantenere un alto grado di equilibrio idrogeologico, ma anche qui esistono problemi e bisogna capire come e dove sia necessario intervenire.
tonibx, 09-12-2011 03:09
E' molto vero ciò che sta scritto qui. Ma vorrei aggiungere che le stesse banalità qui criticate vengono sempre dette anche a proposito del letto dei fiumi. Quando ci sono alluvioni molti si lamentano che i letti dei fiumi non vengono "puliti", che sono pieni di "sterpaglie"; molti pensano che bisogna liberare il passaggio all'acqua e farla scorrere più velocemente a valle, trasformando gli alvei fluviali come delle piste da bowling, fritte fino alla foce. Invece è tutto sbagliato. L'acqua va rallentata e distribuita nella superficie del bacino, con le foglie e le radici degli alberi dei boschi che sono sui versanti, e con le anse e le golene dei corsi dei fiumi a valle. Il problema è che questa mentalità sbagliata è anche nella mente di molti amministratori....
Gabriele, 09-12-2011 07:09
In questo articolo, oltre a sottolineare giustamente la funzione di difesa idrogeologica svolta dal bosco, si dicono una serie di sciocchezze notevoli. Veramente in pochi, esclusi gli "addetti ai lavori", si rendono conto che i nostri boschi non sono foreste vergini ma sono fortemente antropizzati e sono frutto dell'azione millenaria di coltivazione dell'uomo. Sottoscrivo in pieno tutto quello che dice tonibix. Abbandonare improvvisamente a se stesse foreste che sono state da sempre coltivate può avere conseguenze pericolose per la stabilità idrogeologica. Portare ad esempio chi decide di non tagliare i boschi per 50 anni è demenziale. Io non conosco la Val Onsernone, ma è molto facile intuire che la cosa più sensata che possano fare gli abitanti dell' "ultimo paese" dove finisce la stradina sterrata, è scaldarsi a legna. O vogliamo portare il metano dell'Algeria o il GPL in cima alla Val Onsernone??? Oppure vogliamo dei TIR che portano la legna da ardere di faggio della Slovenia su e giù per la valle?? Di sicuro in quei posti si scaldano a legna da millenni, non so a chi sia venuta quest'idea di non tagliare più niente, ma provate a chiedere a qualche anziano del luogo cosa ne pensa! Il paragone tra Liguria e Friuli non sta in piedi. Probabilmente l'unica cosa che hanno in comune sono le precipitazioni intense. Tipi di suolo, natura delle rocce, vegetazione, impatto antropico, lunghezza dei corsi d'acqua... tutte differenze che sconsigliano qualunque parallelismo. Non si fa alcun accenno all'abbandono delle pratiche agricole, come causa di forte instabilità dei versanti (forse perché si ritiene che oltre a smettere di tagliare si debba anche smettere di coltivare?...). Addirittura nel commento qui sopra si afferma che l'abbandono dell'agricoltura non c'entra proprio niente. La Liguria è una delle regioni dove questo abbandono è stato maggiore e non accenna ad arrestarsi. Che caso, eh?... A Gabriele dico che non si tratta di far diventare i fiumi delle piste da bowling, ma di impedire che si creino ostruzioni. Collaboro con un Consorzio di Bonifica, che cerca di fare in modo che la gente non vada sott'acqua. Dove il fiume si trova in un contesto naturale, e quindi ci sono ancora anse, golene, l'esondazione non crea problemi. Ma dove vi sono ponti e abitazioni, è necessario fare in modo che il legname trasportato dalla corrente non si accumuli e causi inondazioni. Oppure eliminiamo le infrastrutture, attraversiamo tutti col barcaiolo e costruiamo abitazioni su palafitte...
Nicola, 28-08-2012 01:28
Un plauso a colasurf anche per il classicistico sarcasmo.. Io sono invece molto inesperto, ma tendenzialmente fanatico del rispetto come virtù in generale ed in particolare per il contesto naturale in cui vivo io e il resto di aggregati cellulari grazie ai quali posso dire di essere vivente.... Chiedo dunque un consiglio almeno di orientamento, ben sapendo che da una descrizione semplice on line poco posso ottenere da voi. Ho appena rilevato, annesso ad un fabbricato, un bosco di 6ha accatastato come ceduo. Non ne conosco la storia,ma quella recente è sicuramente di sostanziale abbandono e non governo. Sono in Maremma. È leggermente scosceso verso un torrente che fa da confine con altra proprietà. Mi piacerebbe pulirlo nel modo giusto e consentito con l'obiettivo di fare il suo bene e quindi il mio, senza obiettivi di sfruttamento se non per la legna utile al mio termocamino e al mio bbq. Ho contattato forestale (che mi dice di occuparsi solo di controllo...) e la comunità montana da cui attendo valutazione sulla natura del bosco per ciò che compete loro. Qual è poi il miglior interlocutore per l'intervento di "cura" perché il bosco possa godere ed io goderne? Un boscaiolo locale?... Una azienda di lavori forestali?... Grazie. Antonio
Antonio, 12-05-2016 08:12

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