Bisfenolo A: dal 2013 in Francia imballaggi più sicuri

A partire da giugno 2011 l'Unione europea ha messo al bando i biberon in policarbonato contenenti bisfenolo A. Apripista la Francia, che ne aveva proibito la produzione già nel 2010 e che ora si prepara a dire addio al bisfenolo anche negli imballaggi per cibi e bevande.

Bisfenolo A: dal 2013 in Francia imballaggi più sicuri
Utilizzato principalmente nella produzione di materie plastiche e in particolare di policarbonato, il bisfenolo A (BPA) è finito sotto la lente dei ricercatori di tutto il mondo a partire dagli anni Trenta e da allora non ha più avuto scampo: i rischi connessi alla sua assunzione - per l'instabilità del legame chimico tra le molecole, la sostanza, contenuta in contenitori e imballaggi, si diffonde infatti facilimente nei liquidi e negli alimenti - vanno da interferenze con l’equilibrio ormonale a danni agli organi riproduttori e allo sviluppo cerebrale, fino a problemi al sistema immunitario. Una collezione di disturbi, più e meno gravi, che ha spinto, prima la Francia e altri Stati europei, poi l'intera Unione, a introdurre misure per proteggere almeno i bambini - i più vulnerabili a contrarre le potenziali patologie - dall'assunzione della sostanza. E poichè secondo l'Efsa, l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare, la maggiore fonte di pericolo è rappresentata dai biberon in policarbonato, con la direttiva 2011/8/UE si è stabilito il divieto di produzione di questi prodotti a partire da 1 marzo 2011 e il divieto di importazione e commercializzazione dal 1 giugno dello stesso anno. Una risposta solo parziale, che lascia i bambini esposti a tutta una serie di contenitori e di prodotti alimentari confezionati con policarbonato e altre sostanze plastiche contenenti PBA - dalle tazze ai coperchi dei vasetti degli omogeneizzati, per citare qualche esempio -, ancora ammessi dalla legislazione Ue. La Francia ha fatto allora un passo avanti e altri Paesi sono già pronti ad imitarla: il Senato ha infatti varato una legge che vieta l'utilizzo del bisfenolo A negli imballaggi di prodotti alimentari destinati ai bambini, fino a 3 anni di età, a partire dal 2013. Dal 2015, inoltre, il divieto sarà esteso a tutto il packaging alimentare e, in attesa dell'applicazione della nuova norma, è previsto l'obbligo di indicare in etichetta la presenza di BPA, almeno per le confezioni di prodotti rivolti a donne in gravidanza e bambini. Nella stessa direzione si stanno muovendo altri governi: in Belgio il bisfenolo sarà bandito nei prodotti per bambini fino a tre anni a partire dal prossimo anno, mentre in Austria il divieto riguarda ciucci e anelli da dentizione per bambini. Ottenere uno stesso grado di tutela al livello europeo sembra piuttosto arduo. Non solo per la difficoltà di giungere ad un accordo tra i 27, ma anche per l'influenza sulla Commissione europea e sull'Efsa delle lobby del settore. E aldilà degli interessi politici ed economici in gioco, rimangono aperte questione fondamentali. C'è, in primo luogo, il problema di individuare valide alternative al policarbonato. Se per i biberon l'Efsa si è espressa chiaramente a favore del vetro, per quanto riguarda gli imballaggi il terreno è più scivoloso: esistono decine di sostanze plastiche, ma le certezze, quanto a sicurezza per la salute, sono poche. L'industria alimentare francese ha lavorato per un anno e mezzo alla ricerca di materiali alternativi al policarbonato che non rilasciassero BPA; l'Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare ne ha riconosciuti oltre settanta; eppure sui risultati non c'è ancora accordo. Come rilevato da uno studio dell'European Commission Joint Research Centre, infatti, anche in biberon ottenuti con differenti tipi di plastica - come poliammide, polipropilene e silicone - si verifica il rilascio di bisfenolo A e, in certi casi, in misura superiore a quanto trasmesso dai contenitori in policarbonato. Più in generale, non esistono certezze circa la tossicità delle nanoparticelle, sostanze ormai presenti nei prodotti più disparati, dalla cosmetica fino all'abbigliamento. La situazione richiederebbe almeno il rispetto del principio di precauzione. E non guasterebbe un'operazione trasparenza, a partire dall'indicare la presenza di nanomateriali in etichetta.

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