Chi sono veramente i poveri in Italia?

L’Istat ha diffuso dati secodo cui in Italia ci sono 5 milioni di poveri, ma suddivisi tra "assoluti" e "relativi". Ma che vuol dire poveri relativi e assoluti? O si è poveri o non lo si è. Dividere in due categorie la povertà ha l’obiettivo comunque di catalogare più persone possibili secondo il parametro dei soldi che possono spendere.

Chi sono veramente i poveri in Italia?

La povertà relativa è sostanzialmente la non possibilità di poter spendere quello che una persona spende mediamente secondo parametri standard del tutto aleatori. Quindi se la persona che rientra nella media acquista cose superflue o spreca i suoi soldi e io non lo faccio, io rientro automaticamente nella categoria dei poveri, relativi o assoluti che siano. Immaginiamo che io autoproduca una grossa parte del cibo e dell'energia che consumo  e che lavori e guadagni quello che mi basta per sopperire al resto delle spese. Va da sé che avrò bisogno di pochi soldi per vivere, perché mi autoproduco già molto del necessario. Ma secondo l’Istat se vivo con meno di 826 euro al nord e 560 euro al sud rientro addirittura nella categoria di povertà assoluta, anche se non lo sono affatto. Andrebbe dunque ridimensionato non solo il dato dei cosiddetti poveri, ma anche il concetto stesso di povertà utilizzato quando si confeziona questo tipo di statistiche.

Ci sono sempre più persone che scelgono di vivere fuori dalle città in paesi medio piccoli e meno costosi,  che scelgono di condividere, lavorare meno, guadagnare meno, spendere meno, non sprecare e vivere più sobriamente perché hanno deciso che stare dentro la ruota del criceto per comprare quello che dice la pubblicità è una grande balla non più credibile. E magari hanno anche valutato che rimanere in città infernali, dove è difficile fare autoproduzione e i costi sono altissimi, non è l’idea migliore.  Proprio queste persone, solo per le loro scelte di sobrietà e intelligenza, sono entrate nelle famose soglie di povertà senza assolutamente esservi realmente. E’ evidente che guardare solo alle spese che sostiene un individuo non può essere un parametro attendibile, da nessun punto di vista. Anche perché gli sprechi di una famiglia media italiana sono elevati; quindi, già riducendo quelli, ci si avvicina alla cosiddetta soglia fittizia di povertà.

I dati dell’Istat sulla povertà sono probabilmente inattendibili e forse i “poveri” sono anche leggermente aumentati dallo scorso anno perché magari più gente autoproduce, ha smesso di lavorare a tempo pieno per ritrovarsi alla pensione e chiedersi che cavolo ha fatto nella vita, e quindi ha scelto di lavorare part time e vive dignitosamente lo stesso; eppure, secondo i parametri, è automaticamente povero.

Ci sono ormai moltissimi progetti di vita e organizzazioni diverse: cohousing, ecovillaggi, comunità intenzionali, sostegno reciproco, scambio di beni e servizi non in denaro, progetti dove le persone scelgono di condividere alcune spese, vivere senza sprechi e dandosi una mano. Automaticamente, riducendo le spese ovvero gli sprechi, possono permettersi di lavorare meno. Per l’Istat tutte le persone che fanno scelte simili, scelte e non rinunce, sono in povertà relativa o assoluta. Va da sé che mettere queste persone nel calderone della povertà non ha senso alcuno. Se infatti si ragiona su parametri e valori ben diversi da quelli esclusivamente monetari, ci si imbatterà in persone come David Bonanni  che vive con poche centinaia di euro al mese e non è affatto povero e nemmeno misero; ha semplicemente scelto di fare una vita diversa dal rincorrere la crescita del PIL. E secondo i dati ISTAT Bonanni cosa sarebbe? Al di sotto pure della povertà assoluta? Cioè un indigente? Andatelo a trovare e vedrete se le cose stanno come vorrebbe l’Istat. Allora, sarebbe un povero assoluto anche Simone Perotti, che mediamente vive con spese mensili fra i sette e gli ottocento euro? Per chi lo conosce si può dire tutto tranne che sia persona che fa la fame o che gira l’Italia con un saio, a piedi nudi e chiedendo l’elemosina. Semplicemente sono anche loro fra le tante persone che non corrono più dentro la ruota del criceto e pensano che lo scopo della vita non si basi sull’acquisto compulsivo ma su tanti altri valori e relazioni non mediate dai soldi.

Inoltre quello che ci dovrebbe spiegare l’Istat è se i dati della presunta povertà facciano riferimento anche ai redditi delle persone. Vengono per caso calcolate pure le persone che dichiarano redditi zero o ridicoli anche se hanno una gioielleria o la Ferrari in giardino? E di gente del genere l’Italia è molto fornita. Anche questi personaggi sono catalogati come poveri assoluti o relativi? Perché se fosse così, allora la fotografia sarebbe ben diversa.

Sgombriamo il campo dagli equivoci o dalle possibili speculazioni e farneticazioni di chi pensa o urla che mezza Italia fa la fila alla Caritas: la miseria (che è cosa ben diversa dalla povertà) in Italia esiste ed è un fattore sul quale assolutamente intervenire per dare mezzi e aiuto a chi è in condizioni difficili. Qui non si sta dicendo che persone in difficoltà in Italia non ci siano, così come avviene in qualsiasi paese a capitalismo avanzato che esclude quelli che non riescono ad aumentare costantemente il livello di giri della ruota da criceti. Ce ne sono eccome, ma spesso sono vittime della logica per la quale "esisti se guadagni e consumi senza porti alcuna domanda". E se improvvisamente non mantieni più il ritmo o hai qualche rovescio e comunque rimani dentro alla società dell’individualismo sfrenato, da quella stessa società sarai posto ai margini fino alle estreme conseguenze. Ad oggi scegliere di vivere e supportare un sistema dove i soldi sono tutto, è il miglior modo per cadere in miseria a causa di qualche sfortuna, anche perché chi utilizza gli altri, in caso di disgrazia o in vecchiaia, si trova probabilmente da solo ed ecco spiegati i casi di manager o gente ricca che a causa di rovesci si sono ritrovati per davvero a fare la fila alla Caritas. Una società che non è solidale, dove la comunità è distrutta,  nelle città formicaio, povertà o miseria sono molto più probabili. Laddove la comunità è forte e si sostiene, dove le persone non hanno bisogno di guadagnare chissà cosa, ricevono gratificazione, supporto e beni materiali in maniera più semplice e forte che non nella società delle vetrine.

Altro elemento fuorviante è quello dell’Istat che pensa alla vita dignitosa o “standard di vita minimamente accettabile” in base a quello che ci si può comprare. Io allargherei il discorso della dignità e ci metterei anche parametri diversi. Cosa significa davvero fare una vita dignitosa? E’ dignitosa la vita di chi si ammazza di lavoro trascurando il compagno o la compagna e i figli, per poi comprare le stupidaggini che impone la pubblicità? E’ dignitosa la vita di chi lavora in posti che affamano e mandano in miseria altra gente? E’ dignitosa la vita di chi inquina l’ambiente? E’ dignitosa la vita di chi pensa solo a fregare il prossimo e fare carriera sgomitando e facendo le scarpe a tutti? Avranno magari soldi queste persone per non rientrare nella falsa categoria dei poveri, ma non fanno una vita dignitosa e hanno una miseria altrettanto terribile di quella materiale, cioè quella dell’animo.

Ma chi è veramente povero? Come disse l’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica  citando Seneca  “Povero è colui che ha bisogno di tanto”.

Se ho poco ma per me quel poco basta, non sono povero, a prescindere da quello che dice l’Istat.

 

 

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