"Figli della libertà", per una riflessione sull'educazione

Il 7 marzo prossimo esce in 38 città italiane il film "Figli della Libertà". Gli autori e i protagonisti sono Anna, Lucio e Gaia Basadonne, gli stessi di "Unlearning", film pluripremiato e uscito in oltre cento sale nel 2015.

"Figli della Libertà" è un film profondamente onesto, in cui non troveremo soluzioni impacchettate da applicare,  convinzioni assodate da trasmettere o teoremi da dimostrare. E' la storia lunga un anno di una famiglia che si fa domande, che esprime i dubbi e le difficoltà di chiunque si ponga seriamente e autenticamente il problema dell'istruzione dei propri figli. E' la storia di una famiglia che vuole confrontarsi con altre famiglie: con altri papà, altre mamme, altri bambini e altri insegnanti. Normalmente la scuola come la conosciamo è difficilmente messa in discussione: dagli insegnanti ai metodi e agli approcci di riferimento applicati; dagli ambienti ai tempi dei bambini che quasi mai vengono rispettati, dai loro bisogni essenziali quasi sempre ignorati ai loro reali talenti e interessi. Che i bambini non vadano volentieri a scuola è quasi un topos letterario, una sorta di stereotipo, un'ovvietà che genera da sempre un occhio e un sorriso tra l'indulgente e il divertito, che propone storie, leggende, barzellette e storielle a non finire. Senza mai, però, una riflessione attenta, approfondita, onesta sulle cause delle tante difficoltà incontrate dai nostri figli. E le classi si affollano ogni anno di più di bambini compressi, stressati e profondamente inascoltati. Di bambini che, se non rientrano nei ranghi fissati e decisi, saranno qualificati come malati di scarsa attenzione, come affetti dalla malattia del troppo movimento, come soggetti problematici, difficili, ingestibili, da rinviare a psicologi ed esperti formatissimi e preparatissimi a classificare e ad etichettare. 

Moltissimi di noi non lo immaginano neppure ma esistono genitori che hanno deciso, pur imperfettamente, pur senza guide precise o troppe teorie di riferimento, pur sapendo di non avere la verità in tasca, di affrontare il problema con serietà, coraggio e determinazione, convinti che sia possibile costruire un'alternativa. O molte alternative diverse alla scuola così come ci viene proposta.

Il film racconta un anno di vita di una famiglia che si interroga e che si muove, alla ricerca di risposte, in Italia e in Europa per confrontarsi su questo tema. Anna e Lucio incontrano esperti di pedagogia libertaria, psicologi, homeschooler, insegnanti, pediatri, adulti cresciuti senza aver frequentato la scuola, bambini homeschooler felici e altri che invece a scuola ci vogliono andare. Ma che tipo di scuola? Che tipo di istruzione? Con quali modalità, tempi, obiettivi? E proporre scuole alternative, scuoline, homeschooling, unschooling e altre forme di istruzione, funziona alla lunga? I bambini imparano? E poi come faranno a inserirsi in una società che basa tutta la sua sruttura su giudizi, continue verifiche e classificazioni, sulla competizione invece che la cooperazione? Come faranno in una società che non tiene troppo conto delle singole e peculiari capacità, tempi e talenti di ciascuno ma che appiattisce tutti verso un unico obiettivo?

Anna e Lucio partono per questa avventura con Gaia, la loro bambina che, in prima linea, lascia la scuola e inizia a frequentare una “scuolina”, come la chiamano i ragazzi. Un progetto messo insieme da un gruppo di genitori, un luogo aperto all'ascolto e al rispetto dei tempi e degli interessi di ciascuno, dove i bambini sono protagonisti dei processi decisionali che li riguardano. Inoltre, niente voti, niente compiti a casa, niente banchi.

Il film mostra una realtà senza edulcoranti o filtri, guardata senza pregiudizi, con le sue inevitabili molteplicità e contraddizioni, con i dubbi e le incertezze che accompagnano questa scelta fortissima e spesso ostacolata o totalmente incompresa da chi ci è vicino, amici e familiari in primis.

Ma qual è davvero la soluzione? Davvero ha senso che ciascuno costruisca la propria scuolina indipendente e personalizzata? Davvero può avere un significato distaccarsi dalla scuola tradizionale che invece avrebbe bisogno del fondamentale contributo di tutti e dall'interno per trasformarsi profondamente? E per tutti, non solo per pochi, figli di libertà di pensiero, consapevolezza e sensibilità?

La scuola, in realtà, così com'è concepita anche nelle sue modalità e tempi è profondamente legata alla società in cui è inserita di mamme e papà che hanno anche bisogno di “parcheggi” e tempi liberi dai loro figli per poter lavorare. E' possibile una scelta di homeschooling o di pedagogia alternativa per genitori che lavorano tutta la giornata? E' possibile immaginare di modificare un aspetto della società come quello della scuola senza essere preparati a farsi domande precise anche sull'impostazione stessa delle nostre abitudini e di quelle che crediamo necessità?

Per tutto il film incombe l'appuntamento con l'esame di fine anno. Il confronto con “il mondo reale” come se il mondo dell'unschooling, dell'homeschooling e dell'istruzione alternativa in genere non fossero che un mondo ancora solo immaginario, ideale. Si tratta di una contraddizione? Se si è deciso di togliersi dal vecchio sistema come mai si percorrono strade diverse sempre con un occhio fisso a quegli obiettivi che si vogliono mettere in discussione?

Anna e Lucio riflettono, si muovono, agiscono, hanno paura di sbagliare, cercano una strada, si pongono come osservatori e mai come coloro che hanno trovato tutte le risposte.  Non sembra esserci una soluzione pronta per tutti e giusta per ogni bambino e per ogni famiglia. Il film è una luce su una realtà ancora poco conosciuta e sarà spunto di una riflessione sempre più urgente per molte famiglie e insegnanti che vogliono capire.

Condividiamo alcune riflessioni con gli autori

La questione della valutazione del bambino è presente dall'inizio alla fine del film con l'”esame” che Gaia dovrà sostenere. Come mai si tentano nuove modalità restando legati al vecchio sistema? Nel film, Erika Di Martino accenna a questo problema che, però, non viene approfondito. Non si tratta di una contraddizione?

Valutare l’apprendimento di un bambino è corretto?  Questo è uno dei punti centrali del documentario. L'esame di idoneità e lo studio a memoria delle tabelline diventano  un filo narrativo per ricordarci di questa domanda. Non vogliamo dare un giudizio alla cosa. C'è chi pensa, come Erika, che non abbia senso chiedere il parere  a chi parla un'altra lingua (il sistema scolastico) e chi che invece crede che il "sistema" debba riconoscere le differenze. Chi ha ragione? Chi ha torto? Abbiamo cercato di mettere sul piatto i diversi punti di vista, cercando di stimolare nello spettatore una riflessione. A chi serve dare un voto? E’ necessario  valutare un bambino sulla base di su un unico parametro?

Nel film si ha a volte l'impressione che non sempre chi si occupa di homeschooling sia preparato o sufficientemente convinto. Sembra ci sia a volte un disorientamento, una necessità di punti di riferimento. E alcuni degli studiosi intervistati parlano in modo convincente di teorie che poi sono difficili da mettere in pratica. Avete avuto la stessa impressione durante i vostri incontri?

Non ci è mai parso di vedere homeschooler impreparati o, meglio, forse abbiamo incontrato homeschooler impreparati come anche scolarizzati impreparati.  Chi stabilisce qual è la giusta preparazione o maturità di un bambino? Un test? Il colpo d’occhio? Per capirlo nella nostra ricerca abbiamo ascoltato il parere di molti esperti: pedagosisti, docenti universitari di scienze della Formazione, pediatri e molti altri. Ti possiamo dire che quasi tutti gli "studiosi" del film hanno anche progetti pratici: penso a Paolo Mottana e il lavoro sulla "scuola diffusa", il manifesto per "una Scuola" di Monica Guerra e Francesca Antonacci, la Scuola Maiuetica di Daniele Novara, Paolo Sarti impegnato come pediatra e nella vita sociale della sua città. E, se anche fosse, servono anche i teorici per mettere in discussione le cose.

Quali sono i punti deboli dell'homeschooling e dell'unschooling, secondo voi?

L'homescohooling e l'unschooling  sono fantastici se l'orizzonte del bambino è il mondo, e non quattro mura e un posto assegnato da un adulto.  Il punto debole è intendere  l'homeschooling e l'unschooling solo come educazione in casa,  con lezioni frontali fatte dalla mamma con il grembiule e la pentola sul fuoco. Ma se "il mondo è la mia scuola"  è tutto ok.

Avete mai avuto la sensazione che questa sorta di "esperimento" fosse fatto a scapito, diciamo così, di Gaia, considerata la vostra non totale e profonda convinzione di questa modalità?

Tutto è sempre a scapito del bambino se non lo si ascolta.  Svegliare un bambino prestissimo al mattino e  mandarlo a scuola per forza perchè "si fa così" non è a scapito del bambino? Obbligarlo a stare seduto per molte ore per imparare e poi fare i compiti nel suo tempo libero mentre vorrebbe riposarsi  o giocare non è a scapito del bambino?  Stranamente quando si fa qualcosa fuori dalla "zona comfort" tutto diventa a scapito perchè non si è più tutelati dal "pensiero comune".  Queste sono state le considerazioni che hanno tracciato un sentiero nella nostra ricerca.  Come dice Emily Mignanelli, educatrice e viaggiatrice, per fare delle scelte consapevoli ci vogliono delle teorie di riferimento ed è necessario confrontarsi . E  noi lo abbiamo fatto incessantemente e con amore per tutto il tempo. E non a scapito di nostra figli ma con nostra figlia. E  se guardiamo fuori dai confini Italiani, in Europa molte “sperimentazioni” simili alla nostra sono una scelta per le famiglie.  E questa conoscenza l'abbiamo documentata per chi avesse incontrato i nostri dubbi nella scelta educativa dei propri figli.

Sulla responsabilità ai bambini: non si rischia di scaricare un peso eccessivo su di loro facendogli prendere decisioni che non sempre sono in grado di valutare?

L'educazione è questo, direi: sintonizzarsi fra le esigenze del bambino e le sue risorse e mantenere l'equilibrio.   Ne parla Daniele Novara nel documentario e lui, da pedagogista ci ricorda chi è un bambino e quali sono i confini di decisione entro i quali è giusto che un genitore lo accompagni. Fra il trattare il bambino come un cagnolino e dirgli "fai quello che vuoi, sei libero" forse c'è la giusta strada.

Che cosa volete dire con questo film?

Noi mettiamo in immagini la nostra ricerca, cercando di sospendere il giudizio. Ma forse nella scena finale sull'albero c'è quello che volevamo dire. Andate al cinema a scoprirlo.

Quale vi sembra, effettivamente, la strada migliore, al momento da percorrere, tra quelle con cui siete venuti a contatto: dalle scuoline alle scuole libertarie, dall'unschooling a realtà come Summerhill?

Quella dell'equilibrio familiare e di una scelta che sia una scelta e non un “fanno tutti cosi”.

Nel film si avverte una sorta di “tristezza” e come una mancanza di scrittura. E' voluta questa sorta di “disagio” e disorientamento che sente lo spettatore? E' voluto, inoltre, un montaggio fatto quasi come di pezzi di puzzle non combacianti?

Più che di tristezza ci piace parlare di malinconia (Io, Lucio, ho passato gli anni '90 ad ascoltare Gothic metal e questo ha il suo peso). Crediamo sia un fim agrodolce perchè così è la vita quando metti in discussione le cose. Insieme allo sceneggiatore Michele Vaccari e con l'aiuto di Alex Corlazzoli abbiamo visto ore di immagini e ricostruito la storia mille volte; si è lavorato perché si avvertisse mancanza di scrittura, come se si "imparasse da ciò che succede" ovvero l' educazione incidentale di cui parla il film.
Sarebbe stato molto meno sbattimento montare un documentario classico. Mettere una bella voce fuori campo che unisce tutto e che spiega cosa sta succedendo. Che ne so, una bella alba, immagini dei bambini e la voce che fa"Ora i bambini sono in cerchio e stanno decidendo le regole della scuola. Questo sviluppa la loro autonomia e la capacità di prendere decisioni insieme, come comunità educante." Poi Andrè Stern che parla di autonomia, una musica motivazionale di piano di quelle emozionali, poi una bella immagine di bambini che saltano in controluce verso il tramonto. Ecco non ci interessava fare un lavoro così. Ci fa venire l'orticaria questo tipo di narrazione.

Che cosa significa per voi la parola "libertà"?

Ti rispondiamo con una citazione della pedagogista, maestra, scienziata italiana conosciuta e apprezzata in tutto il Mondo:  Maria Montessori.  Un pensiero che abbiamo fatto nostro:  “La libertà del bambino deve avere come limite l’interesse collettivo e come forma ciò che noi chiamiamo educazione delle maniere e degli atti. Dobbiamo quindi impedire al fanciullo tutto quanto può offendere o nuocere agli altri o quanto ha significato di atto indecoroso o sgarbato. Ma tutto il resto, ogni manifestazione avente uno scopo utile, qualunque essa sia e sotto qualsiasi forma esplicata, deve essergli non solo permessa, ma deve venire osservata dal maestro”.   Ecco il punto essenziale.

Per vedere il film o per saperne di più QUI

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