L'ultima guerra?

E’ dai tempi della guerra in Cecenia e della guerra in Jugoslavia che sono cominciate ad arrivare notizie su mercenari “islamici” addestrati in Turchia, Arabia Saudita e stati del golfo. Cioè in alcuni tra gli stati più fedelmente e strettamente alleati dell’Impero Euronordamericano. Gli “amici” di allora diventano i nemici di oggi, in un giochetto perverso che costa vite umane ma alimenta due grosse “industrie”: quella della guerra e quella della paura.

L'ultima guerra?

E del resto, uno dei compiti che si attribuiscono anche ufficialmente le multinazionali della guerra mercenaria, tipo Blackwater (ma sono ormai centinaia le autonominatesi “compagnie di sicurezza”, sorte soprattutto all’inizio di questo millennio), è proprio quello di addestrare milizie ed eserciti alleati dei loro padroni.

Non per niente, durante la guerra contro la Libia l’esercito libico catturò “consiglieri militari” anglosassoni e simili: evidentemente, l’addestramento non era ancora completo ed era necessaria la presenza sul campo degli addestratori.

Questa gente ha avuto la funzione di cecchini, attentatori, milizie di tagliagole prezzolati per seminare morte e terrore tra i nemici degli interessi economici e politici occidentali.

Adesso abbiamo l’ISIS, siamo passati a uno stadio più avanzato della terza guerra mondiale.

E’ forse un caso che, dopo che il Papa ha lanciato il suo accorato appello contro la guerra, parlando in maniera esplicita di “pianificatori del terrore, organizzatori dello scontro…” e dicendo altrettanto esplicitamente che “dietro le quinte ci sono interessi economici, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere…”, l’ambasciatore iracheno (rappresentante di un governo fantoccio e che quindi parla a nome di chi e per conto di chi?) abbia dichiarato che l’ISIS intende uccidere il Papa?

Se fosse vero che le Torri Gemelle sono state abbattute dallo stesso governo USA, dai “pianificatori del terrore”, per scioccare l’opinione pubblica e poter iniziare la Grande Guerra al (del) Terrore su scala globale (ammesso che si possa chiamare ancora “governo” un insieme di poteri oscuri senza più controllo, senza più scopi razionali, senza alcun tipo di remora né riguardo nemmeno nei confronti del proprio stesso popolo e paese, e quindi senza più un popolo né una terra da rappresentare), allora l’ISIS e la sua guerra sporca sarebbero il secondo stadio di quella cominciata l’11 settembre.

I cosiddetti “fondamentalisti islamici” e/o Al Quaeda non sono altro che la versione musulmana di Settore Destro in Ucraina, delle SS, dei falangisti spagnoli, delle Camicie Nere italiane, degli ustascia. Che del resto erano in massima parte “fondamentalisti cristiani”.

I loro obiettivi sono gli stessi: la distruzione di qualsiasi tipo di stato sociale, l’abbattimento cruento di qualsiasi governo o partito che promuova uno stato sociale e che cerchi di sottrarre il proprio paese alle grinfie oggi delle multinazionali, sempre del grande capitale; la distruzione di qualsiasi tipo di democrazia e partecipazione popolare; l’umiliazione e la subordinazione delle donne.

Gli stessi sono i metodi: una ferocia illimitata, una violenza che si scatena indiscriminatamente verso militari e civili, esecuzioni di massa, torture, efferatezze, sgozzamenti, il terrore che imperversa tra le popolazioni attaccate e che demoralizza gli eserciti e i combattenti avversari.

Se cominciassimo a chiamarli “fascisti islamici” o semplicemente fascisti, dato che l’islam non ha a che fare con loro più di quanto il cristianesimo avesse a che fare con i nazisti, forse faremmo un po’ più di chiarezza.

“… fino a poco fa i ribelli dello Stato Islamico, conosciuti ufficialmente come Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, venivano esaltati come “l’opposizione che combatteva per la libertà” impegnata a “restaurare la democrazia” e abbattere il governo laico di Bashar al Assad…” (M. Chossudovski – Global Research)

L’ISIS e i vari gruppi di mercenari islamici sono un grande strumento dell’Impero, non solo perché sono serviti in Libia e stanno servendo in Siria a distruggere quelli che erano gli ultimi stati sociali e laici arabi, e ricordiamoci che “stato sociale” vuol dire lasciare a bocca asciutta le multinazionali rifiutando di privatizzare energia, acqua, grandi aziende statali, servizi pubblici, ma perché è il pretesto per conquistare, occupare e sottomettere tutta quell’area geografica, compreso un Iraq ancora troppo turbolento, nonostante i milioni di morti provocati dalla guerra USA.

Chi si rifiuterà di partecipare alla crociata contro un esercito di sgozzatori e stragisti? Vestiti di nero da capo a piedi in una sorta di divisa, col volto coperto (e al buio tutti i gatti sono bigi), super armati, super equipaggiati, efficienti e organizzati: esattamente come un esercito di professionisti.

Chi avrà l’ardire di opporsi alla crociata contro una tale armata di tagliagole, che minaccia di espandersi come una marea e di colpire anche l’Europa? O almeno così si dice.

Creare il mostro per poter distruggere, apparentemente, il mostro stesso ma in realtà chi ad esso si oppone.

Un giornalista del Corriere, Lorenzo Cremonesi, ha intervistato telefonicamente il responsabile dell’ISIS per i rapporti con i cristiani, Haji Othman, e ad un certo punto gli domanda: “Però l’aviazione americana vi sta bombardando a suo piacimento. Non costituisce un problema?”, e questa è la risposta (cito dall’intervista): “Ma dai! Cosa stai a dire?” replica scoppiando in una risata…

Sembrerebbe una risata proprio spontanea: riderà dell’opinione pubblica occidentale?

Poi si riprende e dice qualche frase del tipo “Dio stramaledica gli americani”. Evidentemente la verità gli sembra così palese, che considera inutile fingere con impegno.

Chi ci sarà a controllare che i bombardamenti colpiscano le “armate nere” o non colpiscano piuttosto l’esercito siriano o la resistenza irachena? I giornalisti? Gli operatori umanitari? Se ce ne sarà qualcuno, dovrà avere molta fortuna e l’ISIS e l’Impero ce lo hanno già fatto vedere.

Se potesse esserci dell’ironia in una strategia di morte e sofferenza, oppressione e orrore, starebbe nel fatto che tutto ciò avviene mentre un’altra guerra, la guerra al pianeta, sta avendo un grande successo.

L’aumento dell’anidride carbonica in atmosfera supera le peggiori previsioni, tanto che gli scienziati sospettano che stia diminuendo la capacità della Terra di assorbirla. Ma possiamo andare più in là dei sospetti: la deforestazione va avanti di gran carriera, gli oceani sono ormai avvelenati, si cerca il petrolio in fondo ai mari e le prospezioni petrolifere creano ulteriore inquinamento, la pesca industriale ha desertificato aree oceaniche grandi come continenti, mentre continenti di melma plastica ci galleggiano sopra e ne coprono i fondali; i rifiuti tossici si spandono sulle terre fertili e nei mari.

E il capitale globale accelera la propria corsa per la conquista del mondo.

“Cosa facciamo stasera, prof?”

“Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo, andiamo alla conquista del mondo!”

Non si tratta di problemi diversi e distinti. Sono le stesse cause che producono ambedue queste guerre. La nostra plastica, il nostro petrolio.

Sono cause profonde, una rete di cause nella quale siamo tutti invischiati. L’indifferenza, la competitività, la spietatezza, l’irresponsabilità, l’ignoranza delle conseguenze sono ormai il pane quotidiano di cui si nutre una buona parte dell’umanità.

Contro la guerra all’Iraq ci fu una mobilitazione mondiale senza precedenti, decine di milioni di persone scesero in piazza in tutto il mondo.

Nello stesso periodo erano di moda i SUV, si vendettero decine di milioni di SUV in tutto il mondo ma, ovviamente , soprattutto nel mondo ricco, in occidente e satelliti limitrofi.

Allora ci domandammo perché una mobilitazione così grande non ottenne risultati proporzionati.

Eppure molte persone che erano contro la guerra comprarono quelle automobili, aumentarono a dismisura i consumi di petrolio. Arricchirono e rafforzarono quei potentati economici che avevano bisogno della guerra.

Una riflessione, un dibattito, una strategia che voglia porre fine alla guerra e all’ingiustizia non può prescindere da una riflessione, un dibattito, un’azione più vasta per mettere in discussione radicalmente tutta l’economia, l’organizzazione sociale, la cultura umana oggi dominante. La nostra cultura, la nostra vita. Pena la sconfitta di ogni lotta, la sterilità di ogni sforzo, per quanto generoso.

 

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