Sparita la ricerca pubblica sulla nutrizione: in nome di quali interessi?

“Ancora non mi capacito; in questo paese si dice di voler promuovere il Made in Italy poi si è arrivati a sopprimere l’Inran. Una follia”. L’ex presidente dell’ente nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione non ha ancora digerito la criticatissima soppressione dell’ente per fusione con il Cra e, dopo aver trascorso quasi un anno a cercare di comprendere le logiche di quelle manovre, ha accettato di parlare e si è tolto molti sassolini dalle scarpe.

Sparita la ricerca pubblica sulla nutrizione: in nome di quali interessi?

Era il marzo del 2013 quando l’Inran, l’ente che faceva ricerca su alimentazione e nutrizione in Italia, è stato soppresso per incorporazione con un ente agricolo, il Cra, con cui nulla aveva a che fare ma che ha fatto pendere di molto la bilancia verso il mondo dell’industria e del biotech.
Quella decisione fu criticatissima; il governo l’annunciava come una misura necessaria di contenimento dei costi, ma molti avevano sentito la classica “puzza di bruciato”; addirittura esperti del settore e giornalisti si erano fatti promotori di una raccolta di firme, poi completamente ignorata. Oggi, a un anno di distanza da quelle manovre che restano inspiegabili se non accettando la tesi di chi ci vede il desiderio di avvicinamento all’industria agroalimentare e agli interessi che le gravitano intorno, si pronuncia l’ex presidente dell’Inran, il professor Mario Colombo.
«L'Inran era un ente di ricerca all’avanguardia e sarebbe stato l’unico a livello europeo; al momento della sua costituzione c’era stata molta lungimiranza - spiega Colombo - Ancora oggi non mi capacito; come si fa a dire di voler promuovere il Made in Italy alimentare o la dieta mediterranea se poi si abolisce un ente come l’Inran. Una follia! Di sicuro si dovevano rivedere gli schemi organizzativi, i pesi delle varie componenti, i filoni di ricerca soprattutto per favorire le sinergie, ma da qui a sopprimerlo ce ne passa. Peraltro già prima della soppressione si era verificata la fusione con altri due enti che nulla avevano da spartire fra loro, fusione che aveva determinato solo problemi».
L'Inran era un ente pubblico che si occupava di alimentazione e nutrizione in funzione della salute. Il Cra è sempre parso invece declinato diversamente, si parla di "industria" alimentare, di tecnologie, di biotech, di tecnologie agricole (sugli ogm il Cra ha sempre sostenuto che la ricerca deve andare avanti!). Ora dall’incorporazione è nato il Cra-Nut, un ibrido che non piace a Colombo, perché non garantirebbe continuità all'operato dell'ente.
E sul possibile conflitto di interesse e sui rapporti con le industrie Colombo è chiaro: «Devono essere ambiti distinti, nettamente distinti. Se la ricerca viene privata della propria indipendenza e autonomia, non è più ricerca. Le idee devono essere libere per potere produrre la crescita reale del genere umano». E ancora: «Vincolare la ricerca all’industria significa servire un interesse e inficiare all’ombra di valori economici il futuro dell’uomo. Non dovrebbe essere così». Colombo aggiunge anche che mettere a disposizione le acquisizioni scientifiche è un dovere e può dare risultati e ricadute importanti, ma bisogna vedere come vengono gestiti i contatti con l'industria.
Le incompatibilità ci sono anche a livello di scopi: il Cra si occupa principalmente dell'aspetto produttivo degli alimenti invece che di alimentazione come forma di prevenzione, cosa che invece faceva l’Inran. «Scopi opposti - afferma Colombo - tuttavia non sta a me giudicare se questo cambiamento di obiettivi risponde a una modernizzazione dell’ente; di sicuro non è quanto faceva prima l'Inran. Il Cra è una cosa, l'Inran un’altra. Non capisco perché siano stati accorpati. Se il motivo prioritario era quello di sanare i bilanci in rosso, sarebbe stato sufficiente che il ministero delle politiche agricole avesse finanziato le proposte progettuali a suo tempo presentate dai ricercatori. Ma ancor prima, sarebbe stato sufficiente che i ministri avessero delineato le linee strategiche per formulare le proposte di ricerca. A quanto mi risulta, nessuno dei tre ministri succedutisi in pochi mesi, ha mai, dico mai, inviato uno straccio di proposta o di linea strategica per il made in Italy, per il settore agricolo o alimentare. Si capisce lo stato d’animo dei ricercatori!».
E adesso? «Non so cosa stia facendo l'Inran ora; certo, la profonda crisi dei due-tre anni precedenti all’accorpamento al Cra ha pesato enormemente, causando la perdita di una parte di personale già ricco di competenze. Si trattava soprattutto di giovani e precari, cioè di coloro che potevano rappresentare il futuro di Inran. Al di là degli effetti organizzativi derivati dall’accorpamento, ritengo che il valore di certi enti stia anche nel nome che hanno, un preciso acronimo che permette ai ricercatori e operatori di tutto il mondo di sapere cosa sta dietro ad essi. Non a caso le industrie, pur cambiando proprietà mantengono, sempre il vecchio nome. L’Inran doveva restare quello che era, la sola sigla era una certezza, una garanzia, un riferimento. Perderla, insieme a tutto il sistema di ricerca, è stato molto di più che un errore. Direi una gravissima leggerezza in nome di non so quale motivo».



 

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