L'etica in cucina migliora la vita

Nell'autunno del 2013 Paolo Petralia e sua moglie Alessandra Pezzuolo aprono il "So What" a Roma, ristorante vegan dove la scelta che si fa è di vita ed etica. Ma «tutti sono benvenuti, non si sbandierano le proprie convinzioni, non si vuole imporre niente a nessuno. Si mangia e si sta insieme con gioia”.

L'etica in cucina migliora la vita

Nell'autunno del 2013 Paolo Petralia e sua moglie Alessandra Pezzuolo aprono il "So What?!?" a Roma, ristorante vegan in zona Pigneto. La loro storia è fatta di musica Punk Hardcore e di attivismo fin dai primi anni '90, quando di cultura vegetariana e vegana si sapeva ancora molto poco e scegliere un'alimentazione alternativa era qualcosa di molto lontano dalle tendenze di oggi. Paolo e Alessandra sono stati i primi ad avere un sito di ricette vegan, Vegan Riot, hanno tenuto decine di eventi e corsi di cucina in tutta Italia e hanno pubblicato un libro: La rivoluzione bolle in pentola - Ricette Vegan per cuochi ribelli. “L'obiettivo principale del nostro ristorante – dice Paolo – è servire buon cibo in una location informale, niente di più, niente di meno. Niente Buddha, niente Zen, niente filosofia. Si mangia e si gode di ciò che si mangia”. Entrare al So What!?! è un'esperienza per tutti. Tutti sono benvenuti, non si sbandierano le proprie convinzioni, non si vuole imporre niente a nessuno. Si condivide, semplicemente, della buona cucina etica e con materie prime selezionate e ingredienti quasi sempre biologici anche se questo non viene poi menzionato nel menu.
Incontriamo Paolo, che ci racconta la sua esperienza.

Come e dove vi siete conosciuti tu e Alessandra?

Ci siamo conosciuti attraverso amicizie comuni quasi 20 anni fa oramai. Facevamo entrambi parte del magnifico mondo del punk-hardcore locale che,  per qualche fortuito assestamento dell’asse terreste e di volontà celesti non meglio identificate, ci ha messo assieme dentro una macchina da Roma a Modena. Lei andava a suonare con il suo gruppo mentre io mi ero infilato in macchina per scroccare un passaggio dal mio tatuatore di fiducia dell’epoca. Arrivammo particolarmente tardi, non mi tatuai,  ma a qualcosa il viaggio è servito comunque.

Quando è nato il progetto So What? E cosa facevate prima?

Il So What !?! apre nel novembre 2013, dopo 6 mesi di lavori. I lavori sono anche iniziati dopo un anno e mezzo di ricerche di un posto papabile e diverse trattative naufragate.  Almeno tre se non sbaglio. Io ho cucinato diversi anni per diversi ristoranti vegetariani del settore e mi sono occupato di musica per 20 anni, alcuni anche sovrapposti all’impegno nelle cucine altrui. Avrei anche continuato ad occuparmi di musica ma in realtà l’attività della ristorazione da imprenditore è particolarmente complicata. Alessandra ha studiato più di me, lavorato per l’azienda del padre che si occupa di termoidraulica. Tuttora ci lavora oltre a seguire il ristorante, a continuare  a studiare e prestare volontariato.

Quando siete diventati vegani?

A 16 anni ho iniziato ad abbracciare una dietra vegetariana e a 22 circa ero vegan. A breve avrò 45 anni. Alessandra l’ho conosciuta vegetariana ed essendo lei una persona che non tiene conto delle date, suppongo sia vegan da una decina d’anni o poco più.

Perché avete scelto il Pigneto?

E’ capitato. Avevamo cercato un posto nel quadrante sud-est di Roma. Due situazioni papabili a San Giovanni erano naufragate, una terza al Pigneto stesso, una quarta in zona Prenestina. Un nostro amico, architetto, lavorava per quello che poi diventò  il nostro padrone delle mura e ci chiamò. Il So What ?! era una carrozzeria, chiusa da 3 anni con tanto di sigilli e macchine abbandonate al suo interno. Tutto il resto è storia, certo una storia piccina picciò, ma va bene così: fondamentalmente volevo solo cucinare, mica scrivere la storia.

Che cos'era la SOA Records e perché non esiste più?

E’ stata la mia etichetta musicale principale che ho portato avanti per una ventina d’anni, tra alti e bassi a seconda dell’umore. Piccola ma vitale, oltre 100 uscire all’attivo, altre 20 con la sua sussidiaria Oi! Strike. Parliamo di punk e derivati minori quindi niente che avete potuto vedere al Festivalbar, buon per voi.

Cosa vi manca di quel periodo?

Non sono un eccelso pensatore quindi fondamentalmente non rimugino tanto sul momento. Sono sicuramente attaccato alle note, alle sensazioni, alla vitalità del periodo ma non mi manca nulla. Probabilmente fare altro al momento ha ristabilito anche un certo piacere nell’accumulare nuovamente dischi o nell’andare a vedere o suonare ad un concerto, cose che magari per un po’ ho digerito male e controvoglia.

Cos'hanno in comune il punk e il vegan?

Il punk ha in comune niente e tutto con il resto del mondo non punk. Nel senso che ha avuto davvero talmente tante sfaccettature, connotazioni, microcorrenti che non mi stupisco di nulla. Comprendo che chi pensa al punk in termini di Sid Vicious magari possa essere all’oscuro che una certa frangia del settore abbia avuto una  grande spinta verso tematiche libertarie, pacifiste, ecologiste, anche un po’ frikkettone per certi versi. Ovviamente c’è stato a suo tempo come del resto c’è anche adesso un certo rispetto per la vita animale e molti sono stati i vegetariani e vegan della parrocchia. Se c’erano diversi vegani a metà del ’90  in Italia un po’ fu anche colpa di questa influenza.

Siete vegan per motivi etici e non salutisti. Ci potete spiegare quella che agli occhi di molti sembra una contraddizione?

Dunque, per anni mi son sentito dire che sarei morto da una settimana all’altra per colpa della mia alimentazione carente. Fin qui tutto bene e sono andato avanti lo stesso. Ad una certo punto un'orda di vegani salta fuori, e con essi anche dei capipopolo nutrizionisti nonsobenecosa smuovono le acque e fanno balzare queste strane diete e chi le segue su tutte le cronache dei media possibili, compresi giornali sportivi e libri di preghiere della domenica. Di colpo con la mia dieta c’era il rischio che arrivassi fino ai 104 anni facendo anche le flessioni e soprattutto con una vita sessuale di un 18enne. Ma come, fino ad un anno prima sarei morto al primo cambio di stagione?!? Quindi, per farla breve, sono vegan da oltre 4 lustri perché mi stanno a cuore la vita e la sofferenza animale. Fosse per me mi nutrirei solo di dolci e carboidrati, possibilmente fritti. Ho maturato un minimo di spirito di conservazione che mi rende ancora in vita anche attraverso diversi altri cibi.

Da dove vengono le materie prime che usate in cucina?

Dall’Agropontino, dall’orto di mio suocero, da quello di mia madre, dalla Tuscia, da luoghi della grande distribuzione, dall’Emilia Romagna per quanto riguarda seitan/tofu/tempeh. C’è un po’ di tutto. C’è molto biologico, anche se noi non lo sponsorizziamo sul menù.

Quante ore lavorate al giorno?

Troppe. C’è anche di mezzo il pendolarismo che ti tiene a lungo lontano da casa e daglia affetti, ossia i dischi e i gatti.

Vi siete formati sul campo o avete fatto una scuola?

Ho fatto studi diversi da quelli gastronomici. Ho iniziato a lavorare in ristoranti del settore quando facevamo eventi per Vegan Riot, itineranti. Ormai una decina d’anni fa. L’interesse generale verso il mondo vegetariano /vegan almeno a Roma, fatta eccezione per gli ultimi 5 anni è stato sempre piuttosto scarso.

Una passione che diventa lavoro quanto è destinata a durare secondo voi?

Mah, quella musicale è durata 20 anni. Se anche questa ci arriva, la pensione minima potrebbe essere in tasca. Il problema magari è tenere alto il livello della passione, perché comunque l’imprenditoria per come la conosco io, è qualcosa che corrode la gente. Rimanere con l’asticella dell’entusiasmo ben alta non è sempre facile. Ho visto diversi colleghi del settore barcamenarsi e chiudere in breve. Spesso e volentieri il fine etico si scontra con un sacco di questioni spinose e non si sopravvive.

La cucina vegana è anche continua ricerca. Dove e come cercate l'ispirazione? 

C’è da dire che prima di aprire un posto nostro, io ed Alessandra, abbiamo girato, senza esagerare almeno 150-200 posti del settore in mezzo mondo. Abbiamo mangiato per un paio di prossime vite anche. Non ci siamo alzati la mattina ed abbiamo pensato “adesso faccio le frittate di ceci per salvare il mondo”. Un minimo di cognizione di quel che si fa e delle proprie possibilità bisogna avercelo. La percezione di quello che sta facendo la ristorazione attuale, veg ed anche non, intendo. Bisogna essere presenti, ma non fare per forza quello che fanno tutti. L’ispirazione ce la dà un po’ tutto, il nostro italico territorio, il Sud America, le spezie potenti o l’assenza di spezie di fronte ad un ingrediente che non ne ha bisogno, il burro di arachidi, l’alloro della pianta di mia madre, il finocchietto selvatico portatomi dal mio amico Michele. Probabilmente a livello di posti, siamo stati più influenzati dall’estero che dal nostro territorio. Spesso l’ispirazione nasce per gioco. Come il rifare i piatti anni 80 come le penne alla vodka in versione vegan od attribuire nomi del nostro background ad alcuni piatti. Probabilmente una componente “divertimento” è ben presente qui.

Qual è il vostro migliore cliente? E il peggiore?

L’etica lavorativa imporrebbe un qualche “chiunque varchi questa porta è già un miglior cliente” ma in realtà sono onesto e faccio un sacco di fatica ormai a concepire la ristorazione odierna a base di assaggini “così proviamo tutto” fatta di un antipasto diviso in 5 persone e 5 piattini. Non perché non ci porti ricchezza ma proprio perché io sono abituato ad ordinare e mangiare, possibilmente tanto, senza l’ausilio di un qualche altro commensale. Non mi piace quando veniamo presi per vati di una qualche ricetta di lunga vita quando noi alla fine volevamo solo fare ristorazione. Non mi piace quando vengono e pretendono un passatino di verdura -che mai abbiamo avuto per inciso-, “perché sto male e pensavo che qua potevo trovare qualcosa”… Non mi piace quando vengono gli spettatori di masterchef e credono di essere nella cucina di Heintz Beck quando in realtà qua un primo costa 8 euro. Tutta questa serie di nonmipiace purtroppo oscura i numerosi clienti che non hanno nulla da eccepire, mangiano e sono cortesi. Peculiarità quest’ultima che non è poi così scontata.

Che cos'è Vegan Riot?

E’ un sito di cucina, aperto nel 2005. Racconta un po’ della nostra vita dietro ai fornelli. All’epoca tra i primi a documentare piatti vegan in Italia. Recentemente si è svecchiato nella sua veste grafica ed abbiamo scremato un po’ di contenuti, eliminando magari quelli un po’ antichi ed ormai fuori contesto. Dopo qualche tempo dalla venuta al mondo virtuale del sito abbiamo cominciato ad organizzare iniziative gastronomiche itineranti, e tramite una di queste ho iniziato a lavorare nelle cucine. Ad un certo punto abbiamo anche stampato un libro tutto nostro, caso letterario del 2010. Ne avremmo dovuto fare un secondo ma i poteri forti ce lo hanno impedito.

Il miglior piatto al So What?! oggi?

Oggi sono particolarmente contento dei malloreddus al pesto di mandorle e cedro. Le mandorle me le ha rifilate mia madre, così come i pomodorini del suo orto. Mentre il cedro viene dall’albero di un amico stretto, Roberto, che ci ha sempre supportato, da quando abbiamo aperto. È un piatto dell’amicizia, se ci vogliamo vedere dei significati intrinsechi. Se non abbiamo bisogno di vedere significati intrinsechi, direi che è un piatto buono e basta.

Qual è il vostro prossimo progetto?

Tanti e nessuno. Nel senso che già sopravvivere alla crisi nella crisi sarebbe un progetto degno. Poi potrebbe essere anche il secondo libro. Ma siamo comunque presi dal ristorante e forse l’unica cosa sensata sarebbe riappropriarsi un minimo delle nostre vite.

Un consiglio a chi volesse imitarvi e lanciarsi a fare il vostro stesso lavoro?

 La cucina è bella ed appassionante, ma spesso se ne ha una visione televisiva che poco ha a che vedere con la realtà, specialmente italiana. Parlo comunque di un territorio competitivo e difficile come quello di Roma. Ecco, magari sì dedicatevi alla cucina, ma quella già aperta da altri. L’imprenditoria è una cosa mostruosa. Probabilmente è più semplice mandar giù rospi (anche se poco vegan) in un posto in cui non si è capi che in uno proprio.

 

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