La Cassazione: il superlavoro può portare alla morte

Sette anni di lavoro in turno in condizioni disagiate hanno portato alla morte un tecnico radiologo di 30 anni: la Cassazione ha riconosciuto il nesso causale e ha dispoto il risarcimento per gli eredi.

La Cassazione: il superlavoro può portare alla morte

L’Asp di Enna è stata condannata a risarcire gli eredi di un dipendente dell’ospedale di Nicosia morto nel 1998 proprio a causa del superlavoro, come ha riconosciuto la sentenza. La Corte di Cassazione ha individuato nel «superlavoro» la causa di morte di un tecnico radiologo in servizio all’ospedale Basilotta di Nicosia, ritenendo responsabile l’Azienda sanitaria datrice di lavoro. Per la Cassazione, nel lavoro ospedaliero connotato da costanti carenze di organico, non è «accettabile riversare sui dipendenti tutto l’onere di garantire le prestazioni sanitarie ai pazienti». Devono essere il servizio sanitario e l’Asp di competenza ad organizzare il lavoro in modo da garantire l’utenza e l’integrità psico- fisica di medici e operatori sanitari. La Corte di Cassazione, dopo 10 anni di processi, riconosce che i turni eccessivi sostenuti negli ospedali dove l’organico è carente «possono uccidere» come nel caso del tecnico radiologo Giuseppe Ruberto di Nicosia, morto poco più che trentenne a causa di quello che per l’avvocato Giuseppe Agozzino, legale della vedova e della figlia, era superlavoro imposto dall’azienda.

La sentenza stabilisce che la morte è riconducibile a condizioni disagiate e al carico al quale per 7 anni fu sottoposto Ruberto. Per la Corte si riconosce la responsabilità del datore di lavoro, sebbene il dipendente non si sia mai lamentato formalmente del carico eccessivo al quale era sottoposto. In primo grado il tribunale di Nicosia aveva riconosciuto agli eredi che il decesso del loro congiunto era imputabile all’enorme carico di lavoro, condannando l’Azienda sanitaria ennese al pagamento dell’equo indennizzo e al risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale per la perdita della figura familiare. La Corte d’Appello di Caltanissetta aveva accolto il ricorso presentato dai legali dell’Asp di Enna, annullando la sentenza di primo grado e il legale della famiglia ha fatto ricorso in Cassazione che ha riconosciuto, con sentenza definitiva, il superlavoro come causa di morte del tecnico radiologo e il diritto degli eredi al risarcimento del danno. Per le croniche carenze di organico, ad oggi non risolte, i turni eccessivi sono spesso una regola e l’Asp di Enna è stata recentemente condannata a risarcire per diverse centinaia di migliaia di euro tre chirurghi per le reperibilità in numero superiore a quello che stabilisce la legge.

«L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro» si legge nella sentenza, che sottolinea anche: è «irrilevante che il dipendente non si sia lamentato».

I giudici hanno anche ricordato le cifre del «superlavoro»: dal 1991 al 1998 (data del decesso del tecnico) i quattro tecnici di radiologia avevano effettuato 148.513 esami, una media di 18.564 annui, più quelli del servizio di tomografia computerizzata, 662 l’anno; lo svolgimento di turni di pronta disponibilità notturna e festiva e di pronta disponibilità diurna in eccesso rispetto ai limiti previsti dalla contrattazione collettiva vigente. E sulle cause del decesso la Cassazione scrive che «un’eventuale predisposizione costituzionale del soggetto», deceduto per una cardiopatia ischemica silente, «non possa elidere l’incidenza concausale, anche soltanto ingravescente, dei nocivi fattori esterni individuabili in un supermenage fisico e psichico, quale quello documento in atti».

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