La crisi economica, la disillusione del "progresso", gli orti urbani e il cibo bio / 2 parte

Ospitiamo un intervento del professor Roberto Ronchetti, presidente della sezione laziale del'associazione Medici per l'Ambiente ISDE; qui la seconda parte. Ronchetti è stato per 33 anni titolare della cattedra di clinica pediatria al policlinico Umberto I di Roma e dal 2002 si occupa come ambientalista dell'effetto nocivo sulla popolazione dei contaminanti ambientali.

La crisi economica, la disillusione del

Il professor Roberto Ronchetti spiega dettagliatamente che l'uscita da un sistema che annaspa intorno a una crescita ormai impossibile si basa sulla costruzione di un nuovo paradigma sostenibile in grado di modificare il nostro stile di vita.

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Per orto urbano si intende un appezzamento di terreno, privato o meglio di proprietà comunale, destinato alla produzione di ortaggi per i bisogni dell’“ortista” e della sua famiglia. Deve essere evidente che stiamo parlando di un’entità che sia parte intima della tradizione di tutti i paesi a civiltà agricola. L’esistenza di un piccolo appezzamento di terra, vicino alla casa, dedicato all’alimentazione della famiglia, distinto dalla produzione agricola principale che si svolgeva nei campi, l’orto, principalmente affidato alle donne ed agli anziani, è parte integrante della nostra storia europea. Si tratta quindi di riscoprire abitudini messe transitoriamente in ombra dalla tumultuosa urbanizzazione conseguente allo sviluppo industriale. Uno sguardo anche superficiale all’enorme letteratura esistente permette di cogliere che questa riscoperta dell’orto urbano, a livello delle comunità socialmente più evolute, è oggetto di un vero e proprio entusiasmo, con iniziative e normative che configurano di certo un movimento culturale guidato dalle autorità locali e profondamente condiviso dalle popolazioni.

L'agricoltura urbana è promossa e sostenuta da organizzazioni internazionali, come FAO e OMS, nei Paesi in via di sviluppo. A livello globale le aree cittadine coltivate costituiscono il 5,9 per cento dei campi agricoli di tutto il mondo..

A livello europeo grandi quantità (milioni) di famiglie ed equivalenti porzioni di territorio urbano sono stati di recente implicati in questo tipo di iniziative. Ad esempio, in Svizzera la superficie attualmente concessa in affitto dai Comuni alle 71 associazioni affiliate alla “Federazione Svizzera degli orti familiari“ è di 6 milioni e 400 mila metri quadrati, e le famiglie che coltivano un orto sono 26.800. In Italia, esistono consolidate tradizioni e modernissime iniziative in tema di orti urbani: ad esempio su questo tema sono note iniziative delle autorità locali a Torino, Ancona, Modena, Firenze, Roma e innumerevoli altre. A Roma, un censimento del Comune ha inizialmente individuato 65 zone di terreno (vecchi parchi abbandonati, giardini degradati e infestati dalle erbacce) adatte per gli orti, ma successivamente sono state oltre 100 le aree verdi che sono state recuperate e messe a disposizione di chi ne faccia richiesta, cittadini o associazioni, per essere trasformate in orti urbani condivisi.

La costituzione e la diffusione di reti di orti urbani può consentire di raggiungere molteplici obiettivi di carattere assai generale e tanto più importanti quanto maggiore sarà la diffusione di questo tipo di attività nelle città italiane ed europee.

Il più immediato risultato dell’orticultura urbana è quello di offrire a molti, giovani, studenti, lavoratori o anziani un impiego del tempo disponibile in un’attività che consente di vivere all'aria aperta, fare attività motoria ed essere occasione di aggregazione: la gestione e la coltivazione di un orto costituisce, per le persone che vivono oggi nelle città, un modo per combattere le conseguenze dell’inurbamento e ritrovare un contatto diretto con l’ambiente rurale caratteristico delle proprie tradizioni.

Una seconda conseguenza di un’estesa pratica degli orti urbani, quasi implicita nell’attività di chi cura in modo assai partecipato il proprio raccolto, è quella di riscoprire piante antiche, privilegiare le specie autoctone con collaudate risorse genetiche, curare la biodiversità e quei prodotti agricoli ricchi di odori e sapori genuini e tradizionali che la tecnologia applicata nei campi nel corso degli ultimi decenni ha trascurato, preferendo la coltura di piante più sofisticate, dal prodotto più abbondante e appariscente.

Un terzo tipo di conseguenza dell’estendersi della pratica di cultura degli orti è un immancabile processo di coinvolgimento dei singoli cittadini nella produzione di beni, in questo caso di cibi, che di solito avviene “altrove” seguendo regole e interessi volti a favorire “altri” e non la comunità sociale o i singoli cittadini. Un’attenzione che giorno dopo giorno conduce ad osservare dove si vive, come si consuma, portando ad adottare misure per un riciclo e riutilizzo e a rinunciare al consumismo fine a se stesso, che distacca completamente l’individuo dalla propria terra. Sorge un sentimento diverso, un modo di curare e amare di più la terra, e quindi il territorio, prevenendo prima che rimediando i disastri che la mancanza di un’ottica ecosostenibile produrrebbe. Si adottano discorsi sul bene pubblico che quindi avviano un processo attinente alla democrazia e al governo della patria dal basso.

È ovvia, infine, la conseguenza che produrre cibi a bassissimo costo ha un impatto economico, soprattutto a livello della comunità locale, che può essere importantissimo in tempi di crisi e che può interessare settori importanti dell’agricoltura tradizionale.

L’agricoltura biologica

Appare del tutto scontato che il tipo di coltivazione che viene praticata negli orti urbani sia del tipo ”biologica”, cioè l’agricoltura che si propone la produzione di cibi senza l’uso di pesticidi. Qualunque sia il livello di coltura di chi si dedica agli orti urbani, senza dubbio la maggior parte di loro sa che i pesticidi (parte importante dei fitofarmaci) sono sostanze che aumentano il volume del raccolto per il fatto di essere letali ad organismi viventi (acari, insetti, funghi, microbi ecc.): è nozione comune che purtroppo i pesticidi siano letali o dannosi anche per gli esseri umani. Chi intraprende l’attività di coltivare un orto ad uso familiare non è affatto interessato ad un piccolo o grande aumento di volume del raccolto ma ha di certo a cuore di produrre ortaggi privi di ogni pericolosità per chi li consuma.

Vale la pena di riportare sintetici dati sull’argomento dei pesticidi.

La nocività dei pesticidi per l’uomo è fuori discussione ed è dimostrato che esistono stretti rapporti fra l’èntità dell’esposizione a singoli pesticidi ed incidenza di cancro di vario genere e di importanti conseguenze dannose al sistema immunitario.

Nel mondo vengono annualmente prodotti milioni di tonnellate di pesticidi: in Italia, ogni anno ne arrivano circa 130.000 tonnellate (4.2 kg di pesticidi per ettaro coltivato, più di due chili per persona). Gli ortaggi consumati in Italia contengono pesticidi in concentrazione superiore alle dosi ammissibili in circa l’1% delle derrate: (7% negli ortofrutticoli importati di fuori della Comunità Europea). Inoltre, poiché più del 40 % degli orto-frutticoli contiene più di un pesticida in quantità misurabile (fino a 15 in certi prodotti), esiste un’esposizione complessiva dei singoli individui che per molti aspetti risulta pericolosa. Ciò è in particolare vero per la parte più sensibile della popolazione, rappresentata oltre che dagli anziani, dai bambini e dalle donne in gravidanza.

È evidente pertanto che nella situazione attuale è da considerare obiettivo primario quello di ridurre, anzi abolire, il contenuto dei pesticidi negli alimenti. Per raggiungere tali fini è anche fondamentale, nella programmazione delle reti di orti urbani, garantire, a livello normativo e con un adeguata disponibilità di dati analitici, la salubrità dei suoli e delle acque che dovrebbero alimentarli. Uno dei problemi nelle grandi aree urbane è infatti la presenza di terreni e acque contaminate.

Così l’agricoltura praticata negli orti urbani, volta ad ottenere prodotti assolutamente sicuri e da consumare nella propria famiglia sarà certamente “biologica”. Ci riferiamo ad un’attività sempre più praticata in tutti i campi dell’agricoltura, tesa alla produzione di cibi sani, ottenuti senza l’uso di sostanze pericolose per l’ambiente e per l’uomo, che mette al centro della produzione l’agricoltore e che, eliminando le intermediazioni ed assumendo la responsabilità diretta della bontà e della sicurezza delle derrate alimentari, mantiene basso il prezzo dei prodotti attraverso il contatto diretto, locale, con il consumatore (“filiera corta”).

Fine 2 parte / continua

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