Libertà di espressione e informazione in Vietnam, l'altra faccia del Paese

Vietnam, non solo guerra e crescita economica al cospetto della Repubblica popolare cinese. Oltre la facciata si nasconde un Paese diverso. Ce lo racconta Roberto Tofani, attualmente in viaggio ad Ha Noi, che stavolta ci parla di libertà di informazione e pregiudizi etnocentrici.

Libertà di espressione e informazione in Vietnam, l'altra faccia del Paese
Vietnam, un Paese spesso e da sempre associato a 'guerra' e negli ultimi anni sinonimo di una crescita economica come propaggine dell’irrefrenabile Repubblica Popolare cinese. In molti casi, quindi, il Vietnam viene raffigurato come una tigre che sembra ripercorrere i passi del più maestoso drago cinese che ne controlla movimenti e spostamenti. E allora ecco che quando si parla di censura e diritti negati, finisce tutto in un unico calderone senza piccole distinzioni che sarebbe il caso di far notare. In passato anche noi di 'Sudestasiatico' abbiamo più volte ricordato e sottolineato le condanne inflitte ad attivisti, dissidenti o strette sulla libertà di espressione. In quest’occasione, però, vorremmo invece lodare la pluralità dell’informazione vietnamita che non trova spazio e risonanza mediatica quanto invece 'a repressione dei diritti umani', pubblicizzata dall’annuale rapporto del Dipartimento di Stato Usa. Mentre a New York è in corso il summit promosso dalle Nazioni Unite per fare il punto sugli obiettivi del millennio, gruppi di pressione, rockstar e organizzazioni non governative lanciano appelli per ricordarci quanto è stato fatto e quando ci sarebbe ancora da fare. L’Italia, da parte sua, mantiene un profilo basso per paura che si venga a sapere che le promesse fatte non sono state ancora mantenute. Per ora, però, lasciamo ad altri il compito di smascherare nei particolari i nostri voltafaccia e concentriamoci sull’informazione vietnamita. Consci di non poter comunicare al mondo in una lingua che in pochi vogliono imparare per le sue difficoltà tonali, da anni molti organi di informazione, sia statali che semi privati, utilizzano l’inglese come lingua franca. E allora ecco un bell’articolo sul Voice of Vietnam News che riprende le parole del discorso tenuto dall’attuale capo di Stato, Nguyen Minh Triet a New York. Dal podio del palazzo di vetro e davanti ai rappresentanti di 193 Paesi e 19 organizzazioni internazionali presenti, Triet elogia i risultati raggiunti dal suo Paese, sottolineando che gran parte dei "traguardi sono già stati ottenuti". Nell’articolo viene citato il coordinatore dell’Onu per il Vietnam, John Hendra, che ci ricorda quanto il Paese asiatico abbia fatto in termini di riduzione della povertà, passando da una percentuale di poveri pari al 58 per cento della popolazione nel 1990, ad un 14,5 per cento nel 2008. Ad una riduzione della povertà è corrisposto inoltre un forte aumento dell’alfabetizzazione, con il 97 per cento dei bambini iscritti alla scuola primaria. Di questi, l’88,5 per cento termina il primo ciclo di studi. Sul fronte della forza lavoro, invece, oltre l’80 per cento delle donne ha attualmente un’occupazione, mentre è poco minore al 28 percento la partecipazione femminile nell’Assemblea Nazionale (l’organo legislativo del Paese). Risultati esaltanti che se non fossero enunciati da funzionari delle Nazioni Unite, puzzerebbero di propaganda. All’articolo di Voice of Vietnam, ne fa eco un altro sul Vietnam News , il primo quotidiano in lingua inglese della Repubblica Socialista. Sebbene dall’organo di stampa filo-governativo ci si aspetterebbero elogi e statistiche non dissimili da quelle riportate precedentemente, il titolo fa subito capire che la tendenza è tutt’altra: "Disuguaglianza, una minaccia per gli obiettivi". Notevole, visto che all’interno dell’articolo viene citato lo stesso John Hendra. Questa volta, però, vengono sottolineati i potenziali problemi che "potrebbero minare il raggiungimento degli obiettivi del millennio". È la crescente forbice tra ricchi e poveri, soprattutto nei maggiori centri urbani del Paese, che rischia di compromettere quanto di buono fatto fino ad oggi. Non solo, ma l’impossibilità per molti di poter accedere ad un buon servizio sanitario e formativo, che spesso spinge la crescente classe media a imbarcarsi in 'viaggi della salute', sembra essere un problema in crescita piuttosto che in diminuzione. Critiche arrivano anche da Eamonn Murphy, UNAIDS Country Director, che sottolinea quanto bisogna ancora fare per ridurre la mortalità infantile, soprattutto nelle zone abitate dalle minoranze etniche, a partire dalla condizione delle madri. Per non parlare della diffusione di HIV/AIDS, per la cui prevenzione, il 90 per cento dei fondi arriva dalla comunità internazionale. Semplicemente "insostenibile", secondo Murphy. L’ultimo grido d’allarme arriva da Suzette Mitchelle, UNIFEM Country Representative, la quale, sebbene sottolinei che la rappresentanza femminile nella vita politica vietnamita sia tra le più alte della regione est asiatica, la tendenza attuale sembra essere al ribasso più che muovere verso gli obiettivi prefissati. Insomma, da una parte i soli dati positivi. Dall’altra, critiche costruttive che a mio avviso sottolineano la volontà di un Paese che non teme il libero confronto. A meno che, dietro questa pluralità non si nasconda una voce di opposizione interna al partito. Non dimentichiamoci, infatti, che il prossimo anno dall’undicesimo congresso del Partito comunista vietnamita verranno fuori le linee guida per il futuro quinquennio. Anche in questo caso, però, verrebbe meno la nostra concezione nel vedere la Repubblica Socialista come un blocco monolitico governata da un unico partito. Così non è, e questo è solo un piccolo esempio che ci dovrebbe aiutare a riflettere su alcuni nostri schemi mentali e pregiudizi, retaggio di un pensiero etnocentrico. Articolo pubblicato in collaborazione con Sudestasiatico.com

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