Natale ieri e oggi... cosa è cambiato?

"Riflettendo sul 'Natale oggi', mi sono affiorate alle mente immagini di parecchi Natali fa, quando ero un bimbo e alcuni miei amici indossavano pantaloni corti anche quel giorno". Cosa è cambiato dagli anni Cinquanta ad oggi? Come si viveva il Natale e come si vive oggi? Valerio Pignatta ci racconta in una 'fiaba' autobiografica il diverso modo di sentire e vivere le festività.

Natale ieri e oggi... cosa è cambiato?
Il periodo si presta. La fiaba impera sempre in questi giorni. E allora addentriamoci. Con l'attenzione al lieto fine... Sono nato negli anni Cinquanta. Non molto tempo fa, tutto sommato, ma mi sembra un'era geologica dal punto di vista dell'umanità che abita il pianeta. Riflettendo sul 'Natale oggi', mi sono affiorate alle mente immagini di parecchi Natali fa, quando ero un bimbo e alcuni miei amici indossavano pantaloni corti anche quel giorno. Dopo un'attesa estenuante e carica di aspettative, era finalmente arrivata la mattina di Natale in cui alcuni giochi, dolciumi e frutta facevano il loro figurone sul tavolo della sala da pranzo. Giochi attesi per mesi, scelti 'dal vero' con estrema gioia e non svogliatamente su di un catalogo o un sito Internet come accade oggi. Sì, perché la fiaba ci narra che il confronto tra i due mondi, del passato e del presente, è veramente appassionante e commovente. E suscita tantissime considerazioni. A quel tempo avevo tantissimi amici. Vivevo in un quartiere di case popolari e ogni famiglia aveva almeno tre o quattro figli. A volte anche sei o otto. Partite di calcio, palla prigioniera e ruba bandiera erano all'ordine del giorno. Gli amici si andavano a 'chiamare' a casa. E a volte ci si fermava lì ad aspettare che finissero di mangiare o di fare i compiti, partecipando a un pezzo della loro vita familiare prima di precipitarsi fuori a giocare. Per strada non c'erano pericoli. Si poteva circolare liberamente da soli (a scuola, a comprare il pane, a trovare un amico). Le auto nel quartiere andavano a passo d'uomo per evitare la palla (si giocava in mezzo alla via e sui marciapiedi!) e non ti prendevano di mira come birilli da bowling. E la tv iniziava nel tardo pomeriggio. Se proprio non sapevi cosa fare. I nostri genitori ci vedevano tornare la sera senza averci mai dovuto chiamare al cellulare che del resto... non esisteva. Potevano contare sul nostro senso di responsabilità e su quello dei ragazzi più grandi. E un adulto che ti dava una mano l'avresti sempre trovato. Non una mano sul sedere... E poi arrivava Natale. Il mattino presto mio padre ed io ci vestivamo a festa. Si andava infatti di casa in casa ad augurare il buon Natale ai vicini, ai parenti e agli amici. Si stava da ognuno di loro una quindicina di minuti, a volte di più, ed essi ti offrivano da bere, dolciumi o anche una mancia o un regalino. Questa pratica di augurio era molto diffusa tra la gente e parecchi la ripetevano anche il primo dell'anno. La città era addobbata a festa. La pubblicità era in crescita già allora. Ma lo sfarzo non era ancora vertiginoso e sprecone. Le strade e le case, alla mattina di Natale, erano silenziose, spesso innevate. Mi ricordo un senso di pace diffuso, di sacralità. Eppure i miei erano comunisti da più generazioni e non era certo il senso bigotto del sacro quello di cui ero indottrinato. Ma ricordo quest'aria di religiosità, anche nelle persone, nelle parole, nei discorsi. Narra però la fiaba che la sacralità, da quei giorni, è lentamente scivolata nell'immaginario tecnologico. E da lì non è più riuscita, almeno sino ad ora, a risalire. L'adorazione del progresso tecnico ed economico ha frantumato il senso della collettività e dei suoi riti di rigenerazione dell'amore e del dono. Oggi, bimbi annoiati di 9 o 10 anni non hanno più giocattoli nelle loro camerette, ma solo Playstation, Game Boy e cellulari sofisticatissimi. Impulsi elettronici anziché vibrazioni umane. Fredde, solitarie, asettiche piattaforme virtuali anziché reali e vocianti campi di gioco collettivi. La tecnologia è ambigua. Come dice Neil Postman “non è sempre chiaro, almeno nei primi stadi dell'intrusione di una tecnologia in una cultura, chi ne trarrà il maggior vantaggio, e chi ci perderà di più” . Chi avrebbe immaginato che il ritratto della famiglia riunita sorridente davanti alla tv, utilizzato dalle pubblicità degli anni Cinquanta e Sessanta, si sarebbe trasformato nella desolante realtà attuale per cui ogni membro della stessa è nella sua camera davanti al suo programma preferito? Eppure la tv ha senz'altro avuto un ruolo non di poco conto (per certi versi purtroppo) nel costituire un'identità nazionale e una coscienza di appartenenza collettiva e di partecipazione democratica. Ma gli effetti di una tecnologia non sono mai palesemente tutti visibili sin dal suo apparire e possono essere devastanti. La società che abbiamo oggi è caratterizzata dalla disgregazione atomistica della comunità. Gli individui sono rimasti isolati dalla maggior parte delle relazioni che danno senso all'esistenza. Alcuni sono divisi anche al loro interno in personalità multiple e disturbate, tant'è che il consumo di psicofarmaci è arrivato alle stelle, e riguarda, nelle società europee, qualcosa come il 25-30% della popolazione. Se si dovesse concludere la fiaba con un suggerimento di lieto fine, direi che vanno ripensati i doni che in un Natale di inizio terzo millennio vanno proposti ad una nuova umanità, nella speranza che essa riacquisisca poi i valori che l'industrializzazione e la devastazione del 'progresso' hanno cancellato. In questa visione, racconta la fiaba, che i regali più grandi che si possano fare a dei bimbi oggi sono molto particolari e a bassissimo costo: amici al posto di Playstation, corse al posto di divani, genitori al posto di baby-sitter elettroniche, libertà e consapevolezza al posto di catene telefoniche, senso di giustizia e condivisione al posto di egoismo e prevaricazione e infine e soprattutto no quando è no e sì quando è sì. Regali per amore e non per smaltire un'assenza che duole. Altrimenti un mondo pur ecologico e zeppo di pannelli solari non significherà gran che. Articolo tratto da Terranauta A NATALE VUOI...

Commenti

Sono solo parzialmente d'accordo. Quello che tu descrivi è un ritratto dei tempi andati filtrato dal rosa della nostalgia: anche allora esisteva l'egoismo, anche allora la solitudine. Anche allora, più d'oggi, la povertà. Forse nella età d'oro della modernità, proprio quella degli attuali settantenni e sessantenni, l'egoismo e la trasgressione egoistica non erano premiati ma la, diciamo, postmodernità tecnologica, e prima ancora una corrente paradossalmente nata dall'idea di genio dei Romantici, la premiò poi, già venti e passa anni fa, seppure con la mano sinistra. Accanto all'infelicità del solitario, spesso contigua ad essa, c'era già il trionfo del vincitore. Unico anch'esso, sempre esaltato anche se, soprattutto se, era anche un ex trasgressore integrato tardivamente come uomo nuovo. Penso allo yuppie anni '80, al mito dell'imprenditore ma, in piena epoca borghese tradizionale, anzi coevo all'affermazione borghese, anche a Bonaparte e ai suoi emuli, tutti eroi, condottieri, uomini nuovi "rivoluzionari" ma poi nuovi re. Oppure ai Nobel, all'artista critico e scomodo ma celebrato (quanti negli anni '60 e '70!). Tutte queste figure erano, se non solitarie, almeno sole. Si dirà "ma sole in positivo!". Io dico che la società, a cui non appartenevano mai del tutto in quanto figure di punta, non se l'è mai chiesto davvero. Poi ci sono i più paradossali, penso a Svevo, a cui la società non ha offerto da vivo che un posto d'impiegato, mentre la storia l'ha eternato già vecchio, proprio come l'agrodolce protagonista della "Coscienza di Zeno" (spoiler), imbranato e insipido, reso ricco (dalla Grande Guerra!) nell'ultima pagina. Tutti costoro erano contemporaneamente idolatrati e schifati dalla società dell'immagine e sono la prova che l'oggi è figlio non di un ribaltone ma, come riconosci, d'altronde, da correnti sotterranee ma essenziali proprie di uno ieri in cui la scelta era aperta fra questo o quel filone di pensiero. La vostra generazione, o quella ancora prima, ha scelto, nei grandi numeri, il singolo a dispetto della medietà calda della condivisione, dei gruppi felici e rumorosi, dell'ordine e dell'adeguamento, spesso dell'onestà oltre che della regola. Oggi sei decisamente qualcuno se sei al di sopra degli altri, tutto per te. Che questo possa portare ad una vita felice solo a quei pochi che stanno sul confine con gli altri non te lo dicono mai, che nove su dieci non siano vincitori, ma solitari tristi o addirittura vincitori tristi, grandi solo da morti, ancor meno (penso ad es. al Leopardi, o a quello che si disse per anni in patria di Browning il poeta, finchè non divenne, da vecchio, una barbuta autorità). Il fatto è che all'uomo piace stare anche solo, essere anche un'eccellenza. La società ha tolto quell'anche, all'inizio mostrando l'esca: "Tutti sarete campioni". E invece era la fine anche del vero individuo, la nascita del solitario di massa, privato del calore dei più, solo di fronte al Mercato e insieme uguale a tutti gli altri suoi colleghi (ma senza il peso contrattuale dell'essere sociale. Guarda che fine han fatto i sindacati). Però te lo posso dire, il ritratto che hai fatto è una laudatio temporis acti, soprattutto è una visione troppo fosca dell'oggi. Vecchie ritualità, frammenti della socialità esistono ancora. Natali in famiglia ce n'è ancora tanti e la playstation si mette tranquillamente via quando qualcuno lancia la proposta di giocare a tombola. Ora non serve tanto ricordare come si era, se non per vedere di prendere un po di colla e riaccostare, forse riattaccare, questi frammenti. La tradizione, anche quella recente, è dura a morire, specie se è buona e offre risposte al di là di qualche pillola.
Marco, 25-12-2012 10:25
E sì. Valerio Pignatta ,ha proprio ragione a rimpiangere i Natali di una volta. Anch'io sono degli anni '50.E sicuramente allora il santo Natale ,si viveva a misura d'uomo .Parlo del Natale dei piccoli centri dove sono nato e non del Natale della città.Il nostro Natale paesano era davvero suggestivo ,la mattina presto con pantaloncini corti e cappottino si andava alla novena partecipando ai canti natalizi si costruiva il Presepe col muschio di bosco, c'erano poche luminarie nei paesini ,si andava al cinematografo a vedere film intonati al periodo, quasi sempre biblici, si mangiava tutti insieme in famiglia a gustare le prelibatezze dei cibi e dei dolciumi fatti in casa, vere e proprie leccornìe. Si facevano i buccellati con ripieno di marmellata di fichi secchi impastati con mandorle abbrustolite macinate, cotte nel forno a legna di casa.Il cenone della vigilia era composto di sette portate diverse, si rimaneva in casa fino a tarda notte a giocare a carte o a tombola spesso attorno ad un vecchio braciere pieno di brace viva.Si respirava intensamente aria di festa in perfetta intimità del calore umano, gli auguri si facevano di casa in casa, accompagnati sempre con l'offerta dei dolci di casa e vino casereccio. Altri tempi. Nulla a che fare con le attuali festività spendaccione e sprecone. Buone feste a tutti e al coevo Valerio Pignatta. By don turiddu
turiddu, 26-12-2012 12:26
Grazie per questa testimonianza, trovata per caso, importante... L'ho trascritta su un diario, un giorno la leggerò ai miei figli, quando dovrò raccontare cosa è significato crescere nel "boom economico", negli anni del falso benessere.
steffy, 26-12-2012 02:26
Sono anch'io del parere che il messaggio dell'articolo sia molto ben reso, ma tenda un po' troppo a generalizzare. E' verissimo che oggigiorno molte persone siano intossicate di tecnologie onnipresenti, di regali preconfezionati, di consumismo sfrenato e irrazionale, e che il giorno dopo Natale stiano già pensando a come smaltire pranzi esagerati, di cui rimangono fin troppi avanzi, e l'inutile paccottiglia ricevuta in regalo. Tuttavia questa stomachevole ingordigia, frenesia consumistica e perdita di veri sentimenti non coinvolge TUTTE le persone, e certamente ci sono modi migliori di passare il Natale (e il resto dell'anno, non dimentichiamolo). C'è molta gente che crea regali fatti a mano con materiale riciclato, pensati apposta per i destinatari e non comprati a caso in qualche negozietto last minute. Che prepara pranzi in quantità normali, da gustare e non da sprecare, fatti con ingredienti sani e non comprati di corsa al fast food, e si preoccupa di non produrre più rifiuti del necessario e smaltirli correttamente. Che gioca a giochi di società anzichè passare ore e ore, passivamente, usando consolle ultimo modello (finchè, naturalmente, non verranno sostituite dal modello successivo, ,ma è un altro discorso). Sono stili di vita differenti, ma ognuno ha la libertà di scegliere il proprio (e cambiarlo, se ritiene sia meglio). La nostalgia di un'altra epoca e di un altro modus vivendi è comprensibile ma purtroppo questo è l'oggi che stiamo vivendo, e sta a noi fare del nostro meglio, sempre, per noi e per gli altri.
Noryuken, 09-01-2013 03:09

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