Putin resta saldo in sella: per lui pioggia di consensi in Russia

Vladimir Putin resta saldamente in sella e sarà presidente della Russia per il quarto mandato. Gli elettori lo hanno confermato con una percentuale altissima di voti: quando lo spoglio era all'85% aveva già oltrepassato il 76%.

Putin resta saldo in sella: per lui pioggia di consensi in Russia

Al secondo posto si è piazzato Pavel Grudinin, il candidato del Partito Comunista della Federazione Russa (CPRF), con il 13% circa. Terzo il leader del Partito Liberal Democratico della Russia Vladimir Zhirinovsky, attorno al 6% dei voti. Ksenia Sobchak ha il 2% delle preferenze, Grigory Yavlinsky, di Yabloko, guadagna l'1% delle schede. Maxim Suraykin e Boris Titov ottengono lo 0,7%, Sergei Baburin lo 0,6%.

L'affluenza alle urne, secondo i dati raccolti da Vtsiom, è stata indicativamente attorno al 63,7%. Lo riferisce la Tass, citando il direttore generale del centro demoscopico, Konstantin Abramov.

Dopo la rielezione, Putin ha parlato per la prima volta del caso Skripal. Davanti ai sostenitori che celebravano il suo trionfo vicino al Cremlino, il presidente russo ha detto: "E' assurdo pensare che abbiamo tentato di avvelenare Skripal prima delle elezioni e dei Mondiali di calcio. Se si fosse trattato di nervino di tipo militare Serghei Skripal sarebbe morto sul posto: noi abbiamo distrutto il nostro arsenale chimico mentre i nostri partner non lo hanno ancora fatto".

Il portavoce della campagna elettorale, Andrei Kondrashov, ha poi aggiunto, ironicamente: "Devo ringraziare Theresa May per aver aumentato l'affluenza alle urne. Ancora una volta non ha capito la mentalità della Russia: ogni volta che ci accusano di qualcosa in modo infondato, il popolo russo si unisce al centro della forza e il centro della forza oggi è senz'altro Putin", ha detto a Interfax, alludendo appunto al caso dell'avvelenamento a Salisbury dell'ex spia russa Sergei Skripal e della figlia Yulia.

Da giorni infatti è scontro tra Londra e Mosca sul caso della ex spia russa Sergej Skripal avvelenata a Londra, a Salisbury. Il Regno Unito ha espulso 23 diplomatici russi, un numero altissimo, come non avveniva dal 1971. La premier britannica Theresa May aveva reso noto di aver revocato ogni prossimo invito o visita del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e aveva annunciato che non vi saranno delegazioni ufficiali né rappresentanti della famiglia reale ai Mondiali di calcio di Russia 2018.

La vittoria di Putin era stata predetta con facilità da molti.

Scriveva qualche giorno fa il giornalista Gwynne Dyer su Internazionale, nella sua analisi sulla figura di Putin: «Putin otterrà altri sei anni al potere con un margine schiacciante, probabilmente tra il 60 e il 70 per cento dei voti. Il vero problema riguarda cosa succederà dopo, anche perché alla fine del prossimo mandato Putin avrà 72 anni e legalmente non potrà ricandidarsi. A Putin non piace rischiare. Per questo motivo ha stroncato la potenziale candidatura del leader dell’opposizione Aleksej Navalnyj chiedendo agli obbedienti magistrati di condannarlo per truffa con un’accusa campata in aria. A dire il vero Navalnyj non ha mai avuto una reale possibilità di battere Putin, la cui popolarità in Russia è assolutamente reale, ma sarebbe comunque stato un avversario credibile, cosa che non si può dire dei candidati rimasti. Il loro unico ruolo è far sembrare regolari le elezioni».

Dyer proseguiva poi nella sua interessante analisi storica, sociale e politica: «La Russia vive uno stallo politico senza fine, condannata a girare intorno alla democrazia senza mai toccarla. È facile spiegare come il paese sia arrivato a questo punto, molto più difficile trovare il modo di tirarlo fuori. Nel periodo tra il 1987 e il 1991, la rapida fine di una dittatura comunista durata 70 anni ha sconvolto la maggioranza dei russi. I giovani si sono sentiti liberati, mentre i più vecchi erano molto preoccupati. In ogni caso nessuno sapeva cosa fare. Le prime (e ultime) elezioni realmente corrette sono state organizzate in quel periodo, ma già a metà degli anni novanta erano tornati in sella gli oligarchi, in gran parte ex comunisti. Gli oligarchi hanno privatizzato un’economia in precedenza controllata dallo stato, accumulando patrimoni esorbitanti (spesso con l’aiuto della mafia locale) e trasformando il presidente Boris Eltsin nel loro rappresentante. Vincitore di elezioni assolutamente regolari – e un tempo estremamente popolare per la sua difesa spettacolare della democrazia durante il tentato colpo di stato comunista del 1991 – Eltsin era ormai un alcolizzato corrotto quando il paese è andato alle elezioni nel 1996. Eltsin aveva “vinto” le elezioni grazie all’intervento massiccio dell’occidente e soprattutto degli Stati Uniti a sostegno del loro candidato, ma la sua orrenda gestione dell’economia ha spazzato via i risparmi della maggioranza dei russi e ha intaccato la reputazione della democrazia. Ancora oggi molti russi associano la parola “democrazia” con il caos violento e senza legge degli anni novanta».

E aggiungeva: «Putin, successore indicato da Eltsin, ha mantenuto alta la sua popolarità per 18 anni, soprattutto perché ha regalato ai russi ciò che volevano più di ogni altra cosa: una certa stabilità e prevedibilità nella loro vita. Le condizioni di vita della maggior parte dei russi sono probabilmente ancora al di sotto di quelle dei tempi socialisti, ma sono migliorate lentamente e costantemente rispetto al nadir degli anni novanta, fino al crollo del prezzo del petrolio di tre anni fa. Dal punto di vista dei russi le avventure all’estero di Putin (Georgia, Crimea, Ucraina orientale) sono essenzialmente manovre difensive. I paesi che un tempo facevano parte dell’impero russo e dell’Unione Sovietica sono conosciuti con l’espressione di “estero vicino”, un’area dove teoricamente vigono regole diverse».
E ancora: «In ogni caso la paura che i russi covino l’idea di invadere militarmente i paesi della Nato è sostanzialmente un mito, utile agli interessi dei complessi militari, industriali e politici dell’occidente. In realtà la Russia è troppo debole economicamente e fragile politicamente per imbarcarsi in un’azione militare contro una grande potenza. Putin è un uomo molto prudente, il cui conservatorismo ha portato alla Russia una fondamentale boccata d’ossigeno dai fallimenti politici che hanno caratterizzato il passato».
«Il presidente russo è, nella sostanza, un dittatore, anche se per gli standard storici russi è abbastanza non violento. Ha sempre rispettato scrupolosamente le regole della Costituzione, accettando addirittura di lasciare la presidenza per ricoprire il ruolo di primo ministro tra il 2008 e il 2012 per rispettare la legge secondo cui non è possibile ottenere più di due mandati presidenziali consecutivi». 

Su Affari Internazionali poi, Nicolò Sartori e Anita Porta offrono spunti per riflettere sul ruolo della Russia nella politica energetica fornendo elementi che si innestano nel contesto dei rapporti tesi con alcuni paesi europei.

«Dopo le crisi del gas con l’Ucraina nel 2006 e nel 2009, e soprattutto in seguito all’annessione della Crimea, la cosiddetta “arma energetica” di Mosca è diventata un tema cruciale nel dibattito europeo sui rapporti con la Federazione russa, nonché nella definizione di politiche mirate ad aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico in Europa. (...) Il gas russo continua ad essere un elemento chiave del mix energetico europeo. Dal 2015 al 2016 le esportazioni diGazprom in Europa sono aumentate del 13%, passando da 158 a 178 miliardi di metri cubi (bcm), rappresentando circa un terzo dei consumi totali. Germania e Italia continuano a rimanere i principali mercati di destinazione, ai quali Mosca destina circa il 42% del suo export europeo. E se le quote di gas russo nei mercati tedesco e italiano continuano a crescere, i Paesi dell’Europa centro-orientale sono quelli che rimangono tuttora più dipendenti dalle forniture di Gazprom, come nel caso della Slovacchia e della Bulgaria. A dispetto di queste tendenze, alcuni fattori rendono la minaccia energetica russa in Europa meno concreta rispetto al passato. Fra i principali elementi che attualmente caratterizzano il mercato europeo del gas ci sono l’eccesso di offerta rispetto alla domanda, nonché la concorrenza da parte del gas naturale liquefatto (Lng) e la realizzazione di nuove infrastrutture in paesi come Lituania e Polonia. (...)». Intanto «i tentativi europei di ridurre la dipendenza dalla Russia rimangono vivi. Il principale nodo del contendere è il futuro del transito attraverso l’Ucraina e il destino di Nord Stream 2. La realizzazione del gasdotto è emersa negli ultimi anni come un elemento fortemente divisivo non solo tra Bruxelles e Mosca, ma anche all’interno della stessa Unione europea. I Paesi dell’Europa orientale, e la stessa Kiev, temono di perdere il loro ruolo (politico ed economico) di transito degli approvvigionamenti energetici, ma soprattutto di finire stretti in una morsa tra Russia e Germania, quest’ultima destinata a diventare – in caso di realizzazione – l’unico punto di approdo del gas russo sul continente europeo».

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