Violenza allo stadio, la rabbia profonda della Serbia

Nella giornata di ieri le televisioni sono state inondate di commenti più o meno retorici sugli scontri generati dagli ultrà serbi dentro e fuori lo stadio di Genova durante la partita (poi sospesa) Italia - Serbia. Ma quali sono le cause reali che hanno generato tanta violenza e a quando risalgono?

Violenza allo stadio, la rabbia profonda della Serbia
Il pullman assediato, poi i petardi in campo, la guerriglia dagli spalti di Genova, le minacce, la sospensione di Italia - Serbia, lo sconcerto in diretta tv, le lacrime del campione d’Europa Dejan Stanković. «È uno scandalo, quelli che hanno organizzato questi incidenti sono a Belgrado», commenta a caldo il 12 ottobre il presidente della Federcalcio serba, Tomislav Karadžić, dopo gli incidenti che hanno fermato l’incontro, valevole per le qualificazioni degli Europei. “È un attacco allo Stato e lo Stato deve risolvere questo problema”, ha aggiunto Karadžić, citato dai media serbi. Dalla violenza degli hooligan di Belgrado, un doppio “avvertimento”: contro l’indipendenza del Kosovo e contro la polizia serba, intervenuta il 10 ottobre a proteggere i manifestanti del Gay Pride, aggrediti dagli estremisti. “È stato uno dei giorni più neri della storia del calcio serbo”, dichiara Savo Milosević , ex calciatore della nazionale di Belgrado, sentito da “Il Giornale”. “Penso che tutto questo non possa essere stato provocato solo dall’animosità contro il portiere” (Vladimir Stojković è stato infatti contestato e minacciato dai tifosi). “Le cose sono molto più serie e pericolose: negli ultimi vent’anni – aggiunge Savo Milosević – lo Stato non ha fatto nulla per stroncare questa violenza. Pagheremo un prezzo molto alto per la mancanza di volontà di risolvere alla radice il problema”. Ferma la condanna di Rts, la tv pubblica serba: l’emittente di Stato, continua “Il Giornale”, ha duramente esecrato i gravi incidenti provocati a Genova dalla frangia violenta dei tifosi, circa un migliaio: “È una vergogna per la Serbia e per il nostro calcio”, ha detto il telecronista dallo stadio Luigi Ferraris di Genova. La cosa più grave, ha aggiunto il conduttore, è che questi incidenti sono stati provocati fuori dalla Serbia. Secondo la tv non è escluso che le intemperanze – che hanno portato alla sospensione di Italia - Serbia, con vittoria a tavolino degli azzurri – possano essere state messe in atto volutamente, come reazione all’intervento della polizia domenica scorsa a Belgrado contro gli estremisti di destra che cercavano di impedire lo svolgimento del Gay Pride. Sempre secondo l’emittente pubblica, aggiunge “Il Giornale”, gli hooligan hanno dato fuoco a una bandiera del Kosovo e hanno scandito slogan come “Bisogna uccidere i kosovari”. Per il quotidiano “La Stampa”, quello degli hooligan serbi è ormai un problema europeo: «Tifosi avversari feriti o uccisi, anche a colpi d’arma da fuoco; poliziotti e giornalisti aggrediti o minacciati; incidenti in patria e all’estero: gli ultrà serbi hanno un curriculum da brivido». Gli incidenti provocati a Genova in occasione di Italia - Serbia non sono una novità nella storia del calcio della Repubblica ex jugoslava. Già nell’ottobre 2009 la Fifa minacciò penalizzazioni in caso di nuove violenze da parte dei gruppi più radicali, radicati nelle tifoserie del Partizan e della Stella Rossa, le due squadre di Belgrado. Sempre nell’ottobre 2009, ricorda “La Stampa”, il procuratore generale serbo Slobodan Radovanović chiese alla Corte costituzionale di Belgrado di mettere al bando 14 gruppi di tifosi estremisti, ritenuti responsabili di violenze e disordini. Solo tra gli episodi degli ultimi due anni spicca la morte, dopo 12 giorni di coma, di un tifoso della squadra francese del Tolosa, aggredito a metà settembre 2009 a Belgrado dagli hooligan del Partizan prima di un match di Europa League. Un sostenitore della squadra serba del Vozdovac venne invece ucciso da un rivale del Rad nel 2009: l’assassino fu condannato a 30 anni di carcere. E nell’aprile scorso un tifoso della Stella Rossa rimase gravemente ferito da un colpo di pistola sparato dentro lo stadio durante la semifinale di coppa di Serbia con l’Ofk. “Spesso le violenze degli ultrà vengono connotate politicamente, in quanto la maggior parte degli hooligan appartengono agli ambienti ultranazionalisti serbi”, osserva “La Stampa”. “Fra tanti fatti sanguinosi, un episodio certamente di minore gravità: il presidente serbo Boris Tadić nel dicembre 2009 venne multato di 400 euro da un tribunale di Belgrado per aver celebrato bevendo champagne allo stadio la qualificazione della Nazionale ai Mondiali. Aveva violato il divieto di consumare alcool all’interno e nel raggio di un chilometro dagli stadi”. Calcio e politica: Zeljko Raznatović, il famigerato “comandante Arkan”, reclutò proprio fra gli ultras della Stella Rossa i primi 3.000 miliziani che, dal 1991, costituirono poi l’ossatura delle “Tigri di Arkan”, reparti accusati di aver condotto massacri contro la popolazione, durante la guerra civile jugoslava, prima in Croazia e poi in Bosnia. Testimone scomodo degli orrori della guerra balcanica, “Arkan” fu poi assassinato a Belgrado nel 2000 insieme a due guardaspalle; ai funerali presero parte ventimila persone, la sua ex milizia gli rese gli onori militari e in Italia fece scalpore lo striscione “Onore alla tigre Arkan” apparso a Roma sugli spalti nella curva Nord della Lazio, squadra dove allora giocava Siniša Mihajlović, oggi allenatore della Fiorentina, in gioventù amico di “Arkan” quando la futura “tigre” era il leader dei tifosi della Stella Rossa. Impossibile non leggere nella violenza degli ultras la profonda frustrazione di vasti strati della popolazione della Serbia, che era il paese leader della Jugoslavia e in pochi anni ha vissuto come un brutale smembramento le secessioni di Slovenia, Croazia e Bosnia, appoggiate dall’Occidente. Vittima più illustre della instabile transizione post-bellica, il premier europeista Zoran Djindjić, assassinato da un cecchino nel 2003. Dopo la separazione consensuale con la Macedonia, quel che restava della ex federazione balcanica ha perso nel 2006 l’ultimo sbocco sul mare, con il distacco del Montenegro. Ma a bruciare tuttora è l’affrettata indipendenza unilaterale del Kosovo, provincia meridionale a maggioranza albanese, dal 2008 riconosciuto come paese autonomo da 22 Stati europei e 69 nazioni Onu, mentre per i restanti Stati – Russia compresa – il Kosovo resta una semplice provincia serba, abusivamente staccatasi da Belgrado. Proprio il Kosovo fu all’origine del massacro infinito della guerra civile jugoslava: Slovenia, Croazia e Bosnia rifiutarono di appoggiare la Serbia nel contrastare le tendenze separatiste della provincia “albanese”. Nel 1999, il governo D’Alema autorizzò l’impiego dello spazio aereo italiano per il decollo, dalla base di Aviano, degli aerei Nato che su ordine del presidente Clinton bombardarono Belgrado per indurre la Serbia di Milosević a ritirarsi dal Kosovo. Dopo 600 raid aerei, si stima che l’offensiva Nato appoggiata dall’Italia abbia provocato in Serbia migliaia di vittime. Articolo tratto da Libre

Commenti

kosovo non e "albania" ma e albania. 95% della popolazione etnia albanese storicamente conosciuta come territorio abitato dagli albanesi. ingiustamente presa dalla serbi nel 1913 decisione preso dalle grande potenze europe fortemente sostenuta dalla rusia.
albania, 14-01-2011 09:14

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